Il 21 marzo a Foggia, nel 2018
Il 21 marzo a Foggia, nel 2018

21 marzo: "La riconciliazione è importante per la democrazia"

Per la giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie a Napoli, Daniela Marcone – referente di Libera per l'area Memoria – propone di modificare alcune parole non adeguate a "situazioni che hanno scavato profondamente nelle nostre vite": complesso riparare – dice – ma si potrebbe provare a ricucire

Daniela Marcone

Daniela MarconeVicepresidente di Libera, responsabile settore Memoria

18 marzo 2022

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Il 21 marzo  è la giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie e, come ogni anno, raccolgo i pensieri per arrivare al primo giorno di primavera portando con me le riflessioni di un anno. Tra le altre, quella relativa all’urgenza di arrivare a dare effettiva realizzazione alle richieste di tante famiglie di vittime di mafia, richieste legittime e aderenti ad un senso di giustizia alto, che abbiamo raccolto in una piattaforma di punti e che abbiamo definito Diritti Vivi

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Una riconciliazione individuale e collettiva sarebbe un importante passo avanti per il nostro Paese in termini di democrazia, solidarietà e giustizia

Una rinnovata attenzione alle vittime di mafia produrrebbe non solo una risposta alle nostre domande, ma potrebbe accompagnare e incoraggiare eventuali percorsi, basati sempre sulla valutazione personale, di ricucitura, anche solo parziale ma pur sempre importante, della lacerazione che la morte dei nostri cari ha determinato nelle nostre vite. Da qui la nostra proposta, in via di costruzione, di modificare alcune parole che non possono essere adeguate a situazioni che hanno scavato profondamente nelle vite ed è complesso “riparare”, ma si potrebbe provare, appunto, a ricucire, determinando una possibile riconciliazione individuale e collettiva che farebbe fare un importante passo avanti nel nostro Paese nella direzione dell’affermazione di valori fondanti di democrazia, solidarietà e giustizia.

Sono trascorsi oltre due anni dalla manifestazione del 18 febbraio 2020, nel corso della quale molti familiari di vittime, raccoltisi davanti alla sede del Parlamento a Roma, chiesero, ancora una volta, con forza e determinazione che le proprie richieste fossero accolte e che quelli che la legge italiana chiama “benefici” fossero definiti “diritti”. Diritti Vivi, appunto, il cui rispetto è necessario per dare dignità alle vite delle persone, rese fragili dall’aggressione violenta delle mafie. Le parole che usiamo sono importanti e fino a quando le misure di sostegno alle vittime di mafia e ai loro familiari saranno definite benefici, la loro natura continuerà ad essere poco consona al senso che tali misure devono avere, cioè provare a risarcire, sebbene in modo assolutamente parziale, il danno grave e profondo che le vittime hanno subito. Un danno che ha determinato uno strappo nelle nostre vite, che in moltissimi casi ha a che fare anche con l’assenza di una verità giudiziaria: abbiamo stimato che oltre l’80% delle vittime subisce tale lacuna, vivendo uno stato di ulteriore vittimizzazione. 

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Dopo due anni da quel 18 febbraio, come familiari delle vittime saremo di nuovo insieme a Napoli, in un incontro che si terrà nel pomeriggio precedente alla Giornata della Memoria e dell’Impegno, ossia il 20, in un luogo straordinario, il Monastero di Santa Chiara. Il nostro pensiero andrà alle persone che le mafie ci hanno portato via e qualcuno di noi troverà il coraggio di condividere con i presenti un ricordo, una riflessione, una speranza. La speranza più intensa, appartenente a tanti di noi è che una risposta di verità arrivi, una risposta a quelle domande che da anni ci chiediamo e che riaffiorano quando meno ce lo aspettiamo, che si riassume nell’interrogativo semplice e tagliente: perché? 

Fino a quando le misure di sostegno alle vittime di mafia e ai loro familiari saranno definite benefici, la loro natura continuerà ad essere poco consona

Quando siamo tutti insieme, gli sguardi condivisi, le parole e, prima della pandemia, gli abbracci, creano una rete di sostegno importante, una percezione di condivisione che ci accompagna oltre quel momento. Il nostro essere comunità non si identifica solo nel dolore simile che ognuno di noi ha provato, ma anche nella speranza di un cambiamento reale verso un mondo più giusto, in cui i nostri diritti rimasti inascoltati e il nostro bisogno di verità trovino accoglienza. A ben guardare, tanti dei nostri passi, delle nostre testimonianze espresse in particolar modo con le persone più giovani, costruiscono quella speranza che resta il filo conduttore che ci ha permesso di trasformare il dolore in impegno. 

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Quando scrivo del concetto di speranza faccio riferimento ad azioni concrete, nulla a che fare con la fumosità di un’illusione, ecco perché è fondamentale che il nostro diritto di sapere, che si sostanzia in un vero e proprio diritto alla verità, si nutra anche di percorsi e riflessioni che percorrano un intero Paese, le nostre comunità: così come nella costruzione di una memoria comune è importante non essere soli, anche in questo percorso che viene da lontano, ma che sta acquisendo sempre più consapevolezza e forza tra noi, le vittime non possono essere lasciate sole ed è fondamentale produrre un’istanza collettiva che parta da un bisogno avvertito come essenziale da tutte le persone. 

Il “diritto al nome”, che si inserisce spesso nelle parole di don Luigi Ciotti, parte dalla riflessione che diede vita alla raccolta dei nomi delle vittime innocenti delle mafie in un elenco, idea che nacque contemporaneamente ai primi passi della rete di Libera. E’ un diritto che ha un contenuto etico ed è espresso dal momento saliente della Giornata della Memoria e dell’Impegno, ossia la lettura, accurata e attenta, dell’elenco stesso delle vittime innocenti delle mafie, in cui sono custoditi i nomi di persone che altrimenti sarebbero state dimenticate, causando la perdita di centinaia di storie che oggi innervano il nostro patrimonio memoriale. Questo diritto è stato il primo importantissimo passo di un cammino che oggi rende più forte la consapevolezza della necessità e urgenza che il diritto alla verità sia scritto nel diritto interno italiano, un diritto che ha una dimensione sia individuale che collettiva, che dovrebbe avere pari dignità e forza di ogni altro diritto fondamentale della persona.

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Le riflessioni sulla necessità di un diritto alla verità sono numerose, alcune molto complesse, ma quasi tutte necessitano di uno sguardo complessivo di attenzione alle vittime e che vada oltre i confini italiani, che guardi alle direttive europee, ma anche alle convenzioni internazionali: moltissime persone nel mondo sono in “cammino” per conoscere la verità circa l’uccisione di un loro congiunto o la sua scomparsa. 

La lettura degli oltre nomi delle vittime il 21 marzo, il percorso accanto a noi familiari, la percezione che c’è ancora tanto da fare e progettare, ma che non ci si ferma e che anzi le storie delle vittime di mafia ci spingono, ancora una volta, a riprendere il cammino d’impegno, raccontano di una memoria consapevole che non viene mai scissa dall’impegno, di un processo capace di leggere il presente grazie alla conoscenza del passato, una memoria che costruisce un percorso efficace per l’affermazione dei diritti delle vittime di mafia, sostanza vitale della speranza comune di un mondo in cui il cambiamento parta da una risposta di verità e giustizia per quanti la attendono da tanto, troppo, tempo.

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