Foto dal centro sociale polifunzionale Ciro Colonna
Foto dal centro sociale polifunzionale Ciro Colonna

A cosa servono i centri sociali

Luoghi di aggregazione, non sono solo zone franche. Storicamente i centri sociali sono un fenomeno complesso che in diverse aree del paese fornisce servizi che lo Stato non riesce a dare. Le generalizzazioni rischiano di banalizzare il loro impatto nelle città

Natalie Sclippa

Natalie SclippaRedattrice lavialibera

11 novembre 2024

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“Chiudere i centri sociali occupati abusivamente dai comunisti che sono ritrovi di criminali”. Il leader della Lega e ministro delle infrastrutture Matteo Salvini non ha dubbi sulla fine di quelli che chiama “covi di delinquenti”: vorrebbe vedere i lucchetti su quelle strutture. “Lo chiederò oggi stesso al ministro Piantedosi” conclude nel video fatto circolare sulle sue pagine social, commentando gli scontri a Bologna. Associazioni di sinistra e antifascisti erano scesi in piazza il 9 novembre per protestare contro la concessione di una manifestazione organizzata da Casa Pound e in cui ci sono stati scontri con la polizia. Ma in alcune città, a Padova, Venezia, Treviso, Roma, Napoli, Jesi, Milano, Bologna e Rimini le esperienze più significative, i centri sociali sono i pochi spazi di aggregazione presenti in quartieri e zone periferiche e generalizzare su spazi fondamentali non fa bene a chi tenta di migliorare il luogo in cui vive. 

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Cosa sono i centri sociali 

I centri sociali sono edifici gestiti da associazioni ed enti senza scopo di lucro, da istituzioni o da privati. Si tratta di luoghi pensati come luoghi di incontro, dove le giovani generazioni potessero esprimersi attraverso attività culturali e ricreative. Chi li frequenta sente la necessità di creare uno spazio di condivisione e scambio fuori dalle istituzioni e all’interno le attività possono essere delle più diverse: dai corsi di lingua ai servizi di prestito bibliotecario, dalle mense sociali fino agli spazi di sperimentazione politica e ritrovo. 

Questo significa che non si tratta solo di spazi occupati, ma di luoghi di associazione, come previsto dagli articoli 17 e 18 della CostituzioneSe si guarda invece ai centri sociali politicizzati, ne esistono di diversi tipi: centri sociali autogestiti, centri sociali occupati autogestiti e popolari autogestiti che fanno riferimento a ideologie politiche di sinistra o estrema sinistra (che spesso vengono definiti, generalizzando, “centri sociali comunisti”), mentre dall’altra parte dello spettro politico si trovano le occupazioni non conformi e quelle a scopo abitativo, che di solito gravitano attorno a gruppi di destra ed estrema destra come Casa Pound.

Quando sono nati i centri sociali

Come ricorda Vincenzo Ruggiero, negli anni Settanta gruppi di giovani hanno avviato un processo di “rivendicazione della città” attraverso l'occupazione diffusa di spazi pubblici e di edifici vuoti, che li ha portati nel centro delle città dai quartieri poveri. Le richieste non ruotavano solo intorno alla tipica serie di bisogni primari, come il lavoro, la casa e l'istruzione, ma erano anche rivolte al “surplus”. Questi gruppi rivendicavano il diritto di abbandonare la periferia e di rendere visibile la loro presenza nel cuore delle città. Praticavano inoltre ciò che i loro predecessori sindacalizzati negli anni Sessanta chiamavano “autoriduzione”, ossia l'autoriduzione di tariffe e affitti.

Da qualche anno, i centri sociali sono tornati anche in periferie, per sopperire alla mancanza di servizi e farli diventare luoghi di riscatto sociale

A metà degli anni Settanta, questa autoriduzione collettiva di tariffe e prezzi non si applicava solo all'elettricità, alle bollette telefoniche o agli affitti delle case, ma anche al consumo di beni di svago come i dischi o il cinema. Ad esempio, partecipare ai concerti rock a prezzo ridotto, o a volte gratuitamente (semplicemente imbucandosi), divenne una pratica collettiva comune che implicava, da un lato, una critica all'industria musicale e, dall'altro, una richiesta dei beni che tale industria aveva da offrire.

Il declino dei movimenti degli anni Settanta coincise con la crescita della protesta violenta e dei gruppi armati all'interno dell'estrema sinistra, con conseguenti arresti di massa ed esilio volontario per molti militanti. Tuttavia, alcune componenti di questi movimenti, sebbene prese di mira dalla crescente risposta delle agenzie statali, riuscirono a sopravvivere nel cuore della città e gli spazi pubblici che occupavano divennero noti come centri sociali. L'attività politica svolta nei centri, le loro campagne e le attività ricreative, come concerti e spettacoli artistici, sono state accolte con sospetto dalle autorità locali e dai partiti politici ufficiali e i centri spesso sono stati etichettati come luoghi sovversivi. 

Quando i centri sociali danno servizi che lo Stato non offre. Due esperienze da Napoli

Da qualche anno, i centri sociali sono tornati anche in periferie, per sopperire alla mancanza di servizi e farli diventare luoghi di riscatto sociale. “Le declinazioni di centro sociale sono molto ampie – spiega a lavialibera Pino Perna, presidente dell’Associazione Annalisa Durante, ragazza di 14 anni uccisa a Forcella, zona del centro storico di Napoli, il 27 marzo 2004 durante uno scontro armato tra clan rivali – ma per noi essere un centro di aggregazione sociale ha fatto sì che la memoria di Annalisa continuasse attraverso qualcosa che rimanesse nel quartiere”. Attraverso la spinta del padre Giovanni, è nata una biblioteca “a porte aperte”. “Qui – continua Perna – non ci sono tessere o codici per entrare, anche perché avere un posto come questo in questa zona è un presidio di legalità, in cui le persone che non hanno libri a casa possono venire qui a prenderli in prestito”. Secondo Perna questi sono avamposti in cui il terzo settore si fa carico di servizi che dovrebbe dare lo Stato.

“Stiamo diventando noi i prestatori di servizi pubblici, ma con progetti di breve periodo che non riescono a dare continuità alle esigenze delle persone. Le biblioteche sociali non sono biblioteche di serie B”

“Stiamo diventando noi i prestatori di servizi pubblici, ma con progetti di breve periodo che non riescono a dare continuità alle esigenze delle persone. Le biblioteche sociali non sono biblioteche di serie B”. La biblioteca fa parte di un vero e proprio progetto di rigenerazione urbana, di cura dell’ambiente, di turismo responsabile. “Ma lo sforzo dei cittadini non basta, serve un piano integrato che risponda in senso ampio al problema educativo e che sia una risposta vera alla violenza.

“Centro sociale può essere tante cose” ci conferma Pasquale Leone, referente di Libera Napoli, che ci racconta del centro polifunzionale Ciro Colonna, a Ponticelli, nell'ex istituto comprensivo abbandonato Marino Santa Rosa che ora è diventato luogo di socialità. “Con l’associazione TerradiConfine (che si occupa di riqualificazione del territorio, educazione non formale e giustizia sociale e antimafia, ndr) e altre realtà abbiamo vinto un bando, siamo riusciti a catalizzare risorse. C’è una scuola dell’infanzia, attività educative, una mensa sociale, percorsi teatrali”. 

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