Roma, 25 settembre 2024. Il sit-in promosso da Cgil e Uil per dire 'No al ddl sicurezza' davanti al Senato. Piazza Vidoni è subito affollata al punto che i manifestanti non riescono più a entrare (Anna Laura Bussa/Ansa)
Roma, 25 settembre 2024. Il sit-in promosso da Cgil e Uil per dire 'No al ddl sicurezza' davanti al Senato. Piazza Vidoni è subito affollata al punto che i manifestanti non riescono più a entrare (Anna Laura Bussa/Ansa)

Il ddl Sicurezza lo dimostra: per il governo il carcere è la panacea

Tutti i provvedimenti inclusi nel ddl Sicurezza sono legati da un filo conduttore: affrontare le questioni sociali con il sistema penale. Un approccio contestato anche dall'Osce, perché mina i principi della giustizia penale e lo stato di diritto

Andrea Oleandri

Andrea OleandriResponsabile comunicazione di Antigone

27 settembre 2024

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“Il più grande attacco alla libertà di protesta della storia repubblicana”. Così Antigone ha definito il ddl sicurezza che la settimana scorsa è stato approvato dalla Camera dei Deputati per passare ora al Senato della Repubblica. Al suo interno sono presenti numerosi articoli che introducono nuove fattispecie penali, in alcuni casi con pene sproporzionate rispetto alla violazione commessa. Nuovi reati che hanno un unico filo conduttore, quello di colpire fenomeni sociali che generalmente richiedono invece ascolto, partecipazione, investimenti.

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Il ddl Sicurezza sanziona le proteste

Se anche il Senato dovesse approvare questo provvedimento, ci sarà il carcere per quei lavoratori che, per protestare contro i licenziamenti o contro condizioni di lavoro inadeguate, dovessero decidere di bloccare una strada davanti alla propria fabbrica. La stessa cosa potrebbe accadere a studenti che decidessero di far sentire così la propria voce per attirare l’attenzione su problematiche strutturali delle proprie scuole. E potrebbe accadere agli attivisti di alcune organizzazioni impegnate a sensibilizzare sui rischi del cambiamento climatico. Per tutti loro, la pena potrà arrivare fino a due anni.

La possibilità di protestare viene meno anche in carcere (o in un centro di permanenza per il rimpatrio), laddove non obbedire agli ordini impartiti (anche quando questi siano illegittimi) o decidere pacificamente ad esempio di non rientrare in cella per far sentire la propria voce contro condizioni di detenzione spesso inadeguate e degradanti, potrà portare a una ulteriore pena da 2 a 8 anni di carcere. Si prevede peraltro l’applicazione del regime del 4-bis che, inizialmente pensato per reati di mafia e terrorismo, prevede l’esclusione dai benefici penitenziari.

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Gli altri obiettivi del ddl

Il disegno di legge non riguarda solo la limitazione alla possibilità di protestare. Ad esempio l’occupazione di un immobile altrui (ma anche garage o terrazzi) diventa reato con una pena da due a sette anni.

C’è poi una norma che probabilmente potrà avere un effetto opposto rispetto alla sicurezza cui il provvedimento fa riferimento, quella con cui si proibisce la possibilità di acquistare una scheda sim per il telefono cellulare alle persone straniere non dotate di permesso di soggiorno, aumentando così l’esclusione e l'atomizzazione dal contesto sociale di una categoria per certi versi già invisibile.

Pure la norma che elimina la differibilità obbligatoria della pena per le donne incinte o per le donne con bambini al di sotto di un anno, ha il sapore della vendetta sociale. Si rivolge infatti verso una specifica categoria di persone (le donne rom implicate generalmente in piccoli furti), e non tiene in considerazione in alcun modo l’interesse ad una gravidanza sicura né alle salute del bambino, visto che nelle carceri servizi di ginecologia, ostetricia e pediatria sono presenti con il contagocce e non garantiscono un controllo quotidiano.

La pena come panacea

Tutti i provvedimenti inclusi nel disegno di legge sicurezza, come detto all’inizio, sembrano mossi dall'unico obiettivo di affrontare le questioni sociali con il sistema penale e il carcere, in linea con l’approccio repressivo della “tolleranza zero” di cui il professore Luigi Ferrajoli ha contribuito a precisare molti aspetti dannosi. Anzitutto, un’espansione della logica e delle politiche della sicurezza non più intese come garanzia dei diritti sociali di cittadinanza, ma come mantenimento dell’ordine pubblico.

In secondo luogo, la risposta securitaria alla riduzione progressiva dello Stato sociale e lo smantellamento del diritto al lavoro che ha l'effetto di orientare il diffuso sentimento di insicurezza sociale contro il deviante e il diverso. Ancora, il ricorso al populismo penale che consente di perseguire comportamenti che assecondino le richieste di ordine che arrivano dall’opinione pubblica (e che spesso sono state create ad arte, attraverso importanti campagne di stampa nell’opinione pubblica). Infine, la “soggettivizzazione del diritto penale”, tramite l’attribuzione dello status di deviante, con il carcere come possibile orizzonte, con riferimento a una condizione specifica della persona-bersaglio (nel caso del ddl sicurezza, l’essere senza una casa, o l’essere nella piena precarietà lavorativa o l’essere un attivista climatico) o un’identità (per esempio l’essere migrante o essere una persona rom).

Applicare le riflessioni di Ferrajoli alle disposizioni di questo disegno di legge governativo accende una spia di allarme. Lo stesso professore, infatti, sosteneva che è un orizzonte utopistico quello di eliminare i reati attraverso un’espansione del sistema penale, cosa che sarebbe possibile solo con un’involuzione totalitaria del sistema politico.

Un pericolo per lo stato di diritto

"La maggior parte delle disposizioni ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello stato di diritto”

Un pericolo che in Italia forse al momento non esiste, ma su cui bisogna vigilare se anche la stessa Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), in un proprio documento di commento al ddl Sicurezza scriveva che “la maggior parte delle disposizioni ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello stato di diritto”.

Ancora Luigi Ferrajoli spiegava come questi approcci penali non solo sono utili per alimentare un certo consenso, ma consentano di rimuovere dall’orizzonte della politica le politiche sociali di inclusione, più costose e impegnative di quelle penali, ma le uniche in grado di ridurre le cause strutturali delle disuguaglianze. Nel contrastare le norme introdotte dal disegno di legge sicurezza è anche da questo orizzonte che si deve ripartire, superando definitivamente quell’approccio secondo cui il carcere è la soluzione da seguire per risolvere le questioni (e le tensioni) sociali ed economiche del nostro tempo.  

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