
Autonomia differenziata, referendum bocciato. Avanti su cittadinanza

1 marzo 2025
Una telefonata nell’autunno del 1994 e la richiesta di creare l’identità di una nuova associazione che racchiudesse le anime dell’antimafia sociale. Una sfida accettata e vinta da Elisabetta “Betta” Ognibene, storica grafica di Libera che ha proposto il nome e il marchio che poi avrebbe contraddistinto trent’anni di manifesti, campagne e lotte. "Il confronto con Luigi, che è il vero direttore artistico, è stato fondamentale", racconta mentre riporta alla mente alcuni ricordi, dalle prime bocciature fino alla nascita di un duraturo rapporto di amicizia.
Quale è stato il processo di creazione del nome e del logo della nuova associazione?
L’inizio è stato uguale a ogni altro progetto che è arrivato in studio. Per capire nome e marchio bisogna creare qualcosa che rimanga nella testa delle persone, alla fine la sfida è fare sintesi. L’avvio di un’identità nuova è forse la parte più impegnativa, perché deve rispecchiare la mission. Quando Luciano Violante, che era insieme a Luigi Ciotti, Gian Carlo Caselli e altri, mi chiese di lavorare sul simbolo, sapevo che il compito era importante. Per me è stata una novità, perché ero specializzata in comunicazione di pubblica utilità, per sanità, teatri ed enti pubblici. Parlavamo di politica e di cultura, ma non di argomenti come la lotta alle mafie. L’approccio è stato complicato. I primi nomi vennero scartati e il progetto iniziale, che avevamo inviato per posta a Firenze, dove il gruppo si era riunito, venne bocciato. Il tempo a nostra disposizione per consegnare era molto limitato e così, mentre riflettevo sui concetti di liberazione e di riappropriazione dello spazio pubblico, con la mia calligrafia scrissi “Libera” con i gessetti colorati su sfondo nero, come fosse una lavagna. Un gesto di liberazione e lotta. E per “liberazione” mi riferisco a quella partigiana. All’inizio non erano molto convinti, ma il tempo ha dimostrato che funziona.
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