
Ius scholae e cannabis, voto rinviato alla prossima settimana

17 maggio 2022
Dei trent’anni intercorsi dalle terribili stragi del 1992 voglio ricordare innanzitutto i grandi successi conseguiti sul fronte dell’azione antimafia: i progressi sul versante della normativa, del contrasto investigativo e giudiziario, ma anche quelli dei movimenti, delle associazioni, della società civile. Mi preme tuttavia richiamare l’attenzione sul fatto che questi successi siano poco riconosciuti e stentino a divenire un dato acquisito da valorizzare per rafforzare la stessa azione antimafia, oltre che per sottolineare la tenuta democratica del Paese. È oltremodo significativo che essi trovino spazio solo ai margini del dibattito pubblico, e spesso siano lasciati in secondo piano anche da esperti e addetti ai lavori.
Certo è comprensibile che la priorità continui a essere assegnata alla pericolosità delle mafie, tutt’altro che sconfitte, per cui è importante rilanciare l’invito a non abbassare la guardia. Meno ovvio è però ritenere che tutto sia rimasto immutato in questo trentennio. In particolare, risulta controproducente considerare indispensabile sempre e comunque una logica emergenziale. Una logica che enfatizza necessariamente gli aspetti repressivi, ma sottovaluta altre dimensioni, come ad esempio le tante iniziative che, più che combattere i mafiosi, cercano di bonificare e trasformare i contesti in cui essi agiscono e sono radicati. Un insieme di pratiche orientate a "fare società" prima ancora che antimafia, anzi che spesso operano senza sventolare i vessilli dell’antimafia. Vorrei proporre qui qualche riflessione sul mancato riconoscimento di queste pratiche, simile a quello che più in generale riguarda i successi del fronte antimafia. Un mancato riconoscimento che, a mio parere, in entrambi i casi ha molto a che fare con il modo in cui mafia e antimafia sono rappresentate sulla scena pubblica.
Dopo le stragi, come sappiamo, è notevolmente cresciuto il livello di attenzione e di conoscenza nei confronti dei fenomeni mafiosi. Le reazioni seguite al trauma causato dalle tragedie hanno portato a compimento il percorso storico che, passando attraverso una serie di tappe (legge Rognoni-La Torre, maxiprocesso, primavera di Palermo, ecc.), ha condotto alla costruzione sociale della mafia come “male”, ovvero alla consapevolezza di un fenomeno che danneggia la collettività e la convivenza democratica, e che quindi va considerato come male sociale da osteggiare e contrastare.
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A trent'anni dalle stragi di Capaci e di via D'Amelio, lavialibera propone a lettrici e lettori un numero speciale: una riflessione a più voci sugli anni che ci separano dalla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un antidoto contro la retorica delle celebrazioni