
A Gaza, la tragedia dei dispersi e dei corpi senza nome. Reportage dalla Striscia


18 novembre 2025

Bologna, luglio 2025. Nonostante il calo termico della settimana precedente, la città vive un’estate estrema: nelle giornate più calde i termometri toccano i 39 °C, con punte al suolo vicine ai 60°, come rilevato da Legambiente durante la campagna nazionale “Che caldo che fa!”, ospitata in città. Dall’11 luglio il Comune ha collocato in piazza Nettuno, Re Enzo, Galvani e Mercanzia 160 vasi grigi con piccoli alberi e arbusti, alti in media quattro metri e con chiome di circa 150 centimetri di diametro, su ordinanza urgente del sindaco Matteo Lepore per “migliorare il microclima urbano”. L’intervento, costato 128.000 euro, e le immagini degli esili alberelli, proposti come soluzione climatica, hanno subito scatenato le critiche di alcuni comitati ambientalisti. “Misura simbolica e inefficace”, hanno denunciato le attiviste di Extinction Rebellion Bologna, che, adottando uno degli alberi in piazza Maggiore, ribattezzato Ribellione, hanno voluto denunciare “le contraddizioni di un’amministrazione che parla di sostenibilità ma continua ad abbattere alberi e consumare suolo”. Questo, però, è solo l’ultimo di una serie di scontri, registrati negli ultimi anni a Bologna, tra comitati cittadini ambientalisti e un’amministrazione comunale accusata di essere solo apparentemente green, ma in realtà dedita al mercato del cemento.
Chi protegge gli alberi? La mappa delle mobilitazioni in Italia
L’ultimo caso, ancora aperto, riguarda, infatti, l’ecodistretto del quartiere Navile. Nella zona nord-ovest, in un’area occupata dal bosco urbano Bertalia–Lazzaretto, il Comune di Bologna intende realizzare quello che definisce “ecodistretto”: un progetto edilizio da circa 55 milioni di euro per la costruzione di 236 alloggi - 117 destinati all’edilizia sociale e 119 per studenti meritevoli - su una superficie utile di circa 11.000 metri quadrati. La scorsa estate il piano è stato inserito nel Programma Triennale dei Lavori Pubblici, avviando contestualmente un percorso partecipativo sulle aree verdi del comparto. L’amministrazione ha sin da subito presentato l’intervento come modello di una “nuova comunità residenziale ecosostenibile”, dotata di orti urbani, tetti verdi e spazi per la mobilità dolce.
Non tutti, però, condividono questa visione. In una lettera aperta, pubblicata nel luglio 2025, il Comitato Bertalia–Lazzaretto si è detto "attonito, tra l’imbarazzo e lo stupore", denunciando che "presto l’ennesimo polmone verde della città verrà tristemente regalato alla speculazione edilizia". L’area, spiegano i cittadini, è "un bosco rinaturalizzato da decenni, esteso per 73 ettari e popolato da querce e alberi ad alto fusto". "Un bosco stabile rinaturalizzato non ha la stessa valenza di aiuole e alberelli di nuovo impianto — scrivono — né dal punto di vista idrogeologico, né da quello della biodiversità o dell’abbattimento dell’inquinamento dell’aria. Visti gli eventi alluvionali recenti, edificare su terreno tombato e impermeabilizzato ci preoccupa".
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"Molti restano indifferenti fino a quando non si trovano l’acqua sotto – o addirittura dentro – casa. Se riuscissimo a coinvolgere e sensibilizzare più persone, sarebbe un passo fondamentale per il futuro del nostro Paese, considerando l’aumento dei disastri legati alle alluvioni e della loro frequenza"Andrea Farinelli - Frtello di Simone, vittima delle alluvioni dell'ottobre 2024
Le paure dei residenti non sono infondate. L’Emilia-Romagna – attesta il recente report pubblicato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) – è la prima regione in Italia superficie naturale trasformata in aree artificiali nel 2024. A questo record si accompagna a un altro primato: l’Emilia-Romagna, secondo il rapporto Città Clima di Legambiente, è in testa tra le regioni italiane per numero di eventi meteorologici estremi (52), definiti dalla World Meteorological Organization come fenomeni "rari per intensità, durata o estensione" rispetto alle condizioni climatiche di un luogo. Nel maggio 2023, la vicina Romagna è stata colpita da una delle peggiori alluvioni degli ultimi decenni: 17 vittime, oltre 20.000 sfollati e danni stimati in 8,8 miliardi di euro. Un anno e mezzo dopo, tra il 19 e il 20 ottobre 2024, proprio a Bologna sono caduti oltre 180 mm di pioggia in ventiquattro ore, quasi tre volte la media autunnale e un terzo delle precipitazioni annuali della zona. In quei due giorni, il Rio Caurinzano ha superato la propria capacità di deflusso, esondando e trasformando le strade in torrenti, proprio quando il ventenne Simone Farinelli stava tornando a casa con suo fratello Andrea, in Val di Zena, sull’Appennino bolognese.
I due, trovandosi in macchina, sono stati travolti dalla piena improvvisa e, mentre Andrea è riuscito a salvarsi, Simone non ce l’ha fatta. "Quel giorno ho vissuto un’esperienza drammatica, che è stata come trovarsi all’inferno. Non riesco a cancellare dalla mente ciò che è successo e continuo a riviverlo ogni giorno. Voglio però trasformare quell’esperienza terribile in un momento di forza", racconta Andrea Farinelli a lavialibera. Da oltre un anno, sulla sua pagina Instagram (@_andreafarinelli_), cerca di trattare anche questo delicato tema, profondamente connesso alla sua vita personale. "Molti restano indifferenti fino a quando non si trovano l’acqua sotto – o addirittura dentro – casa. Se riuscissimo a coinvolgere e sensibilizzare più persone, sarebbe un passo fondamentale per il futuro del nostro Paese, considerando l’aumento dei disastri legati alle alluvioni e della loro frequenza", aggiunge.
Nonostante la natura torrenziale di queste piogge alimenti la retorica dell’inevitabilità degli effetti nefasti di fenomeni così imponenti, la cementificazione è, in realtà, un moltiplicatore della loro dannosità. Secondo l’Ispra, il suolo impermeabilizzato "riduce drasticamente la capacità dell’acqua di infiltrarsi" e "lo scorrimento superficiale aumenta in volume e velocità, causando evidenti problemi nel controllo delle acque durante piogge intense". Nonostante questo rischio, lo scorso anno, l’Italia ha perso 78,5 km² di suolo naturale - l’equivalente di 12.000 campi da calcio - recuperandone appena 5 km², trasformazione guidata proprio dai cantieri (49 km²) e dagli impianti fotovoltaici a terra (17 km²). Questo fenomeno è particolarmente evidente sul territorio di Bologna e della sua area metropolitana: secondo l’Osservatorio metropolitano sul consumo di suolo, la città e i comuni contigui stanno assistendo a una crescente impermeabilizzazione delle superfici, danneggiando la capacità naturale del territorio di assorbire l’acqua. L’incremento di oltre 130 ettari di suolo netto consumato nel capoluogo emiliano lo scorso anno, rilevato dall’Ispra, ne è una conferma.
Il consumo di suolo e le sue gravi conseguenze
"Per noi l’opera appariva inutile sin da subito, oltreché dannosa dal punto di vista ambientale, dato che sottraeva spazio verde ed alberi alla cittadinanza"Benedetta - Attivista del comitato Besta
In questo contesto, le tensioni tra amministrazione e cittadini non sono nuove. Già nel 2024, il parco don Bosco, nel quartiere San Donato, era diventato teatro di scontro tra il Comune e il Comitato Besta, formato da residenti, insegnanti, studenti e collettivi cittadini. Il progetto prevedeva la demolizione e ricostruzione dell’istituto “Besta” all’interno del parco, con un costo pubblico di oltre 18 milioni di euro, la cantierizzazione di 1,5 ettari di area verde e l’abbattimento di circa 40 alberi. "Per noi l’opera appariva inutile sin da subito, oltreché dannosa dal punto di vista ambientale, dato che sottraeva spazio verde ed alberi alla cittadinanza", ricorda Benedetta, attivista del comitato. "Non siamo contrari alle scuole, ma costruirne una nuova distruggendo un parco è una contraddizione. Chiedevamo che l’istituto fosse ristrutturato dove si trova, senza toccare il verde". I manifestanti, in quell’occasione, adottarono nuovi mezzi pacifici di resistenza ambientale: seguendo l’esempio di alcune pratiche diffuse in Germania e Francia, nella primavera del 2024 hanno occupato simbolicamente gli alberi del Don Bosco, costruendoci sopra delle casette.
Tuttavia, la reazione delle autorità è stata dura. Nelle giornate del 3 aprile e del 20 giugno 2024 le forze dell’ordine sono intervenute con forza contro i manifestanti e circa venti attivisti sono tuttora indagati, tra l’altro, per resistenza a pubblico ufficiale, reato che, nella sua forma aggravata, prevede una pena massima pari a 15 anni di reclusione. La brutalità delle cariche poliziesche ha indotto la giunta a ritirare il progetto originario, tanto che, nel luglio 2024, il sindaco Lepore dichiarava: "Bologna non merita uno sgombero modello G8 di un parco pubblico per costruire una scuola". A seguito della rinuncia al progetto, l’amministrazione ha dovuto pagare una penale di un milione di euro ai costruttori, i quali non avevano mai avviato i lavori. Ciò che resta è un “percorso partecipato” avviato dal Comune: quegli stessi attivisti che dovranno affrontare un procedimento penale per le loro proteste, oggi, siedono al tavolo delle istituzioni che li avevano originariamente ignorati.

Il primo e più simbolico conflitto tra il Comune bolognese e i comitati ambientalisti resta, però, quello dei Prati di Caprara, bosco spontaneo di 47 ettari minacciato da interventi edilizi fin dal 2016. "Ormai otto anni fa – racconta l’architetto in pensione e attivista del comitato Salviamo i Prati di Caprara, Piergiorgio Rocchi – il Comune incluse quell’area nei piani edificatori. Erano previsti oltre 1.300 alloggi, un grande centro commerciale e una scuola. Abbiamo raccolto subito 10.000 firme e organizzato la prima passeggiata dentro il bosco, con oltre 500 persone". Da quel momento è nato un presidio civico ancora esistente che unisce residenti, professionisti, urbanisti, geologi, architetti, tutti decisi a salvare il parco. "Abbiamo raccolto competenze ed esperienze in modo del tutto spontaneo e solidale, fino a pubblicare un libro per sottolineare il valore dei Prati. Volevamo che tutti capissero che non si trattava solo di un pezzo di terreno, ma di un ecosistema vivente".
La pressione civile, insieme alla scadenza del precedente Piano operativo comunale, ha portato a un risultato concreto: il Comune ha rinunciato all’investimento previsto e, con il cambio di giunta, quel progetto oggi è in standby. Ma, avverte Rocchi, "quella vittoria resta un’eccezione. Siamo riusciti a mantenere lo stato del passato senza alimentare l’economia edilizia dannosa, ma il modello generale del Comune non è cambiato". Infatti, nonostante le iniziative del Piano Bologna Verde, 20 milioni di euro destinati alla forestazione urbana, e 160 alberelli in vaso collocati nelle piazze del centro l’estate scorsa, per il costo complessivo di circa 120.000 euro, le voci dei comitati ambientalisti e i dati ISPRA non confermano la “svolta ecologica” annunciata.
Tra consumo di suolo crescente e rischi idrogeologici in aumento, Bologna resta il simbolo di una contraddizione: una città che parla di sostenibilità mentre perde, anno dopo anno, il proprio suolo naturale.
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