Aggiornato il giorno 4 dicembre 2024
"Bernardo Provenzano ha sofferto per l’ergastolo? No. Totò Riina ha sofferto? Neanche. Sono stati arrestati cattivi e lo sono rimasti. Quando soffri? Quando ti viene il senso di colpa del male fatto. Per questo il confronto è importante, ma i detenuti non hanno un confronto con la società esterna". Dopo quasi un quarto di secolo in carcere (e tre lauree), Carmelo Musumeci ha un’idea precisa di come dovrebbe funzionare il sistema penale. Dall’agosto 2018 ha ottenuto la liberazione condizionale, un risultato raro per chi, come lui, ha una sentenza che lo associa alla mafia. Nato nel 1955 ad Aci Sant’Antonio (Ct), ricorda ancora sua nonna che in piazza additava un uomo in divisa: "Tu cresci con l’odio verso le istituzioni. La mafia è una cultura, una mentalità prima che un reato". Ha vissuto tra Liguria e Toscana, dove a 16 anni ha rapinato una bisca iniziando la sua carriera criminale e guadagnando poi l’appellativo di “boss della Versilia”.
La vita di Musumeci è cambiata dopo aver commesso un omicidio. Entrato in carcere nel 1991, è condannato all’ergastolo ostativo: benefici, permessi e liberazione condizionale sono vietati al detenuto che non collabora con la giustizia per indurlo a pentirsi. "Nel 2004, dopo più di dieci anni passati in cella, ho presentato la prima istanza per un permesso premio, ma il magistrato di sorveglianza ha respinto la richiesta perché nelle motivazioni della sentenza era scritto che avevo commesso l’omicidio per agevolare l’associazione mafiosa. A quel punto ho scoperto l’ergastolo ostativo e ho cominciato la mia battaglia".
“Nella detenzione non ricordi il male fatto, ma quello che ricevi tutti i giorni: ciò ti fa sentire innocente. Il perdono invece è uno schiaffo, ti fa stare male”
È allora che Musumeci raccoglie 700 firme fra gli ergastolani per chiedere al presidente della Repubblica, in modo provocatorio, di tramutare l’ergastolo in pena di morte. Non è questo, però, il cambiamento che vorrebbe Musumeci. Per lui, il sistema penale deve mutare molto. Le pene alternative, ad esempio, dovrebbero diventare la regola: "Il carcere deve essere l’eccezione – sostiene –. La nostra Costituzione non parla di carcere ma di pena, e la nostra Costituzione l’hanno scritta persone che il carcere lo conoscevano bene". Anche l’istituzione penitenziaria dovrebbe cambiare per agire con più efficacia sul percorso di vita dei detenuti: "Perché non dare la speranza e la possibilità di uscire a un ragazzo arrestato a 19-20 anni e condannato all’ergastolo? Perché mai dovrebbe cambiare se sa di morire in carcere?".
A chi gli dice che a lui il carcere ha fatto bene, Musumeci risponde di sentirsi "l’eccezione che conferma la regola": "Sono entrato in carcere con la quinta elementare, mi sono diplomato e poi laureato, ho conosciuto il diritto e ho affilato un po’ le armi". Ricorda quando ha ottenuto la semilibertà: "Il presidente del Tribunale di sorveglianza di Venezia, in modo ironico, mi fa: “Musumeci, io ho una laurea e lei ne ha tre. Il carcere le ha fatto bene”. Gli volevo dire che non è una clinica per miliardari, ma ho risposto che il carcere mi ha fatto male. L’amore dei miei familiari e le relazioni sociali mi hanno salvato". Questo perché "tanti sono nati nel male e non conoscono il bene. Alcuni dicono “Eh, ma Riina non si è pentito”. Come può farlo una persona chiusa in cella, senza nessuno che le chieda il conto?".
Ergastolo ostativo, il diritto alla speranza sia per tutti
Sul tema della collaborazione – mette in guardia – bisogna fare attenzione, specialmente a certi pentimenti di convenienza: "Non si deve puntare solo sulla legge dei collaboratori di giustizia, ma cercare di intervenire e migliorare il detenuto. A chi decide di non collaborare si dice “tu uscirai un po’ più in là, devi dimostrare che sei cambiato”, ma bisogna dargli gli strumenti per cambiare perché da soli non è possibile". Rimanere da soli, senza contatti, è un elemento centrale della sua riflessione. Per Musumeci la pena peggiore per un condannato è il senso di colpa: "Non si può cambiare chiuso in una cella, senza vedere o incontrare mai nessuno. Troppo comodo: è una vendetta becera o cretina, stupida, perché poi devi anche mantenermi". Il carcere, secondo lui, dovrebbe essere un luogo aperto agli studenti o alle vittime di reati. Confronto e perdono sono due parole chiave, l’ultima, in particolare, "spiazza tutti. Ti senti di merda. Preferisci uno schiaffo, una reazione. In carcere non ti ricordi del male fatto, ma di quello che ricevi tutti i giorni: ciò ti fa sentire innocente ".
Musumeci ha perdonato. Ha subito un agguato, quelli che gli hanno sparato sei colpi poi sono diventati “pentiti” e lo hanno accusato di alcuni reati: "Per anni li ho odiati, ma l’odio è un veleno che avvelena chi lo prova. A un certo punto mi sono detto: “Cazzo, ma penso più a loro che a mia moglie. Che se ne vadano a fanculo, li perdono”. Ho cominciato a stare bene".
Ciotti ai mafiosi: "Fate emergere la verità"
Per Musumeci andrebbe rimesso in discussione anche il “fine pena mai”: "Uno non dovrebbe scontare un giorno in più, né un giorno in meno del necessario e, soprattutto, la pena deve fare bene. Il carcere deve essere come un ospedale, invece è come quando ti rompi una gamba, vai al pronto soccorso e ti rompi anche l'altra". Un carcere diverso è possibile, non un’utopia: "Prima ti torturavano, ti tagliavano una mano, ti mettevano alla berlina. Era impensabile essere rinchiusi in una cella e rimanerci venti-trent’anni. È un'idea del carcere un po' cristiana, come l’Inferno".
Gabriele Cruciata è autore con Massimo Razzi del podcast "Chiusi dentro", realizzato in collaborazione con Antigone. Prodotto da AltaVoce per Gedivisual/OnePodcast
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti
Record di presenze negli istituti penali e di provvedimenti di pubblica sicurezza: i dati inediti raccolti da lavialibera mostrano un'impennata nelle misure punitive nei confronti dei minori. "Una retromarcia decisa e spericolata", denuncia Luigi Ciotti
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti