9 dicembre 2021
Quando ha provato per la prima volta a richiedere la cittadinanza italiana, Nedzad Husovic, nato a Roma nel 1991 e cresciuto nel campo rom Casilino 900, nella zona di Centocelle, aveva 25 anni. La lettera con la quale il Comune avrebbe dovuto informarlo della possibilità di richiederla tra il 18esimo e il 19esimo anno d’età non gli è mai stata recapitata. Non sapeva di averne diritto e non ha inoltrato la domanda.
"La legge non ammette ignoranza", commenta Nedzad che tutti chiamano Pio, il soprannome dell’infanzia. È seduto nel giardino del Polo ex fienile, centro culturale nel quartiere popolare di Tor Bella Monaca, dove lavora come educatore dell’associazione 21 luglio, organizzazione che si occupa di discriminazioni e diritti umani. Dietro di lui un gruppo di donne di diverse nazionalità sta seguendo una lezione di italiano. Pio non ha nemmeno la cittadinanza bosniaca, Paese d’origine della sua famiglia. "Mia madre, pur essendo nata in Italia, ne è sprovvista. Solo mio padre è un cittadino bosniaco, ma non mi ha registrato presso l’ambasciata. Sono un apolide di fatto". Per questo, oggi, Pio si sta battendo per veder formalmente riconosciuto lo stato di apolide con l’obiettivo di richiedere poi la cittadinanza italiana.
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