28 marzo 2021
La storia dei bitcoin è la storia di un'utopia. Un'utopia iniziata nel 2008, quando nella mailing list di un sito dedicato alla crittografia un utente dice di aver inventato una moneta elettronica che promette di rivoluzionare il sistema economico e finanziario. Il mondo si trova a dover fare i conti con la grande recessione, la più grave crisi dal 1929, che inizia con il fallimento della banca d'affari statunitense Lehman Brothers.
L'origine è l'esplosione della bolla immobiliare che oltreoceano ha messo sul lastrico molte famiglie per via dei mutui subprime: prestiti che a partire dal 2000 gli istituti di credito hanno concesso a clienti privi di un adeguato reddito, speculando sulla crescita dei prezzi delle case. Nel momento in cui i tassi di interesse, inizialmente bassi, hanno cominciato ad aumentare, sempre più persone non sono riuscite a ripagare i debiti. A peggiorare la situazione, rendendo la crisi di portata globale, la scelta delle banche di basare su questi mutui molti altri prodotti finanziari.
È lo scenario che fa da sfondo all'annuncio di Satoshi Nakamoto, pseudonimo dietro cui si cela il creatore (o più probabilmente i creatori) del bitcoin, di cui è ancora ignota la reale identità. Non a caso, nelle prime stringhe di codice che danno genesi al bitcoin, conosciute con il nome di Genesis block, è stato inserito il titolo di un articolo pubblicato sul quotidiano Times il 3 gennaio 2009: "Il cancelliere sull'orlo di un secondo salvataggio per le banche".
Gli argomenti:
L'utopia di bitcoin è voler rendere obsolete le banche, e in ultima istanza lo Stato, grazie a una "versione peer-too-peer della moneta elettronica". Il rimando è a un sistema per la condivisione di file tramite internet, adottato in massa alla fine degli anni Novanta, che si fonda su una rete decentralizzata in cui tutti comunicano con tutti, senza alcuna mediazione. Allo stesso modo, Nakamoto propone un meccanismo in cui i pagamenti di moneta virtuale siano inviati dal mittente al destinatario in modo diretto, senza passare da un'istituzione finanziaria. La produzione di bitcoin, invece, non viene delegata a una zecca: in teoria, tutti possono crearli almeno fino al raggiungimento del tetto massimo fissato a 21 milioni. I primi bitcoin sono stati emessi il 3 gennaio 2009 e in moneta fiat, cioè quella tradizionale, valevano poco più di zero. Oggi se ne contano in circolazione circa 18,5 milioni e la loro quotazione supera i 40mila euro. Sfruttando l'idea del bitcoin sono nate, poi, migliaia di criptovalute: al momento almeno quattromila, con diverse caratteristiche.
I bitcoin sono diventati un bene che può avere molte funzioni: permettere l'accesso a dei servizi, essere riserva di valore, o l'equivalente di un prodotto finanziario
Tutti ne parlano e tutti li vogliono, tanto che persino Mastercard e Visa hanno annunciato un'apertura: inizieranno a supportarli sui loro circuiti. Mentre diverse aziende (tra cui Facebook), così come alcune banche centrali, vogliono sfruttarne la tecnologia per emettere le proprie monete elettroniche, che – a differenza del bitcoin – saranno ancorate a una valuta reale o al valore di altri beni. La Banca centrale europea prevede di lanciare il proprio euro digitale nel 2025, ma l'istituto che registra più progressi è quello cinese che il 17 febbraio scorso ha concluso il terzo test su un campione di cinquantamila persone.
Una popolarità per cui, almeno fino ad ora, bitcoin ha pagato un prezzo salato. Si è trasformato in un bene che può avere molte funzioni: essere riserva di valore, come una sorta di oro digitale, o l'equivalente di un prodotto finanziario. I criminali si stanno adattando, tanto che le forze dell'ordine segnalano un amento delle pratiche di abusivismo finanziario. Sembra, invece, accantonato il sogno originario di diventare una moneta di uso quotidiano. Sogno che, al momento, è diventato per l'appunto un'utopia: non pare di facile realizzazione soprattutto per tre motivi:
La tecnologia alla base del bitcoin si chiama blockchain, in italiano catena di blocchi, ed è un registro in cui vengono archiviate tutte le transazioni. "Contrariamente a ciò che succede nel sistema finanziario tradizionale, dove se faccio un bonifico a saperlo, oltre me, sono solo il destinatario e la banca, nella blockchain ogni transazione viene resa pubblica", spiega Stefano Zanero, professore di sicurezza informatica del Politecnico di Milano. Per validarle, ed evitare il cosiddetto problema del double spending (cioè che vengano usati gli stessi bitcoin per effettuare più pagamenti), gli utenti della rete le raggruppano in blocchi e si sfidano nella risoluzione di complessi problemi matematici usando dei potenti calcolatori. È da qui che derivano i tempi lunghi e gli alti costi sia economici sia energetici associati agli scambi in moneta virtuale.
Alla fine, un solo utente riesce nel compito e va ad aggiungere il nuovo blocco di transazioni a quello precedente, venendo ricompensato in due modi:
Il mining è solo uno dei modi in cui è possibile ottenere bitcoin ed è sempre più fuori dalla portata degli utenti comuni che in genere non hanno la potenza di calcolo necessaria. Ormai il principale metodo per diventare proprietari di una moneta elettronica è comprarla scambiando moneta fiat: una compravendita che può avvenire privatamente tra utenti, acquistando bitcoin in contanti grazie a un bancomat apposito (si trovano anche in Italia), e utilizzando una delle tante piattaforme di scambio (exchange) come l'italiana The Rock Trading, oppure Kraken, Bitstamp e Coinbase pro.
Per partecipare alla rete è necessario aprire uno o più portafogli (wallet), in cui custodire i bitcoin. Operazione che può essere fatta in maniera autonoma, scaricando uno specifico software o acquistando un hardware ad hoc (una sorta di chiavetta usb), oppure ricorrendo a dei servizi online. Una volta creato il portafogli vengono generate due chiavi crittografiche, cioè delle stringhe alfanumeriche che vengono usate per firmare e verificare le transazioni. Una di queste chiavi è privata e a conoscerla è solo il proprietario del wallet. Mentre l'altra è pubblica: corrisponde all'indirizzo bitcoin e possiamo equipararla a una sorta di codice Iban da condividere con gli altri nel momento in cui si vuole ricevere moneta virtuale. A ogni portafogli, di solito, è associata una sola chiave privata. Ma le chiavi pubbliche, ovvero gli indirizzi bitcoin, possono essere molte. Ogni transazione, a sua volta, genera un codice (hash) che è pubblicato sulla blockchain.
"Non è corretto parlare di anonimato: ogni indirizzo bitcoin è associato a un'identità e tutte le transazioni sono pubbliche"
Date queste caratteristiche, quando si dice che i bitcoin permettono di eseguire pagamenti in totale anonimato "non è corretto – prosegue Zanero –. Si tratta di pseudo-anonimato: seppur non sia esplicitamente dichiarata, ogni chiave è associata a un'identità. Esistono delle tecniche che in molti casi permettono di risalire al proprietario, analizzando tutte le transazioni pubblicate sulla blockchain facenti capo a un determinato portafoglio".
Anche se non si tratta di un'attività semplice, precisa Paolo Dal Checco, consulente informatico forense, specializzato nell'analisi della blockchain. "Inoltre, chi vuole tutelarsi può adottare delle particolari accortezze, come utilizzare dei servizi che permettono di offuscare qualsiasi legame tra l'indirizzo bitcoin e la persona che si cela dietro, oppure cambiare i bitcoin in altre monete digitali prima di convertirli in moneta fiat. Ci sono anche delle criptovalute, figlie di bitcoin, che sono state sviluppate proprio con l'obiettivo di tutelare la privacy: in questi casi la possibilità di identificazione è quasi nulla. Ma a sfruttarle sono ancora in pochi: hanno un valore unitario piuttosto basso e sono più complesse da utilizzare rispetto ai bitcoin".
Uno dei grandi nodi irrisolti riguarda l'inquadramento normativo del bitcoin. "A livello europeo, la prima a sollevare la questione è stata una sentenza della Corte dell'Unione del 2015 che ha considerato bitcoin al pari di un mezzo di pagamento", dice Marco Tullio Giordano, avvocato e co-autore del libro Blockchain e smart contract (Giuffrè Lefebvre). "Nel tempo però, si è capito che i bitcoin non possono essere equiparati a delle semplici banconote in quanto possono svolgere anche altre funzioni, come permettere l'accesso a dei servizi, essere una riserva di valore o l'equivalente di un prodotto finanziario. Ecco perché oggi si preferisce parlare di virtual o crypto asset".
Verso questa direzione sembra essere orientata l'ultima proposta di regolamentazione comunitaria della Commissione Ue pubblicata lo scorso ottobre, così come il mercato della criptovaluta, nonché gli interessi criminali. La Polizia Postale, la Guardia di Finanza e l'Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d'Italia segnalano l'aumento di pratiche di abusivismo finanziario che hanno per protagonista la moneta virtuale. "Durante la pandemia, abbiamo assistito a un incremento di truffe di questo tipo", racconta Riccardo Croce, responsabile della sezione che si occupa di cyber-crimini finanziari della Polizia postale. "I truffatori promettono un rendimento del 20/30 per cento: profitti che nessun altro titolo può vantare e che risultano molto appetibili per i meno esperti.
Un modus operandi molto comune è il classico schema Ponzi: il delinquente corrisponde i primi rendimenti in modo da farti credere che l'investimento è credibile. Poi ti spinge a coinvolgere nell'affare altri soggetti, promettendoti una percentuale, fino a creare una piramide di investitori e rivenditori del prodotto finanziario che alla fine non vengono rimborsati. Chi ci guadagna è solo il vertice". Almeno 60 piccoli investitori italiani hanno perso così il loro denaro, per un totale di oltre un milione di euro andato in fumo.
"Tra i criminali, ad averli adottati è soprattutto chi compie reati informatici. In particolar modo, i responsabili delle cyber estorsioni" Riccardo Croce - dirigente della Polizia postale
Ma non è il solo modo in cui bitcoin viene sfruttato dai delinquenti. "Ad averli adottati è soprattutto chi commette reati informatici – continua Croce –. In particolar modo, i responsabili delle cyber estorsioni di diverso tipo: dagli attacchi ransomware, software che rendono inaccessibili i dati dei computer infettati e chiedono un riscatto per ripristinarli, a quelli Ddos che tempestano di richieste un sistema informatico fino a metterlo ko, passando per le estorsioni a sfondo sessuale. Tutti crimini che sono aumentati esponenzialmente nell'ultimo anno".
La nostra intervista a Nunzia Ciardi, direttrice della Polizia postale: "Boom di attacchi informatici, dietro clan transazionali"
C'è, poi, chi converte in criptovaluta i proventi di attività illecite, commesse sia online sia offline. Il direttore dell'Uif Claudio Clemente fa presente che elaborare una stima in termini di importo è arduo e aggiunge: "Le segnalazioni di operazioni sospette pervenute alla Uif riferite ad operatività in valute virtuali, pur rappresentando una quota residuale rispetto al totale (circa l’1 per cento), sono in costante aumento nel corso degli ultimi anni".
Mentre sembra essere ancora di nicchia l'utilizzo dei bitcoin ai fini del riciclaggio da parte dei clan. Qui a farla da padrona è ancora il contante, che rimane il mezzo più sicuro, anche se non mancano gli esempi di impiego della moneta digitale. L'ultima relazione della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dnaa) sottolinea che "attualmente lo sviluppo del riciclaggio si muove su tre principali direttrici: globalizzazione, dematerializzazione e anonimizzazione delle transazioni, e i virtual asset offrono transazioni che ben rispondono a questa tendenza".
Del resto, l'interesse delle associazioni di tipo mafioso per la criptovaluta è noto dal 2018, grazie all'operazione European ‘ndrangheta connection che ha portato all’arresto di oltre 90 persone coinvolte in un traffico internazionale di stupefacenti e riciclaggio tra Italia, Paesi Bassi, Belgio e Brasile. I clan ‘ndranghetisti della locride avrebbero voluto pagare una partita di cocaina acquistata in Brasile con i bitcoin e l’affare è saltato solo perché i narcotrafficanti brasiliani non sapevano come gestire questa transazione. "Eravamo molto attenti all’evoluzione del web. Già dagli anni Duemila avevo persone specializzate, tecnici informatici che facevano mille ricerche sulle nuove modalità di riciclaggio, di acquisto e di pagamento di stupefacente", ha detto in un'intervista a Linkiesta Luigi Bonaventura, ex boss crotonese, poi collaboratore di giustizia. Nel 2019 si è scoperto che una società di criptovalute (Eidoo) fino al dicembre 2018 ha avuto tra i consulenti Oliver Camponovo, condannato in primo grado per riciclaggio nell'ambito di un'inchiesta sulla 'ndrangheta.
Il presente articolo è stato aggiornato il 29.4.2021, aggiungendo la richiesta di rettifica pervenuta dalla società EIDOO il 29.4.2021
"Dagli anni Duemila avevo persone specializzate, tecnici informatici che facevano mille ricerche sulle nuove modalità di riciclaggio, di acquisto e pagamento di stupefacenti" Luigi Bonaventura - ex boss crotonese, poi collaboratore di giustizia
Secondo Clemente, un passo avanti per contrastare il fenomeno si potrebbe fare disciplinando i fornitori esteri di servizi bitcoin (Virtual asset service provider, Vasp), come exchange e wallet provider, che andrebbero sottoposti a obblighi antiriciclaggio assimilabili a quelli previsti per i Vasp italiani. Dal 2019, tutte le attività di questi ultimi devono rispettare le disposizioni in materia:
Con una pecca: "La normativa antiriciclaggio, già dal 2017, prevede che gli operatori si iscrivano in una sezione speciale del registro dei cambiavalute tenuto dall’Organismo agenti e mediatori (Oam). Ma le modalità di iscrizione andavano definite con decreto ministeriale che, ad oggi, non è stato emanato", quindi l’Oam non ha avviato la registrazione e non sappiamo quanti operatori nazionali prestano servizi a titolo professionale nel comparto delle valute virtuali.
Lo scenario peggiora quando i Vasp non sono italiani, in quanto devono sottostare alle regole dello Stato dove ha sede la società (a volte meno stringenti), rendendo "più difficile avere contezza dell’operatività anomala eseguita in Italia". Una possibile soluzione – propone Clemente – "sarebbe quella di imporre per i soggetti esteri la presenza di un punto di contatto sul territorio nazionale, ovvero quanto meno di assoggettarli all’obbligo di inviare alla Uif le segnalazioni di operazioni sospette, quando si riferiscono a operatività svolta in Italia".
Dentro l'antiriciclaggio, dal 2013 Claudio Clemente guida l'Uif
Sull'importanza della collaborazione dei Vasp concorda anche Croce. "Spesso non rispondono alle nostre richieste – conclude –. La facilità con cui è possibile risalire all'identità dei criminali dipende da due fattori: il primo la complessità dell'analisi informatica che ci permette di individuare il proprietario di un portafoglio bitcoin, il secondo riguarda proprio la collaborazione dei Vasp". A volte, anche quest'ultima, rimane un'utopia.
Rettifica pervenuta dalla società EIDOO il 29.4.2021
"Il sig. Oliver Camponovo, condannato in primo grado per riciclaggio, sarebbe uno dei consulenti della società di criptovalute Eidoo e sarebbe “legato alla 'ndrangheta”: questi gli elementi sui quali si fonda il fuorviante e suggestivo accostamento tra criminalità organizzata e la società di criptovalute Eidoo. Eidoo contesta fermamente la falsa rappresentazione della realtà che emerge dal presente articolo. Eidoo, infatti, ha intrattenuto con il signor Oliver Camponovo, che svolge l’attività di commercialista, rapporti di natura esclusivamente professionale, peraltro cessati nel dicembre 2018. Eidoo è una società svizzera, qualificata come intermediario finanziario – e dunque soggetta alla rigida normativa locale –, che ha sempre operato nel pieno rispetto delle normative vigenti, superando in modo pienamente positivo tutte le ispezioni periodiche dell’autorità di vigilanza svizzera sui mercati finanziari".
BIBLIOGRAFIA PER SAPERNE DI PIU' SUI BITCOIN
Andreas Antonopoulos,Mastering Bitcoin: Unlocking Digital Cryptocurrencies, O' Reilly, 2014;
Raffaele Battaglini e Marco Tullio Giordano, Blockchain e smart contract, Giuffrè, 2019;
Gianluca Comandini, Da Zero alla Luna. La Blockchain: quando, come, perché sta cambiando il mondo, Dario Flaccovio, 2020.
PAPER
Satoshi Nakamoto, Bitcoin: A peer-to-peer electronic cash system, in www.bitcoin.org;
Michele Spagnuolo, Federico Maggi e Stefano Zanero, BitIodine: Extracting Intelligence from the Bitcoin Network;
Henry Rossi Andrian, Novianto Budi Kurniawan, Blockchain technology and implementation: a systematic literature review, Institute of Electrical and Electronics Engineers;
Corte Europea di Giustizia, Causa C-264/14: Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 22 ottobre 2015;
Corte di Cassazione, seconda sezione penale, sentenza n. 26807 del 17 settembre 2020.
ARTICOLI
Elizabeth Lopatto, How bitcoin grew up and became big money, The verge, 3 gennaio 2019;
Andrea Daniele Signorelli, Per approdare al successo i bitcoin hanno dovuto tradire la loro missione, Domani, 22 febbraio 2021;
Rosita Rijtano, Cinque bancomat bitcoin in Italia: "Tanta curiosità, poche transazioni, nessuna regola", Repubblica, 20 ottobre 2014.
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