Bruxelles, 25 febbraio 2025. Il fondatore di Spotify, Daniel Ek, durante un incontro con la vicepresidente della Commis- sione europea Henna Virkku- nen. Foto di Bogdan Hoyaux/ EC Audiovisual
Bruxelles, 25 febbraio 2025. Il fondatore di Spotify, Daniel Ek, durante un incontro con la vicepresidente della Commis- sione europea Henna Virkku- nen. Foto di Bogdan Hoyaux/ EC Audiovisual

Spotify, Daniel Ek investe in armi. Per gli artisti boicottare è (quasi) impossibile

Daniel Ek, fondattore di Spotify, sta investendo sui droni militari. Tra gli artisti c'è chi protesta, ma solo pochi possono rinunciare alla piattaforma di streaming musicale

Rosita Mercatante

Rosita MercatanteGiornalista

1 settembre 2025

Compensi irrisori per ogni brano ascoltato, musica fantasma per riempire le playlist e adesso, come se non bastasse, finanziamenti a una startup che produce droni a uso militare. Le polemiche su Spotify continuano a moltiplicarsi, così come i malumori degli artisti che riempiono la piattaforma, ma solo in pochi, per motivi diversi, riescono a farne a meno. Di recente, la società fondata dall’imprenditore svedese Daniel Ek, 42 anni, ha deciso di investire 600 milioni di euro nella startup tedesca Helsing, specializzata in tecnologia militare (droni, difesa aerea, intelligenza artificiale per coordinare e gestire operazioni belliche), che conta tra i suoi clienti anche l’esercito ucraino e che, secondo alcune fonti, avrebbe contatti diretti con Israele.

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La notizia, anche alla luce di quanto sta accadendo a Gaza, ha indignato molti artisti, che attraverso i social network o durante i concerti si sono apertamente schierati contro Spotify. La levata di scudi non ha però cambiato più di tanto la situazione e i motivi sono essenzialmente due: la reticenza a rinunciare all’enorme visibilità che offre Spotify e, come ha spiegato Pierò Pelù in un post pubblicato su Instagram, l'impossibilità per molti artisti di decidere sulla propria musica: "Purtroppo i master (le registrazioni originali, ndr) di tutti i miei dischi non mi appartengono più altrimenti li avrei ritirati immediatamente dalla fottuta piattaforma di questo schifo di individuo".

C’è chi dice no

"Non vogliamo che la nostra musica uccida le persone. Non vogliamo che il nostro successo sia legato alle tecnologie di Ai per i conflitti"Deerhoof - Gruppo rock sperimentale californiano

In Italia tra i primi a farsi avanti, sempre su Instagram, è stato Auroro Borealo, nome d’arte di Francesco Roggero, cantautore indie che ha annunciato di aver tolto la sua musica da Spotify dopo aver saputo dell’investimento bellico di Daniel Ek. "Seriamente, a voi piace l’idea che in questo momento esista nel mondo un drone militare finanziato da una canzone che si chiama 'sessone' o 'gli occhi del mio ex'? Mi piacerebbe che questa decisione, che ho preso non certo a cuor leggero, fosse un seme, anche solo l’inizio di una riflessione".

Oltreoceano, stessa decisione hanno preso i Deerhoof, gruppo di rock sperimentale californiano attivo da una trentina d’anni, noto anche per le idee politiche radicali: "Non vogliamo che la nostra musica uccida le persone. Non vogliamo che il nostro successo sia legato alle tecnologie di Ai per i conflitti".

Gli Arpioni lanciano la campagna: "Non con la mia musica"

Gli Arpioni, band ska attiva dagli anni Novanta, ha ritirato i suoi brani da Spotify come protesta contro gli investimenti militari di Daniel Ek
Gli Arpioni, band ska attiva dagli anni Novanta, ha ritirato i suoi brani da Spotify come protesta contro gli investimenti militari di Daniel Ek
"Da ragazzo sono stato obiettore di coscienza e la mia vita è andata sempre nella direzione opposta alla guerra"Stefano Kino Ferri - Frontman degli Arpioni

Anche gli Arpioni, tra le band più longeve e note della scena ska italiana, hanno scelto di rinunciare a Spotify. "Sapere che gli introiti della nostra musica vengono impegnati nel mercato delle armi, è per me eticamente insostenibile. Da ragazzo sono stato obiettore di coscienza e la mia vita è andata sempre nella direzione opposta alla guerra", dice a lavialibera Stefano Kino Ferri, frontman e autore di brani che spesso affrontano temi sociali e politici.

Quella degli Arpioni è stata una decisione libera ma non semplice, visto che oltre l’89 per cento dei loro ascolti avveniva su Spotify. "È impensabile per chi fa musica, simbolo di vita e di futuro, che la propria attività possa finanziare in maniera più o meno diretta delle operazioni che hanno delle ricadute sulle vite umane – aggiunge Ferri –, quando ho sentito che molti non potevano andare via ho temuto che esistesse qualche impedimento che valesse per tutti. Allora mi sono rivolto alla distribuzione esponendo per email la nostra richiesta e loro mi hanno informato che avremmo potuto fare un takedown della musica dalla piattaforma. Una volta avanzata la richiesta, la musica nel giro di 24 ore è stata rimossa".

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La band, nata a Bergamo nel 1990, ha lanciato la campagna “Non con la mia musica”, che invita cantanti e musicisti a chiudere il proprio account Spotify. "Dopo che abbiamo spiegato sulle pagine social le ragioni, e anche le conseguenze del ritiro dei nostri brani – spiega Ferri – sono stato contattato da molti altri artisti, anche più famosi di noi, alcuni dei quali mi hanno detto che pur avendo intenzione di farlo, non possono abbandonare la piattaforma perché non sono proprietari della loro musica. Abbiamo la fortuna di essere indipendenti e quindi di poter disporre delle nostre canzoni".

In effetti, come ricordava il post di Piero Pelù, gli artisti spesso non hanno alcun potere sulle loro canzoni e spetterebbe alle major discografiche prendere una posizione. Al contrario, le realtà indipendenti hanno più libertà d’azione. "Sappiamo quanto sia difficile lasciare, visto che dopo anni di utilizzo si è creata una lunga lista personale di brani – dice Giordano Sangiorgi, patron del Meeting delle etichette indipendenti (Mei), manifestazione che si svolge ogni anno a Faenza e raduna le principali produzioni indipendenti italiane –. Pensare di ricopiare una canzone alla volta può essere una buona idea solo per elenchi estremamente corti, in caso contrario si corre davvero il rischio di passare giorni e giorni per completare il processo. Per questo invitiamo a farlo con i tempi giusti". In una nota, il Mei ha anche spiegato come esportare le playlist salvate negli anni su Spotify. "Riteniamo sia utile dare un segnale in questo senso affinché la musica, senza fare retorica, non sia motore per le guerre in alcun modo". Nel frattempo c’è chi pensa alle alternative. Gli Arpioni, ad esempio, hanno optato per Tidal, che garantisce anche una buona qualità audio, mentre lo youtuber Marco Ielpo ha dedicato una puntata della sua rubrica “Musicista Smart” all’argomento, offrendo consigli utili.

Con le mani legate

In Italia tra gli artisti che hanno puntato l’indice contro Spotify figura anche il cantautore Alessandro Mannarino, che il 29 giugno a Roma, dal palco dell’evento “Non in mio nome”, ha lanciato un messaggio: "Investiranno in armi i proventi della nostra musica. È la negazione della coscienza umana". Anche Willie Peyote, il 19 luglio durante il concerto a Napoli, ha contestato Ek ricordando come spesso i diritti non appartengano all’artista ma alle etichette, che decidono se e come distribuire la musica: "Tutti siamo su Spotify, non è che io posso cancellarmi. Ma questo spende 600 milioni di dollari per droni militari. E ne ha spesi 150mila per la festa di insediamento di Trump. E nessun artista dice niente. E a me sembra abbastanza un controsenso".

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Paura delle ritorsioni

La sensazione è che molti artisti, pur non condividendo le strategie di Spotify, che ormai detiene un potere quasi monopolistico sulla promozione della musica digitale, preferiscano non schierarsi contro il colosso svedese, temendo danni all’immagine o ritorsioni da parte dell’algoritmo che “muove” la piattaforma. Detto ciò, nel caso in cui la mobilitazione dovesse crescere, la società potrebbe essere costretta a rivedere i criteri di investimento o introdurre politiche di trasparenza e responsabilità etica, anche se appare più probabile che decida di resistere alla pressione, scommettendo sul disinteresse del pubblico mainstream e sull’abitudine al servizio.

Da lavialibera n° 34, Il giornalismo che resiste

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