Una protesta contro l'abbattimento degli alberi a Torino (Foto Marco Panzarella)
Una protesta contro l'abbattimento degli alberi a Torino (Foto Marco Panzarella)

Gli alberi stanno morendo, colpa della crisi climatica

In molte città italiane sono stati tagliati migliaia di esemplari adulti, sfiniti da condizioni meteorologiche imprevedibili. Lo Stato e l'Europa hanno un piano per provare a ristabilire l'equilibrio del verde pubblico, ma la carenza di vivai e piante rende tutto più difficile

Ylenia Sina

Ylenia SinaGiornalista

Aggiornato il giorno 23 agosto 2023

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Il 29 marzo scorso il comune di Torino ha diffuso una nota stampa comunicando che  circa mille piante dei parchi cittadini sarebbero state tagliate perché morte, a causa  del caldo e della siccità dell’estate del 2022. Non si tratta di alberi appena piantati, più  soggetti agli stress legati all’ambiente urbano e alle condizioni climatiche, ma esemplari adulti "che in condizioni normali sarebbero stati autosufficienti".  Anche se il Piemonte è la regione che più ha sofferto una siccità che dura da circa due anni, quanto accaduto a Torino racconta un problema che riguarda anche altre città.  "L’estate scorsa tutto il nord Italia ha vissuto una situazione simile e, anche se in questo momento non sono a conoscenza di altri  casi, mi aspetto che la stessa cosa possa  accadere altrove", spiega Giorgio Vacchiano, ricercatore e docente in gestione e pianificazione forestale all’università statale  di Milano.

Senza mezze misure

Secondo un report di marzo della Commissione europea, il nord Italia è tra le zone più colpite dalla siccità in Europa, insieme a Francia e Spagna. Nel  mese di luglio 2022, secondo il Cnr – Consiglio nazionale delle ricerche – il 21,21 per cento del territorio italiano ha subito una  siccità "severo estrema" e le regioni più colpite sono state quelle del Nord: i territori a  Est, ma soprattutto il Piemonte."L’anno scorso abbiamo visto le foglie ingiallire e cadere  già ad agosto, perché gli alberi si sono difesi cercando di risparmiare l’acqua che evapora da esse. Così facendo, però, hanno rinunciato alla fotosintesi e quindi a nutrirsi".

Il nord Italia è tra le zone più colpite dalla siccità in Europa, insieme a Francia e Spagna

Anche le recenti precipitazioni non danno garanzia di un’inversione di tendenza: "Non possiamo  saperlo con certezza, dipenderà dalla capacità del suolo di assorbire quest’acqua e renderla disponibile alle piante. Il rischio è che quando tanta acqua cade su un terreno secco tende a scorrere via senza infiltrarsi", continua il ricercatore. La crisi climatica, aggiunge, "ci ha portato a passare velocemente, come in un pungiball, da periodi molto secchi a periodi molto umidi e questo ci espone  ai rischi di entrambe le condizioni".

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Il verde fa bene

Sembra un ossimoro, ma  le città non possono fare a meno degli alberi. "L’assorbimento della CO2  non è lo scopo  principale, perché le emissioni negli ambienti urbani sono molto alte e per ridurle  bisogna agire in altro modo", spiega Vacchiano. Il contributo riguarda piuttosto l’adattamento: "La temperatura diminuisce fino a 6  o 7 gradi; vengono assorbite fino a un quinto  delle polveri sottili; si riduce il rischio di allagamenti durante i nubifragi perché l’acqua  non arriva tutta insieme sul terreno, oltre al fatto che dove ci sono alberi il suolo non è impermeabilizzato.

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Potremmo aggiungere gli effetti indiretti sulla salute di chi frequenta  le aree verdi, sull’umore, sulla maggiore coesione sociale". Secondo uno studio del gennaio 2023 pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet, la riduzione della temperatura in città che deriverebbe da un aumento del  30 per cento della copertura arborea potrebbe prevenire 2.644 morti premature legate a  questa motivazione. "A giovarne sono i più vulnerabili, come le persone con problemi cardiovascolari o gli anziani", osserva ancora Vacchiano, che aggiunge: "Gli alberi do- vrebbero essere un’infrastruttura al servizio  dei cittadini al pari delle strade".

Costi e benefici

Per capire l’impatto delle aree verdi alberate in città serve però comprendere un altro elemento:  "Gli effetti sono molto localizzati e si riscontrano nelle vicinanze delle aree alberate. L’University of British Columbia ha elaborato il  parametro empirico del 3-30-300; per godere dei benefici del verde una persona dovrebbe  poter vedere almeno tre alberi dalla sua abitazione, vivere in un quartiere dove almeno il  30 per cento della superficie è naturale; avere un parco a una distanza massima di 300  metri. In molte città, invece, la distribuzione è diseguale e nei centri storici è molto difficile aumentare la dotazione". Anche se non  impossibile: "Ci sono esperienze a Parigi o  Barcellona di depavimentazione che ci dicono che è una strada percorribile.

Ci sono esperienze a Parigi o Barcellona di depavimentazione che ci dicono che è una strada percorribile

Ovviamente  è un costo, soprattutto per quanto riguarda la manutenzione, ma ogni euro investito in alberi in città può rendere tra i quattro e i cinque euro in termini di risparmio dei costi sanitari e di quelli energetici, di riduzione dei danni delle alluvioni, di aumento del valore delle case".  Per capire l’impatto di quanto accaduto a Torino, il numero assoluto di alberi morti non  basta. Mille alberi, infatti, rappresentano lo 0,3 per cento dei circa 340mila esemplari presenti in città, ma non si può non tenere  conto che le operazioni di abbattimento risulteranno più evidenti in alcune zone, quelle in cui il taglio riguarderà "alcune decine di soggetti, anche con alberi di grandi dimensioni",  scrive l’amministrazione di Torino.

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Il caso di Roma

 Non è solo la siccità a uccidere gli alberi nelle città. A Roma, per esempio, agli effetti del cambiamento climatico si  aggiungono quelli della Toumeyella parvicornis, conosciuta come cocciniglia tartaruga,  un insetto esotico invasivo individuato per la prima volta in Campania nel 2015 che poi si è diffuso anche nel Lazio, facendo strage dei pini di Roma. "Questo insetto succhia la linfa dagli aghi che, danneggiati, si ricoprono di una pellicola nerastra che impedisce la fotosintesi facendo morire la pianta", spiega ancora Vacchiano. La cocciniglia tartaruga non ha predatori che ne limitino la crescita. Inoltre, per trovare una cura, ovvero iniezioni dell’insetticida abamectina nei tronchi, ci è voluto del tempo. Senza contare che a più riprese i comitati locali hanno denunciato i ritardi e i pochi fondi a disposizione.

Senza contare che a più riprese i comitati locali hanno denunciato i ritardi e i pochi fondi a disposizione

Ad aver  calcolato il patrimonio arboreo andato perduto è l’Agenzia per il controllo e la qualità  dei servizi pubblici locali (Acos) di Roma Capitale, secondo cui dal 2015 al 2021 a Roma sono stati tagliati oltre 4.400 alberi senza che altri esemplari venissero messi a dimora (sono 9.806 gli arbusti tagliati contro i 5.378 ripiantumati).

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Solo da gennaio a maggio 2023 ne sono stati abbattuti 2.012, a fronte di 418 ripiantumazioni, anche se l’amministrazion fa sapere che pareggerà il conto entro la fine dell’anno e di avere all’attivo diversi progetti per un totale di circa 10mila alberi da piantumare (tra quelli già terminati e altri ancora da realizzare, tra finanziamenti del decreto Clima e altri bandi del Mite). Secondo il report di Acos, sulle condizioni delle alberature romane hanno influito la siccità intervallata da eventi meteorologici estremi, incendi, mancata manutenzione e, appunto, la cocciniglia.

Mancano i vivai

Le città sono particolarmente esposte agli effetti del cambiamento climatico. È anche per questo che una parte dei 3 miliardi di alberi che andranno piantati in Europa entro il 2030, secondo la Strategia per la biodiversità approvata nel maggio del 2020 all’interno del quadro del Green deal, dovrebbero finire in città. Anche il Pnrr ha stanziato 330 milioni di euro per piantumare 6,6 milioni di alberi nelle 14 città metropolitane entro il 2024.

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Solo l’anno scorso sono  stati approvati progetti per 84 milioni di euro,  per un totale di poco più di due milioni di alberi da piantare. Prima che gli abitanti possano vedere i risultati, però, passerà ancora qualche anno. Nonostante il target risulti raggiunto sul sistema Regis, sviluppato dalla ragioneria generale dello stato per monitorare i progetti del Pnrr, il 16 marzo scorso il collegio del controllo concomitante della Corte dei Conti ha emesso una delibera con la quale ha  espresso perplessità in merito.

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Per i magistrati contabili il problema principale è di natura strutturale: mancano le piantine. Il ministero dell’Ambiente ha ritenuto sufficiente ai fini del raggiungimento del target il ricorso alla semina in vivaio, necessario a garantire la crescita nelle prime fasi più delicate. Per la Corte dei Conti, invece, si tratta di un’attività extra progettuale che non può sostituire la piantumazione di un piccolo albero nel luogo di destinazione finale: "Alla luce delle risultanze istruttorie [...] emergono dubbi e perplessità sull’effettiva proponibilità di una tale equiparazione tra le due modalità", si legge nella delibera. La Commissione europea non si è ancora espressa, eppure il problema resta: mancano le piante e mancano i vivai dove farle crescere.

Per i magistrati contabili il problema principale è di natura strutturale: mancano le piantine

Il motivo è legato al fatto che dal 2001, anno in cui la competenza è stata trasferita  alle regioni, i vivai pubblici destinati a questo scopo sono progressivamente diminuiti. Il comparto si è ulteriormente indebolito nel 2017 quando una legge del governo Renzi, nata per "razionalizzare le funzioni di polizia", ha deciso che il Corpo forestale dello  Stato dovesse essere assorbito dall’arma dei  carabinieri. Da allora, in molti hanno denunciato come le competenze della forestale, soprattutto quelle che riguardano i rimboschimenti, si siano progressivamente indebolite, e siano rimaste solo quelle di controllo e monitoraggio proprie di un corpo militare come i carabinieri.  

Le competenze della forestale sui rimboschimenti si sono progressivamente indebolite

Problemi nelle città italiane

Nell’Indagine sulla produzione vivaistica forestale pubblica in Italia, pubblicata nel 2022  da un gruppo di ricercatori dell’università degli Studi di Firenze, emerge che in Italia nel 2019 erano attivi 71 vivai gestiti più o meno direttamente dagli uffici regionali, di cui solo 31 dedicati esclusivamente per usi forestali. La produzione totale è di circa 4 milioni di piantine all’anno. A Catania "non è stata messa a dimora alcuna essenza forestale". A Messina (15,9 milioni di euro per circa 445mila piante) "si presume che verosimilmente per la data del 10 dicembre 2022 non verranno messe a dimora piantine oggetto degli interventi". A Roma non sono riusciti a fare i collaudi perché, sostengono i carabinieri, "la semina in vivaio non può essere assimilata alla forestazione urbana". A riguardo, l’amministrazione ha fatto sapere che le 208 mila piantine finanziate con 9 milioni di euro per il primo anno stanno crescendo in vivaio e verranno messe a dimora tra l’autunno e l’inverno. A Palermo i lavori risultano sospesi, mentre a Napoli (10,5 milioni, 190mila piante) "è in corso di definizione una convenzione tra il ministero dell’Ambiente e regione Campania per l’individuazione di vivai regionali da utilizzare".

Terra perduta

C’è anche il problema dell’alto consumo di suolo. La città metropolitana di Firenze, per esempio, "è stata esclusa dall’assegnazione dei fondi Pnrr perché non è stata in grado di reperire la superficie minima da rimboschire pari a 30 ettari". A Milano la gara è andata deserta e non risultano progetti in esecuzione perché, si legge nel documento, "l’Area metropolitana ha un’altissima densità abitativa e risulta quasi impossibile procedere", tanto che l’amministrazione ha chiesto di poter modificare il bando per potere accedere ai finanziamenti. A Torino, invece,molte piante sono morte: "È emersa la conformità con quanto progettato, pure evidenziando l’elevato numero di piante seccate o danneggiate a causa dell’estrema siccità occorsa nell’ultimo anno, alla cui sostituzione sono obbligate le ditte esecutrici". 

Siccità, gli invasi non sono la soluzione

La crisi climatica, riprende Vacchiano, "sta ponendo delle sfide senza precedenti. Le  piogge si sono spostate dall’estate all’autunno o all’inverno così, nel periodo in cui ne hanno più bisogno, le piante hanno meno acqua”, spiega il ricercatore . O siamo noi a fornirla oppure entrano in stress, e questo ormai riguarda anche le piante adulte dalle quali normalmente ci  aspettavamo un buon funzionamento autonomo". Un secondo aspetto riguarda il tipo di piante. "Ormai anche al Nord stiamo ragionando sull’introduzione di alberi dell’Italia mediterranea che iniziano a comportarsi  meglio degli altri. Come il cerro, una quercia  appenninica ormai da preferire alla tradizionale quercia farnia di pianura; mentre l’acero  campestre è più adattabile dell’acero montano". Infine il terzo aspetto.

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"La siccità fa cambiare i metodi di gestione di questi impianti  di manutenzione; si inizia a sperimentare  l’uso di gel idroritentori per trattenere l’umidità o l’inoculazione di funghi simbionti aumentare l’assorbimento di acqua e nutrienti  da parte delle radici. D’estate abbiamo, inoltre, sperimentato che è meglio non tagliare  l’erba perché abbassa la temperatura del  suolo e trattiene l’umidità". Reperire gli alberi non è l’unico problema.

Servono le giuste competenze nelle grandi città

Servono le giuste competenze nelle grandi città, quelle su cui si concentra il Pnrr "dove, nonostante siano attivi da anni uffici dedicati alla gestione del verde, il confronto è serratissimo". Ma anche nei centri medi e piccoli. "Sono quelli più in difficoltà perché hanno meno fondi e meno tecnici adeguatamente formati". La sfida si gioca anche qui. E non riguarda solo la capacità di piantare milioni di alberi, ma di gestirli e prendersene cura una volta cresciuti.

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