Kigali (Ruanda), 17 dicembre 2023. Da sinistra, il presidente del Ruanda Paul Kagame insieme all'omologo senegalese Macky Sall (Flickr / CC BY-NC-ND 2.0 DEED)
Kigali (Ruanda), 17 dicembre 2023. Da sinistra, il presidente del Ruanda Paul Kagame insieme all'omologo senegalese Macky Sall (Flickr / CC BY-NC-ND 2.0 DEED)

Africa, è l'occasione per una svolta: nel 2024 ben 18 Stati al voto

Nel 2024 diciotto paesi africani sono chiamati a eleggere i loro rappresentanti. L'occasione per una svolta, ma i problemi interni e le ingerenze straniere rischiano di condizionare i risultati e bloccare il processo di crescita in corso

Matteo Giusti

Matteo GiustiGiornalista

Aggiornato il giorno 4 aprile 2024

Nel 2024, ben 76 paesi nel mondo sono chiamati alle urne per eleggere i propri rappresentanti e quasi un quarto di queste nazioni si trova nel continente africano, che intanto è al centro di una profonda trasformazione. Dopo anni di sfruttamento, l’Africa rivendica un’autonomia sempre più diffusa rispetto all’influenza europea e occidentale. Molti paesi hanno dato prova di voler emergere a livello internazionale, ad esempio attraverso i tentativi di mediazione nel conflitto fra Russia e Ucraina compiuti dall’Unione africana, che ha presentato un autonomo piano di pace. Il Continente vuole prendere sempre più le distanze dal ruolo di mercato passivo, dove acquistare a basso costo materie prime, per divenire un tavolo da gioco strategico al quale siedono, oltre ai padroni di casa, anche i maggiori player mondiali. Tuttavia deve tenere a bada gli interessi di Cina, Russia e Turchia (leggi qui), che puntano ad accaparrarsi le sue ricche risorse naturali, e non solo.

Molti Stati hanno dato prova di voler emergere a livello internazionale, ad esempio attraverso i tentativi di mediazione nel conflitto fra Russia e Ucraina

Sulla carta, il voto potrebbe essere la chiave per aprire un nuovo capitolo, ma la storia insegna che ogni tornata elettorale in Africa è complicata dalle grandi criticità che attraversano gran parte dei suoi Stati. Il rischio, come avvenuto in passato, è che l’appuntamento alle urne si trasformi in un referendum plebiscitario, finalizzato a mantenere saldo al governo il potente di turno. In molte occasioni, è già successo, i cittadini hanno votato in piena guerra o si sono visti negare il diritto di esprimere una preferenza, perché costretti in campi profughi lontani dalle proprie abitazioni. A ciò si aggiungono le ingerenze straniere, che potrebbero rallentare o bloccare il processo di lenta consapevolezza che è in corso e diffuso soprattutto tra le nuove generazioni. Di sicuro queste elezioni produrranno importanti conseguenze geopolitiche.

Russia, Cina e Turchia vogliono conquistare terreno e potere in Africa

Stabilità apparente

La Repubblica democratica del Congo ha appena rieletto con una maggioranza schiacciante il presidente Felix Tshisekedi. Peccato che cinque milioni di congolesi non abbiano potuto votare perché in fuga dalle proprie case, mentre gli abitanti delle province dell’est del Paese non hanno neppure avuto i seggi, vista l’estrema instabilità della regione preda di milizie che derubano, stuprano e massacrano i locali.

Il Senegal è alle prese con una difficile situazione economica e i più giovani sono scesi in piazza per protestare contro il governo

Tutt’altra situazione in Senegal, paese chiave per l’Africa occidentale, che in passato grazie alla sua stabilità ha spesso avuto un ruolo da mediatore nelle vicende riguardanti paesi confinanti. Al timone del Senegal c’è Macky Sall, ex presidente dell’Unione africana, fedelissimo di Parigi. La Francia mantiene rapporti molto solidi con Dakar e sembra essersi arroccata nel paese dopo aver assistito quasi impotente allo sgretolarsi dell’ormai ex Françafrique, termine che descrive le relazioni tra la Francia e le ex colonie africane dopo la loro indipendenza.

Anche il Senegal, però, è alle prese con una difficile situazione economica e la frangia più giovane della popolazione è scesa più volte in piazza per protestare contro il governo. Macky Sall ha rinunciato a correre per il terzo mandato, peraltro non previsto dalla Costituzione, mentre la magistratura ha invalidato la candidatura dell’uomo forte dell’opposizione, il discutibile Ousmane Sonko. Un campione di qualunquismo, con una predilezione per l’islam radicale e per posizioni omofobe e sessiste, ma abile nell’intercettare il malcontento popolare, soprattutto fra i più giovani. Nei mesi scorsi i suoi fedelissimi hanno messo a ferro e fuoco le principali città dello Stato per protestare contro la condanna che ne bloccherebbe la candidatura e lui ha già dichiarato guerra a Francia ed Europa, dicendosi pronto a gettare il Senegal fra le braccia del dragone cinese. L’unico avversario di Sonko sembra essere l’attuale primo ministro Amadou Ba, delfino di Macky Sall. Tuttavia se Sonko riuscirà a candidarsi per le prossime presidenziali la sua vittoria appare scontata: un trionfo che porterebbe Pechino a dominare l’economia senegalese.

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