
Reato di tortura nel carcere di Torino: "Impossibile che i vertici non sapessero"

13 luglio 2022
"Tanti, troppi giovani sono costretti in lavori precari e malpagati, quando non confinati in periferie esistenziali". Con queste parole, il 3 febbraio scorso, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inaugurato il suo secondo mandato. "È necessario assumere la lotta alle diseguaglianze e alle povertà come asse portante delle politiche pubbliche", ha aggiunto il capo dello Stato, che durante il suo discorso è stato interrotto diverse volte dagli scroscianti applausi del parlamento. Ma se lavorare non è più sufficiente a garantire una vita dignitosa, la politica non può limitarsi al ruolo di spettatore plaudente.
Da oltre trent’anni le retribuzioni sono ferme al palo, immobili in una stagnazione che sembra non avere fine
Da oltre trent’anni le retribuzioni sono ferme al palo, immobili in una stagnazione che sembra non avere fine. I lavoratori sono sempre più soli e precari. Mentre il mondo datoriale gioca al ribasso in termini di salari, le politiche pubbliche, di regolamentazione e ridistribuzione, restano insufficienti.
Pochi giorni prima del discorso di Mattarella, il ministero del Lavoro ha presentato uno studio sconfortante: il 13,2 per cento dei lavoratori e delle lavoratrici vive in condizioni di povertà. Il fenomeno riguarderebbe 3 milioni di persone che vivono con meno di 12 mila euro l’anno. Lo studio condotto dal ministero, in questo senso, prende come riferimento i dati Eu-Silc del periodo pre-pandemico. Tutto lascia intuire che la crisi sanitaria abbia peggiorato la situazione. E una cosa è certa: il lavoro non è più una garanzia di sicurezza economica. Avere uno stipendio non è sufficiente.
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