26 giugno 2024
Soltanto nel 2022, in Italia, il consumo del suolo ha fatto sparire un’area di 77 km2, l’equivalente di 11mila campi da calcio (quasi la metà della superficie del Comune di Milano). Terreni non edificati sono scomparsi sotto coltri di cemento e asfalto per lasciare spazio a complessi residenziali, ipermercati, poli logistici, strade e ferrovie, impianti sportivi (come certe strutture delle olimpiadi invernali sulle Alpi) o anche impianti fotovoltaici a terra. Si tratta del 10 per cento in più rispetto quanto avvenuto nel 2021, secondo un rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), pubblicato a fine 2023. E dire che l’Italia dovrebbe azzerare questa cresciuta entro sette anni, come prevede l’Agenda 2030 dell’Onu.
Ma perché è un problema così grande? Le conseguenze del consumo di suolo naturale sono molteplici e non riguardano soltanto la diminuzione di aree naturali, ma anche il surriscaldamento della terra (per esempio, in estate le aree urbane hanno temperature più calde) e il rischio idrogeologico, con maggiori possibilità di alluvioni e frane.
L'Italia del dissesto idrogeologico
Come spiegato sul geoportale creato da Ispra in collaborazione con Arpa Piemonte, il suolo è lo strato più superficiale del terreno; offre cibo, biomassa, materie prime e raccoglie acqua, nutrienti e carbonio. Per formarsi richiede periodi molto lunghi: “Negli ambienti temperati si forma un centimetro di suolo ogni 200-400 anni”. Per queste ragioni il suolo è una risorsa limitata e non rinnovabile. La rigenerazione di aree urbanizzate e cementificate è importante, ma se il suolo impiega così tanto a formarsi, con tutte le caratteristiche sopracitate, la rigenerazione non riporterà lo strato più esterno del terreno alla sua condizione precedente prima di centinaia di anni.
In Italia nel 2006 la percentuale di suolo artificiale era del 6,73 per cento ed è cresciuta negli anni successivi per arrivare al 7 per cento nel 2015, illustra il rapporto dell’Ispra e del Snpa. Il 2015 è stato l’anno dell’Agenda 2030, ma da allora lo sfruttamento delle superfici non è diminuito. Ogni anno, l’incremento netto – ovvero l’incremento comprensivo di interventi per demolire, recuperare, rendere non più impermeabile e "rinaturalizzare" le aree – di suolo artificializzato è aumentato gradualmente, con una lieve flessione tra il 2018 e il 2020. In quei due anni è stato di circa 62 e 57 km2, (contro i quasi 63 km2 tra il 2017 e il 2018) per poi tornare a crescere costantemente negli anni successivi. Dal 2015, il dato più alto di incremento netto è stato registrato invece nell’ultima rilevazione, tra il 2021 e il 2022: 70,8 km2.
La rimozione di suolo naturale, di alberi e l’aumento di aree impermeabilizzate ha anche un effetto sulla temperatura delle zone urbane, soprattutto negli ultimi anni in cui le estati sono sempre più calde. In particolare la cementificazione crea le cosiddette “isole di calore”, spazi urbani in cui la temperatura si alza a causa dell’asfalto. In uno studio del Centro nazionale di ricerca, sede di Firenze, in collaborazione con Ispra, su dieci città metropolitane italiane, le isole di calore più intense sono state individuate nelle città più interne e di dimensioni maggiori. Tra queste, per esempio, Torino, in cui l’aumento di consumo di suolo e la presenza di pochi alberi nelle aree centrali ha fatto aumentare la temperatura media estiva di 4°C. A Bologna e a Firenze, la crescita è stata invece intorno ai 3°C. Quarta Milano con aumento sotto i 2°C.
Gli alberi non si tagliano: protesta a Torino
"Quando si rende il suolo impermeabile, tutta l’acqua caduta in quelle nuove aree sottratte al suolo naturale dovrà defluire per infiltrarsi nel suolo naturale e lo farà con maggiore velocità e con maggiore intensità"Gabriele Scarascia Mugnozza - Professore ordinario di Geologia applicata
L’aumento di consumo di suolo innalza anche il rischio idrogeologico, ad esempio il rischio di frane o alluvioni. “Il rischio di natura geologica è dovuto all’insieme di tre fattori: la pericolosità, l’esposizione e la vulnerabilità”, dice intervistato Gabriele Scarascia Mugnozza, professore ordinario di Geologia applicata all’Università “La Sapienza" di Roma e presidente della Commissione nazionale per la previsione e prevenzione dei grandi rischi dal 2017 al 2023.
In Italia avvengono i due terzi delle frane censite in Europa, riporta Ispra sulla base di un’indagine di EuroGeoSurveys del 2015. Inoltre “l’Italia ha una densità abitativa, di infrastrutture, di beni culturali, di beni ambientali molto elevata e perciò è ‘esposta’ a processi di frana e alluvione in maniera elevata”, spiega ancora Scarascia Mugnozza. Infine, spesso gli argini artificiali dei corsi d’acqua non sono in grado di gestire le piene e quindi abbiamo, in questo ambito, un’elevata vulnerabilità.
Ma tornando indietro, è soprattutto nell’esposizione che entra in gioco il consumo di suolo: “È chiaro che – dice ancora Scarascia Mugnozza – quando si rende il suolo impermeabile, tutta l’acqua caduta in quelle nuove aree sottratte al suolo naturale dovrà defluire per infiltrarsi nel suolo naturale e lo farà con maggiore velocità e con maggiore intensità. Ci saranno maggiori volumi di acqua che confluiranno in volumi ridotti. Il consumo di suolo quindi rende quelli che chiamiamo processi di deflusso superficiale – run off in inglese – maggiori e più elevati. Perciò le portate dei fiumi aumentano, di conseguenza ci sono maggiori probabilità che questi esondino e quindi maggior impatto dell’acqua sui versanti, con il rischio che provochino frane. È un nesso di causa ed effetto ormai ben noto. Inoltre questo va a scapito delle risorse idriche sotterranee, perché l’acqua che defluisce in superficie va nei fiumi o nel mare. Se l’acqua potesse essere ritenuta dal suolo e poi infiltrarsi nel terreno ricaricherebbe le falde idriche”.
Nel maggio del 2023, con l’alluvione in Romagna si sono manifestati chiaramente questi fattori di rischio: il suolo, artificializzato per l’8,89 per cento (2022), non è stato in grado di gestire le piene fuoriuscite dagli argini, che non hanno retto. In più ci sono stati casi di costruzioni pericolose, come fa notare Scarascia Mugnozza: “A ridosso di un argine che si è rotto era stata costruita una casa, che è stata portata via dall’acqua”.
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La tutela dell’ambiente è anche prevista dalla Costituzione della Repubblica dopo le riforme degli articoli 9 e 11. Ma una legge dello Stato che regoli il consumo di suolo non esiste
Oltre al fatto che l’azzeramento del consumo di suolo è uno dei target dell’Agenda 2030, la tutela dell’ambiente è anche prevista dalla Costituzione della Repubblica dopo le riforme degli articoli 9 e 11. Ma una legge dello Stato che regoli il consumo di suolo non esiste. Ci sono a livello regionale delle linee di intervento – per esempio in Piemonte e in Lombardia – ma non c’è una direzione comune alla quale le regioni e i comuni possano fare riferimento per agire con gli strumenti di controllo e pianificazione del territorio come i piani regolatori. Ispra monitora il fenomeno e di recente ha pubblicato delle linee guida per i territori.
In parlamento ci sono alcuni disegni di legge. Tra questi c’è quello a firma Chiara Braga, deputata del Partito democratico, che è stato per esempio assegnato a settembre dello scorso anno alla commissione VIII Ambiente della Camera, così come il disegno presentato da Angelo Bonelli e altri di Alleanza Verdi e Sinistra italiana. Tra le altre proposte, sempre alla Camera, sta proseguendo nel suo iter una proposta sulle disposizioni per il contrasto al consumo di suolo, il riuso e la rigenerazione urbana a firma Patty L’Abbate, del Movimento Stelle. “Abbiamo intenzione come governo di presentare nei tempi dovuti una legge quadro perché queste competenze sono poi ripartite a livelli regionali e comunali; legge quadro che deve avere proprio come ridisegno il consumo del suolo”, aveva annunciato lo scorso novembre il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin. Tuttavia, da allora l’intenzione non è stata ripresa e portata avanti.
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