Le banche del germoplasma hanno l'obiettivo di raccogliere e studiare la variabilità genetica e proteggere la biodiversità. Foto: Usaid/Flickr
Le banche del germoplasma hanno l'obiettivo di raccogliere e studiare la variabilità genetica e proteggere la biodiversità. Foto: Usaid/Flickr

Giornata mondiale della biodiversità: una banca per salvare i semi antichi

Le banche del germoplasma permettono di salvare specie antiche e rare, che altrimenti andrebbero perse. Intervista a Gaetano Laghetti, ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche

Francesco Sandri

Francesco SandriGiornalista

Natalie Sclippa

Natalie SclippaRedattrice lavialibera

22 maggio 2023

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Esistono centinaia di banche nel mondo dove non si depositano soldi o gioielli, ma semi antichi e rari. Indispensabili per evitare l’estinzione di molte varietà, questi depositi hanno un altro grande valore: aiutano a migliorare le sementi moderne, visto che quelle poco utilizzate sono più sapide, più buone e resistenti alle patologie. 

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Per la giornata mondiale della biodiversità che si celebra ogni 22 maggio, abbiamo chiesto a Gaetano Laghetti, ricercatore dell’istituto di Bioscienze e BioRisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Bari di parlarci dell’utilizzo di queste banche del germoplasma. A lavialibera commenta: “Se vogliamo certi standard produttivi per sfamare 8 miliardi di persone, i semi antichi non bastano. Ma se si ammala una pianta in un campo dove i vegetali geneticamente sono tutti uguali, il rischio è che si infettino tutti e mettano a rischio l’intero raccolto. Serve diversità anche in agricoltura”.

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Che cos'è una banca del germoplasma?

Il termine germoplasma indica tutta la variabilità genetica e morfologica di un organismo. Lo scopo delle banche che si occupano di raccogliere e studiare questi semi è quello di conservare questa diversità genetica. Nel caso specifico di Bari, ad esempio,  ci sono piante di interesse agrario provenienti dal bacino del Mediterraneo. Siamo specializzati in quello, mentre per le altre specie che non si utilizzano per le coltivazioni vengono usati i giardini botanici. 

A cosa servono questo tipo di banche?

Per capire l’importanza di questi istituti serve fare un passo indietro nel tempo e spostarci dall’Italia. È il 1944 e gli Stati Uniti decidono di aiutare il Messico, che in quegli anni soffre della scarsità di cereali: inizia così quella che viene chiamata “Rivoluzione verde”. Attraverso le scoperte del genetista Norman Borlaug vengono sperimentate delle varietà ibride di grano che producono molto di più di quelle tradizionali. Il processo è talmente rapido che il Paese diventa da grande importatore a esportatore. Ma non sono mancate le criticità.

Quali le maggiori?

I principali problemi riguardano le conseguenze ambientali e sociali.
Innanzitutto è aumentato l’impatto ambientale. Per avere una quantità così elevata di  produzione sono state utilizzati, e si continuano a usare, prodotti chimici di sintesi come concimi, pesticidi e diserbanti, contaminando aria, suolo e falda acquifera. Per abbassare i costi, inoltre, sono state impiegate grandi macchine, che sostituivano i lavoratori. Solo le aziende più importanti potevano permettersi macchinari così costosi, mentre le piccole non potevano competere sul mercato e cominciavano a scomparire. Molti piccoli agricoltori sono stati costretti a cambiare lavoro.

La rivoluzione verde ha aumentato la produzione agricola, ma ha portato con sé anche conseguenze negative per l’ambiente e le persone

In secondo luogo, dobbiamo ricordare un altro effetto: l'erosione genetica. Si tratta di una diminuzione delle specie coltivate e messe in commercio. Le varietà antiche, infatti, furono messe da parte e rischiarono l’estinzione, così come è successo ai dinosauri. Così, l'agricoltore aveva a disposizione tutti questi mezzi tecnici, aumentando la produzione. Cominciavano a usare ibridi e abbandonavano quelle che avevano scelto fino ad allora.

Qual è l'obiettivo di istituti come il vostro? 

Lo scopo è quello di bloccare questo fenomeno perché, una volta perse, queste varietà antiche si estinguono. Questo tipo di colture ha pregi qualitativi. Sono più sapide, più buone e resistenti alle patologie. Producono di meno, ma hanno dei geni che aiutano a migliorare le coltivazioni moderne. I breeder, gli esperti che compiono questa operazione, hanno spesso beneficiato dei geni di varietà antiche come quelli che rendono una pianta resistente agli attacchi di un insetto, riducendo così l’uso di pesticidi, i costi economici e l’impatto ambientale.

Quindi le banche del germoplasma servono per migliorare le colture odierne?

I semi antichi, grazie ai loro geni, possono rivelarsi fondamentali. Ci sono casi in cui di fronte a dei disastri è stato possibile trovare nelle banche del germoplasma il gene che ha risolto il problema. Ne sono un esempio alcune epidemie per il riso nelle Filippine, o per i mais negli USA. Inoltre, le caratteristiche delle varietà antiche possono contrastare una problematica delle colture moderne: l’omogeneità genetica, ossia il fatto che le piante siano tutte uguali a livello genetico. Se tutto va bene producono moltissimo, ma se c’è una complicazione muore tutto il campo. Qui sta la differenza: le colture che abbiamo nella nostra banca sono eterogenee, cioè costituite da tanti individui geneticamente diversi. Di fronte a un cambiamento, qualche pianta muore, ma le altre sopravvivono.

Oltre che per ricavarne geni utili, i semi che conservate vengono anche coltivati?

Talvolta le varietà antiche vengono reintrodotte come colture di nicchia in alcuni territori in cui si erano estinte. Per esempio, la lenticchia di Altamura era scomparsa, però oggi esiste un movimento che vuole ricoltivarla nelle zone di origine. Il seme esisteva solo nella nostra banca ed è stato possibile rimetterla in produzione. Si fa questa operazione nei casi in cui il consumatore è disposto a pagare un po’ di più pur di assaggiare i sapori di una volta.

Qual è un altro esempio di varietà antica che sta venendo riscoperta?

Il farro, che è un cereale vestito degli antichi romani. Fino a qualche decennio fa non se ne parlava neanche. Si chiama “vestito” perché dopo la normale trebbiatura continua a essere coperto dalle glume e quindi ha bisogno di un’ulteriore lavorazione rispetto ai grani moderni, quelli cosiddetti “nudi”. Per questo motivo fu messo da parte. Era in via di estinzione. Noi l’abbiamo riproposto e ha avuto successo, adesso si trova dappertutto e tutti quanti lo conoscono. Grazie alle sue qualità superiori ha trovato la sua nicchia di mercato.

Il loro utilizzo è destinato a rimanere di nicchia?

Bisogna essere chiari: non possiamo pensare di sfamare otto miliardi di persone con questi tipi di coltivazioni. Dobbiamo essere consapevoli che hanno pregi e difetti. L’aspetto negativo è quantitativo: le varietà antiche producono meno. Ci sono però anche molti lati positivi. Si adattano bene alla produzione biologica e biodinamica in cui si usano poco concime e diserbante. Le coltivazioni moderne soffrirebbero queste condizioni e potrebbero anche non produrre. Oltre a essere meno esigenti, le varietà antiche resistono meglio agli attacchi di funghi, parassiti e ai cambiamenti climatici. Questa diversità genetica permette di avere una perdita limitata al 10-15 per cento, garantendo comunque un reddito all’agricoltore.

Chi è interessato alla conservazione dei semi?

Le banche non sono dei musei, ma tengono in vita colture che altrimenti andrebbero perse

L'attività di conservazione non è redditizia. Per questo motivo, la sostengono solo entità statali o grosse organizzazioni scientifiche. Nel 1967 gli scienziati si resero conto dei rischi che comporta la perdita di varietà antiche e fu indetto un simposio mondiale a Roma per affrontare il problema. La prima strategia fu creare le banche del germoplasma, poi vennero stilati alcuni protocolli di conservazione. Le banche non sono dei musei, ma tengono in vita colture che altrimenti andrebbero perse. Quando vengono richieste devono poter germinare e per questo devono essere conservate in un certo modo.

Come e quanto si conserva un seme?

Ogni seme ha le sue esigenze. Quelli oleosi, ad esempio, si conservano per meno tempo e devono essere ringiovaniti ogni tre o quattro anni. I cereali come il grano possono essere conservati anche per 50-70 anni. Il tempo cambia da specie a specie. La nostra banca del germoplasma conserva 56mila campioni tra cereali, leguminose, piante da orto e spezie. Per ciascuno sappiamo per quanto tempo può essere conservato. Ciò dipende anche dalla temperatura di conservazione, dall’umidità dell’impianto e dall’umidità relativa interna del seme. Più acqua è presente nel seme e più il biochimismo – ossia le reazioni chimiche della pianta, ndr – della pianta continua ad attivarsi, mentre noi vogliamo che la vita del seme si blocchi. Li vogliamo ibernare. Inoltre, facciamo dei test per controllare l’invecchiamento. Se la germinabilità (la capacità di germinare, ndr) scende sotto l’85-90 per cento lo riportiamo in campo, lo ringiovaniamo e lo rimettiamo nelle camere di conservazione. Bisogna conoscere le esigenze della singola specie.

A chi appartengono i semi della vostra banca?

Sono patrimonio dell’umanità. Non sono di chi li ha raccolti, né del direttore, né del CNR e neanche dell’Italia. Infatti noi li cediamo gratuitamente per motivi didattici e di ricerca. Lo stesso vale anche per le altre banche del germoplasma.

Come vengono create le raccolte di germoplasma?

In molti casi siamo direttamente noi a reperire le sementi durante le missioni di esplorazione. Queste però possono essere molto costose, dato che a volte ci rechiamo anche in altri continenti. In altri casi le procuriamo tramite accordi di scambio con altre istituzioni.

Ci sono ancora delle varietà da scoprire nel nostro panorama agricolo?

Conduciamo ogni anno missioni per trovarne di nuove. Abbiamo setacciato tutta la penisola in maniera capillare, stilando dei cataloghi. Ne abbiamo scoperte di rare che vivevano solamente in alcune piccole isole. Questa fase è stata portata a termine, però chiaramente non possiamo pretendere di aver raccolto tutto. Possiamo dire di aver raccolto circa l’80 per cento di quelle italiane. Grazie a segnalazioni e progetti regionali talvolta veniamo in contatto con nuove varietà e in quel caso aggiorniamo le liste della nostra banca.

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