Roma, 23.04.2025, governo Meloni. Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT
Roma, 23.04.2025, governo Meloni. Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

Rosy Bindi: "Il governo non accetta il confronto e sminuisce il parlamento"

L'esecutivo guidato da Giorgia Meloni ricorre sempre più spesso ai decreti urgenti, escludendo il confronto con le camere. È la delegittimazione della politica, una svolta autoritaria che solo l'impegno dei più giovani può arrestare

Rosy Bindi

Rosy BindiEx ministra, presidente Commissione antimafia nella XVII legislatura

1 settembre 2025

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Negli ultimi tempi i governi ricorrono con preoccupante frequenza alla decretazione d'urgenza, intesa come la facoltà dell’esecutivo di emanare atti aventi forza di legge senza il necessario parere del parlamento. L’aumento vertiginoso di questi provvedimenti – oltre 100 dall’inizio dell’attuale legislatura – certifica una crisi della democrazia parlamentare che in Italia non ha precedenti.

Le camere, è bene ricordarlo, svolgono un’indispensabile funzione di controllo, anche attraverso il ruolo delle commissioni competenti (ad esempio, nelle nomine dei grandi enti), ma tale funzione oggi è aggirata dal governo attraverso il ricorso sistematico ai commissariamenti, che sono stati 65 in 616 giorni. Siamo di fronte a quella che i politologi definiscono "la dittatura della maggioranza", l’unico e vero limite della democrazia, che si realizza quando chi governa non accetta il confronto parlamentare. 

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Il potere nelle mani di pochi

La democrazia nostrana deve fare in conti con la "delegittimazione della politica", peraltro coincidente con la delegittimazione del parlamento, che si traduce in un diffuso senso di sfiducia nei confronti dell’efficacia delle azioni promosse dalle istituzioni. Molti giudicano i politici inconcludenti, nullafacenti e incompetenti: è vero, i corrotti ci sono stati e continuano a esserci, ma molti dei politici che ci rappresentano in parlamento non sono persone disoneste e incapaci.

Ho sempre sostenuto che non distinguere il politico buono da quello cattivo giovi solo a quest’ultimo. Tra l’altro, nessuno, a parte qualche caso isolato, oggi si informa realmente su ciò che accade nelle aule parlamentari e nelle commissioni, o conosce le centinaia e migliaia di emendamenti presentati. Questo qualunquismo imperante è una delle cause della delegittimazione della politica, dei partiti e del parlamento. 

Molti giudicano i politici inconcludenti, nullafacenti e incompetenti: è vero, i corrotti ci sono stati e continuano a esserci, ma molti dei politici che ci rappresentano in parlamento non sono persone disoneste e incapaci. Non distinguere il politico buono da quello cattivo giova solo a quest'ultimo

Tutto il potere si sposta così sull'azione di governo, l’unico in grado di prendere decisioni con una velocità che il parlamento non può assicurare. E di pari passo cresce l’insofferenza nei confronti delle opposizioni, ritenute incapaci. Un quadro esacerbato dal sistema maggioritario, che attribuisce a chi vince le elezioni un numero tale di parlamentari che, una volta saliti al potere, fanno il buono e il cattivo tempo.Il maggioritario ha finito per trasformare il parlamento nella sede del potere della maggioranza e non più in luogo di confronto tra chi governa e chi fa opposizione. 

Le battaglie delle opposizioni

A certificare la crisi della democrazia contribuiscono anche le aberranti proposte di riforma della Costituzione presentate dal governo. Come diceva Piero Calamandrei, quando si discute di Costituzione i banchi del governo dovrebbero essere liberi, ma ciò non sta accadendo.

Quello dell’esecutivo è un atto di forza che sembra puntare al superamento definitivo della democrazia parlamentare: non resta quindi che affidarsi alle opposizioni, chiamate a contrastare la riforma della giustizia, l'autonomia differenziata e il premierato, anche se la sfida principale è un’altra: introdurre un sistema elettorale proporzionale in grado di restituire al parlamento il potere che la Costituzione gli assegna e che sta venendo meno. 

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Il popolo sovrano

È sensazione diffusa che oggi cittadine e cittadini siano più propensi ad accettare una donna o un uomo soli al comando. Credere, però, che sia più facile identificarsi con una persona e non con una rappresentanza plurale è solo un illusione. D’altronde, la forza della democrazia risiede proprio nell'esercizio di un potere controllato e bilanciato che soltanto il parlamento può assicurare.

Se abbiamo goduto di ottant’anni di pace e di benessere è merito della democrazia, non possiamo dimenticarlo

E quando si umilia il parlamento si umilia la sovranità popolare. Non resta allora che coltivare la vocazione all'esercizio pieno della cittadinanza, perché nessuno può sentirsi estraneo o disinteressato rispetto a quello che sta accadendo: la fine delle democrazie, il ritorno degli imperialismi, delle autocrazie e, di conseguenza, l'aumento delle disuguaglianze e il proliferare delle guerre. Se abbiamo goduto di ottant’anni di pace e di benessere è merito della democrazia, non dimentichiamolo.

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Se ciascuno di noi si tirerà indietro e non farà la propria parte, avremo classi dirigenti sempre peggiori. Non troppo tempo fa milioni di persone iscritte a partiti, sindacati e associazioni avevano un rapporto con la cosa pubblica paragonabile al rapporto con tutto ciò che atteneva alla sfera privata. Avevano saldato l'interesse individuale, legittimo, di gruppo, di famiglia e di territorio con l'interesse generale. È questo che oggi va recuperato e per farlo non resta che affidarsi ai giovani e alla loro spregiudicatezza. 

Noi adulti non siamo stati in grado di preservare i valori della democrazia, ma non tutto è perduto

Noi adulti non siamo stati in grado di preservare i valori della democrazia, ma non tutto è perduto. La rotta può essere invertita, ma spetta a ragazze e ragazzi mettersi in gioco. Nessuno regalerà loro niente e se ciò accadrà è perché dietro ci sarà un interesse. Ogni cosa va sempre conquistata, in fondo è questa la forza della democrazia.

Da lavialibera n° 34, Il giornalismo che resiste

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