Marzia Sabella, procuratore aggiunto a Palermo
Marzia Sabella, procuratore aggiunto a Palermo

"Ergastolo ostativo da riformare, ma non siamo ancora in zona bianca"

Dopo la sentenza della Consulta, Marzia Sabella, procuratore aggiunto di Palermo: "Va benissimo tutelare i diritti dei detenuti, ma dobbiamo anche salvaguardare gli interessi della collettività. Servono una visione ampia e criteri oggettivi"

Elena Ciccarello

Elena CiccarelloDirettrice responsabile lavialibera

16 aprile 2021

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“Poteva andare peggio” è il commento di Marzia Sabella, procuratore aggiunto a Palermo, alla sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale il fine pena mai per gli ergastolani che non collaborano con lo Stato. Il legislatore avrà tempo fino a maggio 2022 per trovare una soluzione che tenga conto “sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia”.  Anche i condannati all'ergastolo per mafia, dopo 26 anni di reclusione, avranno diritto a benefici penitenziari, come i permessi premio e la liberazione anticipata, purché sia provato il loro distacco dall’ambiente criminale di appartenenza.
“Viste le precedenti sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) e della Corte Costituzionale, che avevano già condannato l’automatismo tra collaborazione e benefici, la Consulta avrebbe potuto dichiarare l’ergastolo ostativo incostituzionale con conseguenze immediate. Invece ha concesso un anno di tempo per intervenire”.  Sabella, che ha partecipato nel 2006 alla cattura del boss Bernardo Provenzano, avrebbe però preferito evitare modifiche. Se la situazione è migliorata rispetto al periodo stragista, sostiene, ciò è in gran parte dovuto all’efficacia della legislazione antimafia, che tutela soprattutto i più deboli dall’aggressione criminale. “È come con il covid, quando ci sembra che il rischio si sia abbassato, liberiamo tutti, ma poi ricominciamo da capo”.

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Sabella, perché la sentenza della Corte costituzionale secondo lei non è una buona notizia?
Sarebbe stato auspicabile non trovarci in questa situazione. Intendiamoci, la mia posizione è laica. Se dovessi ragionare da fine costituzionalista eliminerei l'ergastolo in generale, non solo quello ostativo; eliminerei le misure di prevenzione, il 41 bis. Lo dico come paradosso: eliminerei anche i collaboratori di giustizia. La collaborazione non è ravvedimento, ma un contratto utilitaristico tra Stato e delinquente, una vera “trattativa stato-mafia” di cui purtroppo continuiamo ad avere bisogno. Ecco, sono norme nate dalla necessità di salvaguardare la sicurezza e l'ordine pubblico che, ricordiamolo, finora sono rientrate nell’aurea della Costituzione perché tutelano beni giuridici imprescindibili. Ogni volta che mi è capitato di chiedere la condanna di qualcuno all'ergastolo, mi sono chiesta se non esistesse un altro modo di intervenire, che fosse migliore. Però finché non lo troviamo, finché non è possibile trovarlo, abbiamo il primario dovere di tutelare la società.

"Se dovessi ragionare da fine costituzionalista eliminerei l'ergastolo in generale, non solo quello ostativo; eliminerei le misure di prevenzione e il 41 bis"

Ma davvero la collaborazione è l'unico modo per verificare che un soggetto non sia più legato all'organizzazione mafiosa?
Può essere odioso ancorare alla collaborazione il beneficio concesso, perché pare che lo Stato usi mezzucci per costringere le persone a parlare mentre l’ordinamento gli riconosce il diritto al silenzio. Ma la collaborazione è un criterio certo, uno spartiacque sicuro. Ancora oggi, quando vengono scarcerate e rientrano in libertà persone che non hanno collaborato, siamo sempre costretti a riarrestarle, perché tornano immediatamente al loro posto o addirittura a incarichi più importanti. L’esperienza attuale insegna che il fenomeno è questo. Se si inseriranno altri parametri, nessuno potrà avere tale valenza. Del resto, la magistratura dovrà ogni volta valutare se i legami con l’organizzazione siano realmente recisi e, per far ciò, serve una nuova “attività d’indagine”: per esempio, verificando se durante i 26 anni di carcere la famiglia dell’ergastolano è stata mantenuta da Cosa nostra, oppure se Cosa nostra ha intanto trovato un lavoro al figlio del detenuto. Qualunque nuovo criterio, richiederà un’attività di verifica, non sempre possibile e comunque non facile.

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Ci sarà pur stata una ragione per cui si è arrivati a dichiarare questo strumento incostituzionale, a meno che non si voglia considerare l’intervento della Consulta il risultato di una tendenza ipergarantista, talvolta anche un po' interessata
Il dibattito giuridico è reale, ma personalmente non amo né la miopia di chi si sente detentore della verità costituzionale, né la rigidità di quelli che sostengono che se la pensi diversamente e chiedi l'abolizione dell'ergastolo ostativo, allora sei mafioso o vuoi favorire la mafia. Sono posizioni estreme, invece i problemi si affrontano in maniera concreta. La normativa penale segue l'andamento di una società: siamo sicuri che oggi la società sia cambiata veramente? O è cambiata proprio grazie all'esistenza di queste norme che hanno fatto da contenimento? Siamo sicuri di voler vedere che cosa succede se eliminiamo questi paletti? E a spese di chi?

"Non amo né la miopia di chi si sente detentore della verità costituzionale, né la rigidità di quelli che sostengono che se chiedi l'abolizione dell'ergastolo ostativo, allora sei mafioso o vuoi favorire la mafia"

Non si può negare, anche la Commissione antimafia della scorsa legislatura lo ha scritto rispetto al 41 bis, che l’uso di certi strumenti antimafia sia cresciuto a dismisura negli anni
E' un problema reale. Il 41 bis è stato dato a soggetti che sarebbero dovuti andare all’alta sicurezza, vi sono recluse molte più persone del dovuto, e più di quelle per cui lo Stato è in grado di assicurare l'effettivo rispetto del regime del carcere duro. Per l’ergastolo ostativo il tema è diverso, anche se pure lui è stato ampliato negli anni ad altri reati. Idem con le misure di prevenzione: siccome non necessariamente si fondano su sentenze di condanna e possono essere chieste anche dopo un'assoluzione, tanto si è tirata la corda che la Cedu è intervenuta restringendone l'ambito.
Se un sistema viene esasperato, superando la finalità che ci si era posti con interpretazioni troppo estensive, il risultato è di indebolirlo. Tutto va utilizzato cum grano salis, non perdendo mai di vista la ratio e l’anima di ciascun istituto giuridico.

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Come magistrato non ho elementi per sostenere l’esistenza di un disegno doloso di questo tipo, anche se non ne sarei sorpresa. Del resto, come prendersela con i paladini dei principi di libertà e garantismo che sono valori realmente apprezzabili? Chi non crede che un mondo senza carcere sarebbe bellissimo? Ma un allentamento della tensione, sì, questo lo noto. Nessuno avrebbe mai fatto questi ragionamenti nel 94-95. Il punto è che il cambiamento della nostra sensibilità sul fenomeno mafioso non necessariamente coincide con un cambiamento della realtà storica, che si è sicuramente modificata, ma non tanto quanto crediamo. Noi facciamo retate e arresti alla mafia ogni giorno. E se la mafia che la collettività percepisce appare più contenuta, ciò è anche frutto dell’azione di strumenti oggi messi in discussione.

"Il cambiamento della nostra sensibilità sul fenomeno mafioso non necessariamente coincide con un cambiamento della realtà storica, che si è sicuramente modificata, ma non tanto quanto crediamo"

Adesso, dopo il parere della Consulta, il legislatore deve indicare altri criteri per l’accesso ai benefici di ergastolani che hanno scontato 26 anni di pena e non collaborano. Cosa si augura?
Che il legislatore intervenga realmente e in tempo, individuando criteri oggettivi, significativi e non apparenti, e ponendo l'autorità giudiziaria nelle condizione di verificare l’effettiva rescissione del vincolo. Altrimenti tutto si trasforma in un atto di fede: il detenuto dice di essere cambiato, di essersi ravveduto e là ci fermiamo. Se il sistema deve essere ripensato, inoltre, ci vuole una visione ampia. Se vogliamo tutelare i diritti dei detenuti, che va benissimo, dobbiamo allo stesso tempo salvaguardare gli interessi della collettività, ovvero la sicurezza pubblica, e un bilanciamento di valori così difficile non può essere rimesso alla sensibilità di un singolo magistrato di sorveglianza, che spesso è distante dal fatto di reato e dal contesto in cui il fatto è avvenuto. Occorrono strumenti per uniformare il giudizio della magistratura di sorveglianza, occorre che la valutazione sia frutto di un onere collettivo in modo da acquisire quanti più elementi possibile e che la responsabilità non ricada sul singolo magistrato di sorveglianza, con tutte le conseguenze che ne possono derivare in termini di pericolo ed esposizione personale. 

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In conclusione, lei è preoccupata da questa sentenza?
Possiamo sperare nel miglioramento della legislazione e sperare che venga trovato un sistema più idoneo a bilanciare gli interessi in gioco. Tuttavia, non posso negare che la vicenda suoni come un campanellino d'allarme. Speriamo che alla Cedu continui ad arrivare l'eco delle nostre stragi e mattanze, perché se il magistrato di sorveglianza è lontano dai fatti, figurarsi la Corte europea. Sono passati trent'anni e ci sentiamo tutti più tranquilli. Però temo sia come, durante la pandemia, la zona bianca della Sardegna che poi in un mese è diventata rossa: vogliamo tornare a essere rossi? Il pericolo c'è. 

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