14 aprile 2022
Letizia Battaglia è stata una fotografa, ma prima di tutto è stata una donna che non ha avuto paura di sé, della propria felicità così come della propria infelicità, né di raccontarsi, anche quando raccontarsi significava toccare dei tabù. È morta a 87 anni, dopo una lunga malattia che non l’ha mai fermata né separata dalle sue amate sigarette. Era fragile, Letizia, e non lo nascondeva ed è proprio mostrandola, a volte persino ostentandola, che la sua fragilità è diventata la sua forza. A scattare foto ha iniziato a 40 anni, non proprio un’età in cui si ricomincia, di solito. Ma a Letizia le convenzioni non piacevano e tutto quello che è successo prima della vita da fotoreporter l’ha più volte esposto con naturalezza: un matrimonio a 16 anni, tre figlie, e un’insoddisfazione persistente. Il marito era un industriale che la desiderava tutta per sé, lei invece voleva studiare.
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È stato il 1964, l’anno della crisi. L’anno in cui – come ha raccontato nella biografia scritta con Sabrina Pisu Mi prendo il mondo ovunque sia. Una vita da fotografa tra passione civile e bellezza (Einaudi) – il dolore è diventato fortissimo: “Mi crollava il cuore, mi veniva da vomitare, avevo ogni volta una specie di collasso, era come una sorta di infarto. Mi sentivo fallita, annientata, affogare in un’angoscia senza fine”. Cercava di attenuare il malessere mischiando valium e whiskey e già questo rimedio fai dai te basterebbe a descrivere Letizia Battaglia. Quel dolore, scoprirà dopo sul lettino di uno psicanalista, era dettato dalla voglia di vivere e di partecipare alla vita del mondo.
Una voglia che sentiva soffocata e che la porterà prima a ricordarsi del suo sogno di bambina, fare la scrittrice, poi a bussare alle porte de L’Ora. Non avevano bisogno di gente che scrivesse e basta nei giornali, e allora Letizia ha iniziato a scattare: non aveva tecnica, ha ammesso lei stessa, ma di fotografie ne faceva tante e una decente doveva uscire per forza. I colleghi non l’amavano perché “il mondo del giornalismo era dei maschi e io davo fastidio, in più non ero una persona docile, non mi facevo dare ordini”. Ma a lei non importava, imponendosi quando serviva.
I colleghi non l’amavano perché “il mondo del giornalismo era dei maschi e io davo fastidio, in più non ero una persona docile, non mi facevo dare ordini”
È così che è iniziata la carriera che conosciamo, quella che l’ha portata a conquistare la fama di fotografa di mafia: definizione che Battaglia rigettava dicendo “io non sono di, io sono contro la mafia. Io ho fotografato Palermo, questo sì, e a Palermo c’è anche la mafia”. Sua la foto che nel 1980 ha ritratto l’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella sorreggere il cadavere del fratello Piersanti, all’epoca presidente della regione Sicilia, appena ucciso da Cosa nostra. In un’intervista, Battaglia disse di essere arrivata sul posto per caso, perché a volte nella vita pesa anche la sorte. Sua pure la foto che ha per protagonista Rosaria Costa, la vedova di Vito Schifani: uno degli agenti della scorta di Giovanni Falcone assassinati nella strage di Capaci, ormai quasi trent’anni fa. L’immagine è un primissimo piano del volto di Rosaria, con gli occhi simbolicamente chiusi e la bocca socchiusa, per metà in ombra e per metà illuminato dal sole. Forse uno degli scatti di Letizia più belli.
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Le foto di Battaglia documentano gli anni più sanguinosi della Sicilia, un’ecatombe. Per la forza della loro testimonianza sono state esposte in tutto il mondo e nel 1985 le hanno permesso di ricevere il premio statunitense Eugene Smith, prima donna europea. Alcune sono diventate persino prove processuali, come nel caso delle immagini di Giulio Andreotti con i cugini Salvo, imprenditori legati alla mafia, fatte nel 1978. Fotografie che Letizia ha sempre definito "partecipate" e che per questo non possono essere comprese a pieno senza prima capire la donna che c’era dietro la macchina, con le sue ossessioni e le sue fragilità, diventate forza.
La Letizia che conosceva la sofferenza psicologica ed era attratta dalla follia, attrazione che nel 1978 l’ha spinta a coordinare un laboratorio teatrale nella Real Casa dei Matti, l’ospedale psichiatrico di Palermo, insieme al nuovo compagno, Franco Zecchin, un altro fotografo. E la Letizia che si specchiava nelle altre donne: soggetto privilegiato delle sue fotografie. Proprio con i loro volti scelse di sovrapporre le immagini dei morti scattate tra gli anni Settanta e Ottanta, quando per lei erano diventate un tormento. A chi diceva che facevano schifo, rispondeva: “A me sono state utili”.
Le bambine e le adolescenti di Palermo sono state il baricentro del lavoro di Letizia, dagli esordi a oggi. Dalla ragazzina con il pallone immortalata nel 1980, che ha rincontrato dopo 38 anni con le lacrime agli occhi, alle "lolite" della contestata pubblicità Lamborghini: "Le hanno chiamate Lolite, ma quello è lo sguardo di voi uomini, voi maschi – rispose lei, ferita –. Le avete guardate le mie fotografie, le avete capite? Le bambine guardano me, le bambine guardano il mare e non le automobili, non sculettano davanti alla macchina gialla, sono con me, sono insieme a me".
Nessuna parità oltre la finzione. Il nostro numero sulle disuguaglianze di genere con le fotografie di Letizia Battaglia
In una delle sue foto si vede una signora seduta su un divano con le gambe accavallate e le braccia incrociate dietro la testa. Sembra dire: vi piaccia o no, questa sono io. Ecco, in quella foto c’è tutta Letizia e forse un po’ anche tutte noi
Una delle sue ultime passioni è stata fotografare donne nude: “Per come noi ci vediamo, con rispetto, prudenza e protezione”. Suo grande desiderio era portare quelle foto in strada: un gesto che Battaglia definiva "politico", ma per cui – a suo avviso – “non siamo ancora pronti”. Alcuni di quegli scatti sono stati scelti dal nostro giornale per il dossier del numero sette, dedicato alle diseguaglianze di genere. In uno si vede una signora seduta su un divano con le gambe accavallate e le braccia incrociate dietro la testa. Sembra dire: vi piaccia o no, questa sono io. Ecco, in quella foto c’è tutta Letizia e forse un po’ anche tutte noi.
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