Un'immagine delle strutture del cpr di corso Brunelleschi dopo le proteste dei migranti. Foto dalla pagina Facebook No Cpr
Un'immagine delle strutture del cpr di corso Brunelleschi dopo le proteste dei migranti. Foto dalla pagina Facebook No Cpr

Riapre il Cpr di Torino, ma una parte della polizia è contraria

Il 24 marzo, dopo due anni di chiusura dovuta ai lavori di ristrutturazione, riapre il centro di corso Brunelleschi. "La nostra posizione è di ferma opposizione" spiega Nicola Rossiello, segretario generale del Silp CGIL del Piemonte

Toni Castellano

Toni CastellanoRedattore lavialibera

21 marzo 2025

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Il 24 marzo, dopo due anni di chiusura dovuta ai lavori di ristrutturazione, riapre a Torino il Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di corso Brunelleschi. La manutenzione straordinaria doveva sanare i danni creati durante le proteste dai migranti rinchiusi. Ribellioni, dovute alle pessime condizioni di vita nel centro, ripetute fino a renderlo inagibile. E prima ancora, le proteste di associazioni e cittadini che ne criticavano la gestione, soprattutto dopo la morte – avvenuta nel 2021 – di Moussa Balde, 22enne guineano, vittima di un pestaggio a Ventimiglia e suicida a Torino.

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Le proteste sono ricominciate quando, nel 2024, è stata pubblicata la gara d’appalto per la riapertura. Ad animarle, una rete di organizzazioni tra le quali il Gruppo Abele, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, Cgil, Cisl, Uil, la commissione solidarietà dell’Ordine dei Medici di Torino, il referente della Pastorale migranti della diocesi e la Circoscrizione 3, che ospita il Cpr. Nonostante la ricerca di dialogo con il ministero dell’Interno, il bando è andato avanti, il servizio è stato assegnato a un'impresa che riaprirà il centro molto presto, seppur con una capienza ridotta e nuove misure di sicurezza. A vincere l’appalto da 8,4 milioni di euro per la gestione è stato il Gruppo Sanitalia, mentre la gestione della sicurezza è affidata alle forze di polizia che nell’arco di questi ultimi mesi si sono divise nell’opinione sull’utilità del Brunelleschi e dei Cpr. “La nostra posizione sulla riapertura del Cpr di Torino è di ferma opposizione – ha spiegato a lavialibera Nicola Rossiello, segretario generale del Sindacato di Polizia della Cgil del Piemonte (Silp) –. Le ragioni affondano in una valutazione concreta dei fatti che vanno ben oltre quelle che sono le semplici percezioni”.

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Qual è la posizione del Silp?
I numeri che abbiamo parlano chiaro. La percentuale di persone effettivamente rimpatriate dopo essere state trattenute in questi centri è inferiore al 30 per cento. In alcuni periodi storici è scesa anche al di sotto del 20. Questo significa, in termini di efficacia, che oltre il 70 per cento degli individui subisce una privazione della libertà, tutt'altro che leggera, che dovrebbe essere l'estrema ratio in uno stato di diritto. E come se non bastasse dopo questa reclusione viene rilasciato senza che l'obiettivo del rimpatrio sia stato raggiunto. La libertà personale viene compromessa per periodi anche prolungati e questo genera sofferenza e costi sociali enormi.

Tutto questo mentre più del 90 per cento degli stranieri presenti in Italia, ossia la stragrande maggioranza, è pacificamente integrata nel tessuto socio-economico. Vivono e lavorano regolarmente oltre a contribuire alla nostra economia, pagando le tasse.

Considerato questo, i Cpr sembrano un inutile costo: non più efficaci verso una presunta emergenza, sia dal punto di vista economico per le casse dello Stato con cifre che possono superare i 20mila euro annui per ogni singolo trattenuto, ma anche dal punto di vista sociale perché le persone coinvolte spesso vedono i propri diritti fondamentali sospesi.

“Le altre organizzazioni sindacali tendono a sposare acriticamente la logica dei Cpr. Li vedono come strumento di controllo e di allontanamento senza considerare le implicazioni. Questa differenza di vedute per noi non è negoziabile”

Questa la vostra posizione. Gli altri sindacati la vedono come voi?
Purtroppo non più. La nostra posizione si discosta in maniera significativa da quella delle altre sigle sindacali di polizia. Questo riflette una differente filosofia di fondo sul ruolo che devono avere le forze di polizia e sulla gestione dei fenomeni migratori. Il Silp trae linfa dai valori fondanti della Cgil, la democrazia, la convivenza civile, l'accoglienza e la solidarietà, tutti principi che sono sanciti dalla nostra Costituzione. Notiamo invece che le altre organizzazioni sindacali, di ispirazione più corporativa, tendono a sposare acriticamente la logica dei Cpr. Li vedono come strumento di controllo e di allontanamento senza considerare le implicazioni che questi centri portano. Questa differenza di vedute per noi non è negoziabile. Nelle scorse settimane Cisl e Uil sono uscite dalla rete civica per il superamento dei Cpr.

Noi riteniamo che la sicurezza di una comunità non possa e non debba essere perseguita calpestando i diritti fondamentali delle persone, anche perché questo a lungo termine non porta a una reale sicurezza, ma può generare marginalizzazione e risentimento e noi di questo non abbiamo alcuna necessità.

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La riapertura del Cpr di corso Brunelleschi è stata decisa senza ascoltare le posizioni della società civile, compresa quella del quartiere che ospita la struttura. I sindacati sono stati interpellati?
La domanda tocca un nervo scoperto e mette in luce una prassi decisionale profondamente antidemocratica e dannosa per il tessuto sociale. La nostra voce come Sindacato dei lavoratori di polizia, che quotidianamente si confronta con le complessità del fenomeno migratorio, non è stata ascoltata in questa decisione. Decisione presa, a nostro avviso, con una grave mancanza di sensibilità e di rispetto per le dinamiche democratiche e del principio di partecipazione. È sconcertante constatare come le istituzioni abbiano ignorato le voci di chi vive e anima il quartiere e della città stessa.

“Gli operatori di polizia nei Cpr lamentano forte stress e demotivazione: sono consapevoli di operare in un sistema che non produce risultati e anzi genera ulteriore sofferenza. La cronica mancanza di risorse degli organici aggrava la situazione"

Cosa lamentano gli agenti iscritti a Silp Cgil rispetto al lavoro nel Cpr?
Le preoccupazioni che ci vengono segnalate dai lavoratori e dalle lavoratrici che potrebbero essere chiamati in servizio nel Cpr vanno oltre la semplice gestione operativa, mirano all'efficacia di queste strutture. Lamentano un clima di forte stress e demotivazione dovuto alla consapevolezza di operare in un sistema che non produce risultati e anzi genera ulteriore sofferenza. Ad aggravare queste considerazioni c'è la cronica mancanza di risorse degli organici e di risorse economiche e attrezzature delle organizzazioni di polizia.

Altro aspetto fondamentale è la formazione che gli agenti ricevono. Non all'altezza della complessità della situazione, che invece richiede competenze specifiche in materia di diritti umani, di mediazione culturale, di gestione di persone in stato di vulnerabilità.

Altro recente fattore che causa una profonda critica è la decisione di realizzare strutture per migranti in Albania. Questa tendenza a esternalizzare la gestione di persone in stato di vulnerabilità solleva gravi interrogativi sul rispetto dei principi fondamentali del diritto internazionale e accresce ulteriormente il disagio che potremmo qualificare come disagio etico dei lavoratori.

Infine, è doveroso sottolineare un dato allarmante. Le statistiche degli infortuni sul lavoro indicano che gli operatori di polizia impiegati all'interno dei Cpr hanno un tasso significativamente più alto rispetto a colleghi che svolgono servizi in altri contesti. Questo è un ulteriore segnale concreto delle difficoltà operative e dei rischi per la sicurezza che ci si trova ad affrontare all'interno di queste strutture.

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Infine, ha senso oggi riaprire il Cpr di Torino, e potenziare a livello nazionale la rete di centri per l’identificazione e il rimpatrio dei migranti?
È una scelta politica anacronistica, estremamente dispendiosa in relazione ai risultati ottenuti, o meglio: non ottenuti. L'intero apparato assorbe risorse economiche enormi a fronte di un numero di rimpatri irrisorio. Noi crediamo fermamente che queste risorse potrebbero e dovrebbero essere impiegate in modo più produttivo ed efficiente concentrandosi su politiche di integrazione realmente efficaci. Mi spingo a dire che si può anche superare l’obiettivo dell’integrazione e puntare a un’armonizzazione. Si tratta di favorire l'inclusione sociale e lavorativa degli immigrati regolari e puntare su una cooperazione internazionale, seria e strutturata, con i paesi di origine dei migranti per affrontare le cause profonde delle migrazioni e promuovere percorsi diversi e più sicuri di quelli irregolari, percorsi capaci di rispondere alle esigenze del nostro mercato del lavoro e che garantiscano la dignità e i diritti.

Oggi non possiamo ignorare le previsioni sulle migrazioni climatiche future che indicano un aumento esponenziale del numero di persone costrette a lasciare la propria terra d'origine a causa dei cambiamenti climatici. Stiamo parlando di centinaia di milioni di migranti entro il 2050. In questo scenario globale complesso e in evoluzione, investire unicamente in strutture di detenzione temporanea appare una cosa miope e inadeguata: una prospettiva priva di una visione strategica a lungo termine.

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