Aggiornato il giorno 1 novembre 2022
Si è concluso dopo 7 giorni di camera di consiglio il processo alla cosiddetta mafia dei Nebrodi, i clan messinesi che avevano messo in piedi una truffa milionaria ai danni dell'Unione europea. Sono state decise condanne per 600 anni complessivi a carico di 90 persone (una prescrizione e 10 assoluzioni). La Corte ha disposto anche la confisca di 17 ditte individuali e società agricole, e il risarcimento per gli imprenditori che avevano denunciato l’appropriazione dei terreni da parte dei mafiosi, le associazioni antiracket e tutte le altre parti civili costituite.
«E' un momento importante. Abbiamo fatto quello che andava fatto, abbiamo superato il silenzio e abbiamo fatto capire che i fondi europei dovevano andare solo alle persone per bene e non ai capimafia – ha dichiarato Giuseppe Antoci dubito dopo la lettura della sentenza del processo alla mafia dei Nebrodi – Ho sentito elencare più di seicento anni di carcere, queste condanne mi addolorano, perché non è una vittoria quando le persone vanno in carcere, forse la società ha bisogno di cambiare culturalmente».
Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi, ha denunciato in passato gli interessi dei clan messinesi sui fondi europei. «Questa esperienza – ha proseguito – dimostra che da un piccolo territorio può nascere un protocollo di legalità che viene firmato da tutti i prefetti della Sicilia e che diventa legge dello Stato nel 2017. Protocollo che la commissione europea considera tra gli strumenti più importanti di lotta alla mafia sui fondi europei per l’agricoltura. Se questo è stato fatto con dignità e onestà, con piccoli passi, da persone che hanno ritenuto di poter fare il loro dovere, significa che se ognuno fa il proprio dovere avremo sempre meno processi».
Nel maggio 2016 l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, è vittima di un attentato. Il movente è il protocollo che porta la sua firma. A sostenerlo con forza, nonostante le ovvie cautele legate alla sua posizione, è il procuratore generale di Messina, Vincenzo Barbaro, in un passaggio della relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario avvenuta il primo febbraio 2020.
Gli aiuti comunitari “hanno costituito e costituiscono oggetto di interesse da parte della criminalità – ha ricordato il procuratore –. Il protocollo di legalità in questione ha indubbiamente comportato condizioni più restrittive per le aziende rispetto a quanto non previsto dalla pregressa normativa antimafia”. Ciò detto, il movente dell’attentato ad Antoci “è assai verosimilmente riconducibile all’adozione del protocollo” mentre vanno “confinate nell’alveo delle mere congetture, non meritevoli di apprezzamento, contrastanti e alternative ricostruzioni dei fatti”, ha concluso Barbaro.
Il riferimento è alle furiose polemiche e alle diverse interpretazioni del caso che sono state avanzate anche da voci autorevoli, prima fa tutte la Commissione regionale antimafia guidata da Claudio Fava, che sulla ricostruzione dell’attentato è giunta a conclusioni differenti.
Riavvolgiamo il filo della storia: nel 2013 Giuseppe Antoci è nominato presidente del Parco dei Nebrodi, un territorio che si estende per 86 mila ettari tra le province di Messina, Catania e Enna, la più grande area protetta della Sicilia. Durante il suo mandato, Antoci, con la collaborazione del prefetto di Messina, Stefano Trotta, mette a punto un protocollo di legalità che ha l’obiettivo di arginare le truffe ai fondi europei per l’agricoltura.
Sui Nebrodi, ma anche altrove, è da tempo attivo un sistema di truffe all’Unione europea fondato sull’affitto a cifre ridottisssime di terreni poi sfruttati per incassare gli aiuti comunitari. Secondo le stime della Guardia di Finanza, che ha compiuto quasi 13 mila controlli tra il 2014 e il 2016 – dati riportati dall’Ufficio valutazione impatto del Senato –, la percentuale di contributi stanziati per la Politica agricola comune (Pac) chiesti o ottenuti in maniera fraudolenta sono ben 735,6 milioni sui quasi 1,2 miliardi stanziati, più del 60 per cento. Con un picco nel Mezzogiorno, dove si addensa l’85 per cento delle frodi a fondi strutturali e spese dirette della Ue.
Il meccanismo messo a punto con il protocollo Antoci estende l’obbligo di certificazione antimafia anche ai contratti d’affitto sui terreni agricoli, qualunque sia la dimensione dell’appezzamento. Il protocollo viene firmato il 18 marzo del 2015 e nel 2017, poiché ritenuto di grande efficacia, diventa parte integrante del nuovo Codice antimafia.
Nel frattempo una serie di segnali e messaggi intimidatori inducono ad assegnare ad Antoci una scorta, finché la notte del 17 maggio 2016 l’ex presidente del Parco subisce un agguato mentre viaggia in macchina, che si conclude con l’intervento della scorta e la fuga degli attentatori. Sull’episodio indaga per due anni la Direzione distrettuale antimafia di Messina finché nel 2018, poiché non vengono identificati gli autori dell’agguato, il caso viene archiviato.
Della vicenda si occupa quindi la Commissione regionale antimafia presieduta da Fava che, dopo un’attività d’indagine e un ciclo di 19 audizioni, vota all’unanimità una relazione in cui, pur senza mettere in dubbio l'attentato e riconoscendo la posizione di vittima di Antoci, avanza tre ipotesi sulla matrice dell’evento: l’agguato mafioso fallito, un atto dimostrativo o, infine, una messinscena di cui Antoci sarebbe doppiamente vittima, perché inconsapevole della simulazione.
Proprio quest’ultima ipotesi e le perplessità espresse nella relazione della Commissione sulle “molte domande rimaste senza risposta, delle contraddizioni emerse e non risolte, delle testimonianze divergenti, delle criticità investigative registrate”, diventano materia di un infuocato dibattito pubblico. Secondo quanto si apprende dai giornali, una delle persone audite dalla Commissione, l’ex dirigente di polizia Mario Ceraolo, le cui dichiarazioni concorrono a definire le conclusioni dell’organo antimafia, viene denunciato alla Procura di Messina dal sindacato di Polizia e dagli agenti della scorta di Antoci per calunnia, false informazioni al pubblico ministero e diffamazione a mezzo stampa.
Intanto il 15 gennaio 2020, un’indagine della Procura di Messina individua un ampio sistema di truffe ai fondi comunitari e porta all’arresto per mafia di numerosi esponenti di due storici gruppi criminali, i Bontempo Scavo e i Batanesi. Su 194 indagati, 48 finiscono in carcere e 46 ai domiciliari; 151 il numero di aziende sequestrate, titolari dal 2010 al 2017 di incassi superiori ai 10 milioni di euro di fondi europei. Tra le accuse agli imputati la spartizione di terreni, intestati a prestanome, utilizzati come titoli per accedere ai fondi per la produzione agricola (Feaga) e lo sviluppo rurale (Fears) gestiti dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea). Dei 101 imputati che arrivano a processo, 90 vengono condannati.
Tra gli indagati anche diversi colletti bianchi che avallano le procedure burocratiche: un notaio e una decina di dipendenti dei Centri di assistenza agricola, tra cui il sindaco di Tortorici, condannato adesso a 6 anni di reclusione.
Infine, il 29 gennaio scorso, la Commissione ricompense del ministero dell’Interno assegna un riconoscimento ai quattro agenti che proteggono Antoci la notte dell’attentato, tra i quali il vice questore Daniele Manganaro che durante l’agguato spara agli attentatori e viene promosso per “merito straordinario”. Sul suo conto la Commissione Fava aveva invece sollevato alcune perplessità, legate soprattutto al fatto che lo stesso Manganaro, testimone dei fatti dell’agguato, fosse stato chiamato a partecipare alle indagini.
Epilogo di una vicenda da cui il procuratore generale di Messina, nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha voluto allontanare ogni ombra. Facendo eco a quanto già il pm Maurizio De Lucia aveva dichiarato alla stampa il giorno degli arresti per l’operazione Nebrodi: “Abbiamo una documentatissima indagine che non ha portato ai responsabili, ma certo non ha mai messo in dubbio che l’attentato [Antoci] vi sia stato. Dopo di che, tra i moventi possibili mi pare evidente che l’azione derivante dal protocollo Antoci sia una ragione che può largamente giustificare”.
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