13 novembre 2024
È uno dei temi più sensibili, di quelli che alimenta lunghi (e spesso poco comprensibili) dibattiti tra parti politiche oppure tra politica e magistratura. Con il governo di Giorgia Meloni e la maggioranza di destra al potere, la separazione delle carriere dei magistrati è tornata ad alimentare discussioni accese. Lo scorso 13 giugno 2024 l'esecutivo ha presentato alla Camera dei deputati un disegno di legge costituzionale (A.c. 1917), chiamato ddl Nordio, per separare le carriere dei magistrati requirenti (per intenderci, i procuratori che coordinano le indagini e rappresentanto l’accusa nei processi) da quella dei magistrati giudicanti. Si tratta di un tema caro al centrodestra, già proposto nel 2011 dal governo guidato da Silvio Berlusconi, in quel periodo sottoposto a indagini e processi. Nel 2000 i radicali proposero un referendum, fallito per mancato raggiungimento del quorum.
Insieme alla separazione delle carriere, l’esecutivo prevede anche la creazione di due distinti organi di autogoverno, che hanno il compito di stabilire nomine, incarichi e valutazioni professionali: il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente.
Il ddl del governo, ora all’esame della commissione Affari costituzionali della Camera, si aggiunge ad altre proposte presentate sul tema dai parlamentari, alcune delle quali alcune riprendono la proposta d’iniziativa popolare fatta dall’Unione della camere penali italiane, le organizzazioni degli avvocati penalisti, che aveva raccolto circa 75mila firme a sostegno dell’iniziativa.
Trattandosi di una riforma costituzionale, il testo dovrà essere approvato dalla Camera e dal Senato per due volte, la seconda volta a distanza di almeno tre mesi dalla prima e con la maggioranza di due terzi dei parlamentari, altrimenti potrà essere sottoposta a referendum.
“Nell’arco di cinque anni lo 0,83 per cento di tutti i pubblici ministeri è passato alle funzioni giudicanti e solo 0,21 per cento dei giudici è passato a funzioni requirenti"Margherita Cassano - Prima presidente della Cassazione
L’obiettivo di chi propone la separazione delle carriere è ottenere più imparzialità nel giudizio, che arriverebbe da un “giudice terzo”, più indipendente, perché finora – sostengono i promotori – le decisioni dei magistrati giudicanti sarebbero state influenzate dalla loro vicinanza “di categoria” ai magistrati requirenti, il tutto a scapito degli avvocati difensori.
Le proposte mirano innanzitutto a cambiare l’articolo 102 della Costituzione che, nella nuova formula ideata dal governo, prevede che le norme sull’ordinamento giudiziario (che regolano il funzionamento della magistratura) dovranno disciplinare “le distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti”.
Per i contrari, questa riforma limiterà invece l'autonomia dei magistrati dal potere politico.
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Tra gli auditi dalla commissione Affari costituzionali, alcuni hanno ricordato come la funzione di pm e quello di giudice siano separate di fatto già adesso. Nel corso degli anni, prima la riforma Castelli (2006-07) e poi la riforma Cartabia hanno posto dei limiti, temporali o geografici, molto stretti nel passaggio da un ruolo all’altro. Ad esempio, proprio la recente modifica fatta dal governo Draghi prevede che si possa cambiare funzione soltanto una volta entro i nove anni dalla prima assegnazione.
Per queste ragioni i passaggi da un ruolo all’altro sono rari: “Nell’arco di cinque anni è pari allo 0,83 per cento la percentuale dei pubblici ministeri con funzioni requirenti che sono passati a funzioni giudicanti. E sono lo 0,21 per cento la percentuale dei giudici che sono passati a funzioni requirenti – ha affermato Margherita Cassano, prima presidente della Corte di Cassazione, ascoltata dai deputati. In termini assoluti, sono pochissimi i casi di passaggio da giudice a pm (5 nel 2019, 10 nel 2020, 15 nel 2021 e 8 nel 2022) e viceversa (19, 15, 16 e 17). "Il tema ha un valore più simbolico che realmente incidente sull’assetto della magistratura”, ha sintetizzato la giudice.
“Il sostanziale divieto di passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti, se non una sola volta nel corso della carriera (stabilito dalla riforma Cartabia, ndr), a condizioni stringenti e con l’obbligo di un cambiamento di sede, appare aver già conseguito il fine della separazione di fatto delle carriere”, ha detto il professore di diritto costituzionale Gaetano Azzariti.
Alcuni – come il professore Mitja Gialuz dell’Università di Genova – fanno notare inoltre che, seguendo la logica della separazione delle carriere tra inquirenti e giudicanti, si dovrebbe anche separare quella tra giudicanti di primo grado e di secondo grado per evitare che i secondi sposino sempre i giudizi dei primi. “Se nel processo valesse il criterio che i ‘controllori’ non debbono essere colleghi dei ‘controllati’, andrebbero separate anche le carriere dei giudici di appello da quelle dei giudici di primo grado, e quelle dei giudici di merito da quelle dei giudici di legittimità (come quelli della Cassazione, che valutano il rispetto delle norme e della procedure, ndr)”, ha aggiunto il presidente del Tribunale di Palermo, Piergiorgio Morosini, già segretario generale di Magistratura democratica (l’associazione progressista delle toghe) e componente del Csm. Inoltre – dati alla mano – molti esperti intervenuti sottolineano che spesso le richieste dei pm vengono accolte dai giudici e non sempre le sentenze di primo grado trovano conferma nel secondo grado. Come a sottolineare che i giudici hanno una loro autonomia di pensiero e gli avvocati hanno la capacità di incidere.
C’è anche un “dato ineliminabile", afferma Gialuz:
Vi è un legame inconfutabile tra pm e giudice, che non dipende affatto dal loro appartenere a un’unica magistratura, ma da un elemento più profondo. Entrambi perseguono – sia pur con ruoli diversi – l’interesse pubblico all’applicazione della legge e alla punizione del colpevole o all’assoluzione dell’innocente; mentre il difensore persegue (doverosamente) un interesse privato”.
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Le proposte fatte dai parlamentari (Enrico Costa di Forza Italia, di Roberto Giachetti di Italia Viva e dei parlamentari di Lega e Fratelli d’Italia) prevedono concorsi separati tra magistrati requirenti e giudicanti. Per l’Unione delle camere penali italiane sono “assolutamente indispensabili” per poter “distinguere, con chiarezza e fin da subito, la differente funzione e collocazione delle due figure professionali”.
Anche in questo caso, i pareri contrari sono diversi. La giudice Margherita Cassano, ad esempio, ha ricordato una norma del 1999 che obbligava tutti i vincitori del concorso a svolgere, nel loro periodo iniziare, il ruolo di giudice collegiale, così da abituarsi all’ascolto, all’approfondimento e “alla metodica del dubbio, garanzia per il cittadino”. Secondo Morosini, sarebbe importante mantenere un accesso unico alla magistratura e, inoltre “sarebbe importante mantenere dei luoghi di formazione comuni, che coinvolgano anche gli avvocati, per evitare che si radichino deformazioni professionali che, nella durezza del confronto con una criminalità agguerrita, facciano cogliere a molti requirenti soltanto le ragioni della repressione e meno quelle della garanzia dei diritti”.
Il disegno del governo e quelli dei parlamentari mirano a cambiare in modo radicale anche il Consiglio superiore della magistratura. Fatta eccezione della presidenza, affidata al presidente della Repubblica, e della partecipazione del procuratore generale della Cassazione e del primo presidente della Cassazione, l’innovazione più importante sarebbe il sorteggio degli altri componenti: non verrebbero eletti dai magistrati e dal parlamento, come avviene adesso, ma estratti a sorte. Un terzo dei componenti, costituito dai laici (cioè i non magistrati), sarebbe selezionato da un elenco di professori e avvocati compilato dal parlamento in seduta comune; i restanti due terzi sarebbero scelti, secondo regole affidate a una legge ordinaria, tra i magistrati giudicanti e tra i magistrati requirenti.
I vicepresidenti dei due Csm (ora selezionato tra i membri designati dalle camere) saranno eletti tra i componenti sorteggiati dall’elenco compilato dal parlamento.
È particolare l’introduzione del sorteggio dei componenti, nato – sostiene il governo – dall’“esigenza di assicurare il superamento di logiche legate alla competizione elettorale, che non hanno offerto buona prova di sé”. È un riferimento alle correnti delle associazioni di magistrati, le cosiddette "correnti" che, come ha dimostrato lo scandalo Palamara, può arrivare a una degenerazione, con accordi sottobanco e cordate per favorire le carriere di alcuni non in base ai curricula, ma in base a logiche spartitorie. Ai magistrati, in questo modo, viene negato il diritto di scegliere i propri rappresentanti.
Il sorteggio, tuttavia, può anche “tradursi in una riduzione dell’autorevolezza del/dei Csm – ha affermato il costituzionalista Azzariti –. Una riduzione di autorevolezza che rischia di compromettere tanto la capacità funzionale quanto la capacità rappresentativa dell’organo”.
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Secondo le proposte di riforma, i nuovi Csm non si occuperanno delle valutazioni disciplinari, che passerebbero a un nuovo organo, l’Alta corte disciplinare, composta da quindici giudici:
3 componenti nominati dal Presidente della Repubblica;
3 componenti estratti a sorte da un elenco compilato dal parlamento;
6 componenti estratti a sorte tra i magistrati giudicanti in possesso di specifici requisiti;
3 componenti estratti a sorte tra i magistrati requirenti in possesso di specifici requisiti.
Il presidente sarà eletto tra i tre nominati dal Quirinale o i tre sorteggiati dal parlamento. Secondo l'Associazione nazionale magistrati, "si configura come un tribunale speciale previsto solo per la magistratura ordinaria".
Alcune di proposte parlamentari, inoltre, prevedono anche la fine dell’obbligatorietà dell’azione penale. In sostanza, di fronte ad una notizia di reato, il pubblico ministero deve procedere con un’indagine. Si tratta di un principio che garantisce sia l’indipendenza dei pubblici ministeri, sia l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Secondo le Camere penali, tuttavia, si tratta di un principio inattuale, anche considerando il carico di notizie di reato che arrivano alle procure. Negli uffici giudiziari sommersi da fascicoli, i vertici organizzano il lavoro in base a linee guida da seguire. Secondo l’associazione degli avvocati penalisti, però, bisogna “sottrarre alla discrezionalità priva di controllo delle procure scelte di politica criminale, che necessitano di trasparenza e legittimazione democratica”. Per questo appoggiano le proposte parlamentari che modificano l’articolo 112 della Costituzione secondo cui “il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”, ma soltanto “nei casi e nei modi previsti dalla legge”. E quindi sarebbe il parlamento a stabilire quali siano i reati su cui i pm possono agire con priorità.
“I disegni di legge in discussione conferirebbero alle fluttuanti maggioranze politiche il potere di modellare direttamente il contenuto e la direzione dell’azione penale e, conseguentemente, anche il potere di controllare l’attuazione delle direttive legislative da parte dei pubblici ministeri, con il pericolo di soluzioni scarsamente rispettose dei canoni dell’eguaglianza e della ragionevolezza”, sostiene il giudice Piergiorgio Morosini.
“L’obbligatorietà dell’azione penale non deve essere subordinata a condizioni legislative”, afferma il professore Giorgio Spangher, professore emerito di procedura penale presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, già membro laico del Csm.
Per aumentare l'autonomia del giudice, la riforma rischia di creare invece un pm "super-poliziotto": "Si tratterebbe del potere dello Stato più forte che si sia mai avuto in un ordinamento costituzionale dell’epoca contemporanea"
Tra i possibili effetti collaterali di queste riforme, c'è il rischio che separando le carriere con l’obiettivo di avere un giudice terzo si crei la figura di un “super-poliziotto” o di un “avvocato della polizia”. In altri termini, se finora il pm può essere considerato come un filtro alle indagini della polizia giudiziaria, che ha l’obbligo – previsto dal codice di procedura penale – di cercare e raccogliere anche le prove a favore degli indagati, in caso di approvazione della riforma il suo ruolo potrebbe diventare pari a quello di un rappresentante delle forze di polizia che si ostinerebbe a cercare la condanna degli indagati.
Secondo il giudice Morosini, si creerebbe così un “corpo separato di funzionari pubblici (...) altamente specializzato” che però “risponde solo a se stesso”: “Si tratterebbe del potere dello Stato più forte che si sia mai avuto in un ordinamento costituzionale dell’epoca contemporanea”, sentenzia. Azzariti fa notare che si aumenterebbe il corporativismo, un effetto che invece si vuole combattere.
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