6 novembre 2022
Nel corso del processo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia, le assoluzioni di politici e ufficiali dei carabinieri hanno avuto più risalto e più spazio rispetto alle notizie del rinvio a giudizio del 2013 e delle condanne in primo grado nel 2018. Si tratta di un fatto che smentisce la vulgata secondo cui le notizie delle assoluzioni ottengono minore visibilità rispetto a quelle su indagini e condanne. E che può aver condizionato l’opinione pubblica su questa importante pagina della nostra storia recente. Il dato emerge da uno studio, condotto nell’ambito di una tesi di laurea magistrale in comunicazione, conseguita a marzo del 2022 all’Università di Palermo, sull’informazione di sette quotidiani nazionali e locali tra il 2013 e il 2021, un’informazione che – nonostante l’importanza delle vicende storiche – è spesso rimasta superficiale.
Lo studio parte da una domanda di ricerca. In che modo è possibile farsi un’opinione su un processo, come quello della trattativa Stato-mafia che tenta di ricostruire la storia degli anni più bui dello stragismo, se alcuni temi vengono oscurati rispetto ad altri?
Nella formazione dell’opinione pubblica giocano un ruolo fondamentale le priorità indicate dalla politica (agenda politica) e il potere dei media di definire urgenza e caratteristiche dei problemi pubblici (agenda setting). È a partire dai giornali e dai media che si costruisce l’opinione pubblica, ed è a partire da questa che si formano anche le percezioni, le reazioni ed i comportamenti di chi vi entra in contatto.
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E allora quali sono state le reazioni e le percezioni dell’opinione pubblica e in che modo è stata accolta nel 2018 la sentenza di primo grado del processo Trattativa? Sentenza che, ricordiamolo, aveva condannato allo stesso tempo politici, ufficiali dei carabinieri e mafiosi, e figure che orbitavano nell’area grigia? E come, invece, è stata accolta la notizia del ribaltamento del processo in secondo grado nel 2021 ha assolto politici e carabinieri, ritenuti responsabili in primo grado, e condannato i soli mafiosi?
Con il termine “trattativa” si fa riferimento ai contatti “che già a decorrere dall’omicidio dell’onorevole Lima sono avvenuti tra esponenti delle istituzioni ed esponenti di Cosa nostra” – si legge nella sentenza di primo grado – negli anni Novanta, dopo l’escalation di violenza che Cosa nostra scatenò a seguito delle condanne del maxi-processo di Palermo. Il processo sulla trattativa Stato-mafia è iniziato con il rinvio a giudizio a marzo del 2013, deciso dal giudice per l’udienza preliminare (gup) Piergiorgio Morosini, di mafiosi di rilievo come Salvatore Riina, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, insieme ad altissimi ufficiali del Raggruppamento operativo speciale (Ros) dei carabinieri, come Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, e all’imprenditore e politico Marcello Dell’Utri, braccio destro di Silvio Berlusconi, insieme agli ex ministro Nicola Mancino, e a Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, già condannato per mafia.
La principale accusa rivolta dai pm antimafia ai mafiosi e agli uomini delle istituzioni era di violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario (in base all’articolo 388 del codice penale che punisce con la pena della reclusione da uno a sette anni “chiunque usa violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o a una qualsiasi pubblica autorità costituita in collegio, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attività”). Tra le ipotesi degli inquirenti, questo dialogo avviato dalle istituzioni con il tentativo di fermare le stragi, potrebbe avere assunto le forme di un “do ut des” (ti do una cosa per averne un’altra, insomma).
Si tratta di un processo singolare, in cui lo Stato accusa una parte dello Stato. Certo, di trattative si è parlato sin dai primi anni della nascita del fenomeno mafioso, come nei casi di Portella delle ginestre o la morte del bandito Salvatore Giuliano. Però è vero anche che le trattative si sono sempre caratterizzate come “mediazioni occulte”, che hanno determinato un vulnus nella storia italiana, che appare come una pagina vuota in un libro di storia.
L’attenzione dello studio si è focalizzata sul modo in cui alcuni giornali nazionali e alcuni giornali locali siciliani hanno trattato la notizia del rinvio a giudizio e delle sentenze di primo e secondo grado. Sono stati analizzati gli articoli pubblicati dalle sette testate giornalistiche nell’arco dei tre giorni di ogni fase del processo:
rinvio a giudizio (7, 8 e 9 marzo 2013);
sentenza di primo grado (20, 21 e 22 aprile 2018);
sentenza di secondo grado (24, 25 e 26 settembre 2021).
La modalità di selezione delle testate giornalistiche ha tenuto conto della loro popolarità e diffusione e della diversa collocazione politica. È stata misurata la frequenza degli articoli pubblicati (19 articoli nel 2013 nella fase di rinvio a giudizio; 54 articoli nel 2018 dopo la sentenza di primo grado; 63 nel 2021 dopo il giudizio di secondo grado) e per ogni articolo sono stati analizzati la collocazione dei contenuti e i temi, ad esempio per controllando quanti articoli sono stati pubblicati in prima pagina, in quale sezione del giornale. Quali sono stati i temi trattati, gli stili di trattazione, lo spazio riservato agli attori/imputati del processo e ai commenti di natura politica, civile o istituzionale?
La ricerca ha rilevato che la notizia delle assoluzioni dei politici e dei carabinieri è stata una notizia che ha avuto maggiore risonanza mediatica delle notizie del loro rinvio a giudizio nel 2013 e delle loro condanne in primo grado nel 2018. Infatti, nel 2021 al momento della sentenza di secondo grado, che ha ribaltato gli esiti processuali rispetto al primo grado di giudizio, complessivamente sono stati pubblicati un numero maggiore di articoli rispetto agli altri anni analizzati.
Ad esempio, Il Giornale di Sicilia, che aveva pubblicato nel 2018 solo tre articoli, nel 2021 al momento delle assoluzioni degli ufficiali dei carabinieri e dei politici ha pubblicato otto articoli, dunque più del doppio.
Nelle periferie vive il cuore del giornalismo
Da quanto emerso, il modo di trattare le notizie che riguardano il processo Trattativa si rivela fortemente condizionato dal “tono” e dalle “posizioni assunte” dai giornali. A seconda di quello che i giornalisti hanno scritto, dei commenti inseriti e delle scelte linguistiche da loro operate, è stato possibile classificare nelle schede di rilevazione gli articoli all’interno di quattro voci: “negazionista”; “scettico”; “asettico”; “sanzionatorio”.
All’interno della voce tono scettico sono stati inseriti gli articoli giornalistici in cui l’autore ha usato espressioni, nei casi degli articoli giornalistici del 2013, come “conclusioni generiche”, “incognite”, “presunta trattativa”, “numerosi dubbi” (La Sicilia, 9 marzo 2013).
All’interno della voce tono asetticosono stati inseriti gli articoli giornalistici in cui l’autore ha cercato di raccontare i fatti senza prendere posizioni né in tema di discrezionalità, né esprimendo giudizi di alcun tipo. Il tono asettico si è rivelato predominante negli articoli inseriti nelle sezioni di cronaca e di attualità.
Ipotizzando che la posizione asettica sia quella centrale, è stato possibile costruire un asse con due poli opposti (negazionista e sanzionatorio). Sono stati, per esempio, inseriti nella voce tono negazionistaquegli articoli in cui l’autore ha scritto delle sue affermazioni, attraverso le quali potrebbe avere veicolato il messaggio: “la trattativa non è esistita”.
All’interno della voce tono sanzionatoriosono stati, invece, inseriti gli articoli giornalistici in cui l’autore, in virtù degli atti giudiziari emessi, condanna altri giornalisti, opinionisti, esprimendo valutazioni proprie e giudizi personali.
Osservando sia il tono assunto nelle diverse fasi del processo dai giornali, sia il numero di articoli pubblicati, lo studio ha dimostrato che, ad esempio, il quotidiano Libero, che negli anni si è collocato tendenzialmente verso l’asse “negazionista”, al momento delle assoluzioni aumenta l’attenzione e il numero degli articoli pubblicati: al momento del rinvio a giudizio degli imputati, non aveva pubblicato nessun articolo e al momento della condanna di primo grado ne aveva pubblicati la metà. Inoltre la notizia dell’assoluzione è stata messa in risalto in prima pagina, ponendola all’interno di un riquadro rosso.
Allo stesso tempo, lo studio ha dimostrato cosa può accadere nel caso dei giornali che negli anni si sono collocati al polo opposto, usando un “tono sanzionatorio”. Il Fatto Quotidiano, ad esempio, al momento delle assoluzioni ha pubblicato meno articoli di quanti ne avesse pubblicati per le loro condanne in primo grado.
Valutando la ricorrenza dei nomi di protagonisti e co-protagonisti di questa vicenda giudiziaria, emerge una particolarità. Nel 2018 Silvio Berlusconi è stato il protagonista assoluto della narrazione dei giornali. La sintesi di questa analisi è rappresentata dall’immagine che compare nella prima pagina de Il Fatto Quotidiano del 21 aprile 2018, e che raffigura in primo piano il generale Mario Mori e politici Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri con la frase: “La Trattativa c’è stata e B. è il suo profeta”.
I mafiosi Cinà e Bagarella sono stati menzionati meno volte di Berlusconi, e così è stato anche per gli ufficiali del Ros. Eppure Berlusconi non è stato fra gli imputati di questo processo, quindi per quale motivo potrebbe avere assunto soprattutto nel 2018 il ruolo di protagonista? Semplice: Dell’Utri è stato da sempre un collaboratore di Berlusconi e, inoltre, in quel periodo del 2018 erano in corso al Quirinale le consultazioni per la nuova formazione di un governo nazionale dopo le elezioni politiche del 4 marzo.
Tre grandi temi possono essere individuati negli articoli sul processo. Uno, abbastanza tecnico perché di natura giuridica, riguarda l’applicazione del reato di violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario. Il secondo riguarda il ruolo delle destre eversive, della massoneria deviata e dei servizi segreti “deviati” nelle stragi. Il terzo, infine, la ricerca delle verità sulle stragi degli anni ’90.
Sin dalle origini di questo processo, tra i commenti si è creata la frattura tra chi pensava che i fatti potessero indicare una responsabilità penale, e quanti invece sostenevano si trattasse di sola responsabilità politica.
“Il processo Stato-mafia ha infiammato il dibattito pubblico. Spesso in una dimensione politico-ideologica, che ha fatto venire meno la riflessione sulle circostanze di fatto scoperte dall’indagine”Salvo Palazzolo - Inviato de La Repubblica
Il dubbio che si potesse accertare una responsabilità penale è un tema che, già dal momento del rinvio a giudizio nel 2013, era entrato nel dibattito sia locale, sia nazionale, occupando tanto spazio quanto il coinvolgimento di forze eversive e deviate, ed è stato presente quasi quanto il tema della ricerca della verità sulle stragi degli anni ’90. Nel 2018 il tema del dibattito sulla responsabilità penale o morale, e i riferimenti alle vicende politiche delle consultazioni di quei giorni, sono stati i temi maggiormente trattati. Questi argomenti nel 2018 hanno coperto persino il tema delle destre eversive e del ruolo che diverse entità, tra le quali la massoneria deviata P2, i servizi segreti deviati, ed altre organizzazioni, avrebbero avuto.
Nel 2021 quasi la metà degli articoli fa riferimento al dibattito sulla responsabilità penale, mentre del ruolo nelle stragi delle destre eversive e delle possibili organizzazioni deviate all’interno dello Stato nel 2021 si parla soltanto nel 14 per cento degli articoli pubblicati dalla stampa sulla Trattativa.
“Il processo Stato-mafia ha infiammato il dibattito pubblico. Spesso in una dimensione politico-ideologica, che ha fatto venire meno la riflessione sulle circostanze di fatto scoperte dall’indagine”, ha spiegato Salvo Palazzolo, inviato de La Repubblica, in un’intervista realizzata nell’ambito della ricerca.
Quando dopo quasi un anno, il 6 agosto 2022, sono state depositate le motivazioni di secondo grado, il confronto pubblico sul processo si è riacceso, rispolverando i temi già visti. Da una parte, chi ritiene si debba escludere una responsabilità da parte dei carabinieri; dall’altra, quanti invece continuano a sottolineare nodi cruciali, omissioni e criticità.
Se da un lato Costantino Visconti, professore di diritto penale all’Università di Palermo, continua a sostenere che “per dieci anni i pm palermitani hanno gettato ombre su tutto e tutti inutilmente” e che “non ci fu nessuna trattativa fra lo Stato e la mafia” (tratto dall’intervista su LiveSicilia del 15 agosto 2022), dall’altro Roberto Scarpinato, ex procuratore generale a Palermo (e attuale senatore del M5s), sostiene che “vari indizi inducono a ritenere che purtroppo le stragi del 1992-93 non sono eventi conclusi, ma sono ancora tra noi, perché accanto a un dibattito pubblico e a una dialettica giudiziaria in cui continuano democraticamente a confrontarsi opinioni diverse” e che si stiano mettendo in atto “occulte manovre per chiudere definitivamente questa spinosa partita, riducendo una volta per tutte le responsabilità e le causali esclusivamente a personaggi come Riina e sodali, elevati a icone totalizzanti del male di mafia” (tratto dall’intervista del Il Fatto Quotidiano, 9 agosto 2022).
Trattativa Stato-mafia: ci fu, ma il reato è solo dei boss
“Si ha sempre la sensazione che ci sia sempre un ‘terzo pilastro’ all’interno delle vicende storiche degli ultimi decenni. (...) Si chiamano ‘menti raffinatissime’”Salvatore Cusimano - Giornalista Rai
Nelle interviste realizzate ai giornalisti Attilio Bolzoni, Salvo Palazzolo e Salvatore Cusimano nel corso della ricerca, un tema ricorrente riguarda il coinvolgimento nelle stragi di altre forze, non direttamente legate alla mafia. “Secondo me, Falcone e Borsellino non sono stati uccisi soltanto dai mafiosi, come hanno accertato i magistrati, pur lasciando degli spiragli su mandanti altri. Io non ci credo”, ha detto Bolzoni. Secondo Palazzolo, “i mafiosi cambiano strategia. Rompono il silenzio e mandano messaggi obliqui. Il loro è un modo per continuare a ricattare uomini o pezzi di apparati all’interno delle istituzioni, in virtù di vecchie complicità”. Per Cusimano “si ha sempre la sensazione che ci sia sempre un ‘terzo pilastro’ all’interno delle vicende storiche degli ultimi decenni. (...) Si chiamano ‘menti raffinatissime’”, ha detto citando l’espressione usata da Giovanni Falcone dopo il fallito attentato all’Addaura.
Eppure, questo tema indicato come prioritario dai giornalisti intervistati, non è apparso in linea con il lavoro svolto dalla stampa nazionale e locale. Nel 2013 del tema delle destre eversive e delle organizzazioni deviate si parlava solo nel 47 per cento degli articoli analizzati, e con il tempo l’attenzione della stampa per questo tema è diminuita, e la presenza di questo tema nel 2021 è stata riscontrata solo nel 14 per cento degli articoli pubblicati rispetto al totale.
Nel 2013 del tema delle destre eversive e delle organizzazioni deviate si parlava solo nel 47 per cento degli articoli analizzati, e con il tempo l’attenzione della stampa per questo tema è diminuita, e la presenza di questo tema nel 2021 è stata riscontrata solo nel 14 per cento degli articoli pubblicati rispetto al totale.
Queste valutazioni dei tre giornalisti fa emergere un altro aspetto: l’importanza del ruolo del giornalismo di inchiesta e di approfondimento, contrapposto a un giornalismo che rimane in superficie offrendo parziali ricostruzione dei fatti e cadendo nella trappola della routine del giornalismo. Appare sempre più ricorrente e comune che i giornalisti che si occupano di fatti di mafia sentano l’esigenza di avere degli spazi e dei luoghi di informazione autonomi, soprattutto online, dedicati agli approfondimenti e agli aggiornamenti costanti. Basti pensare, per esempio, al blog “I Pezzi Mancanti” di Salvo Palazzolo, ai blog “Mafie” curati da Attilio Bolzoni, al blog “Cose Nostre” curato da Enrico Bellavia all’interno del giornale L’Espresso. Per Bolzoni la scelta di avere un blog è dettata dalla natura stessa del tema delle mafie, non a caso, la descrive come “una scelta naturale”, in linea con il giornalista Salvo Palazzolo che dichiara “siamo di fronte a una materia che necessita di grande approfondimento”.
Si delinea un paradosso: mentre si dà quasi per scontato che il giornalismo d’approfondimento e d’inchiesta sia ormai scomparso, anche per ragioni economiche, cedendo il posto a nuove forme che rispondono a esigenze di risparmio e di velocità di copertura delle informazioni, lo stesso giornalismo è ancora ritenuto lo strumento principale per informarsi sulle mafie. I dati emersi dal sondaggio condotto da “LiberaIdee” nel 2018 sulla percezione del fenomeno mafioso ci dicono che nel racconto e approfondimento dei fenomeni mafiosi, “il mezzo considerato il più adeguato è il giornalismo d’inchiesta, seguito dalla televisione, dal cinema e dalle lezioni nelle aule scolastiche e universitarie”.
La buona informazione è un vaccino contro mafie e corrotti
Parlare del processo Trattativa significa parlare di una materia ancora viva. Poche settimane fa, giorno 11 ottobre 2022, la procura generale di Palermo ha presentato ricorso in Cassazione. Inoltre, alcune procure italiane stanno ancora lavorando alle indagini sulle stragi degli anni ’90. È quindi utile interrogarsi, ancora oggi, su quali siano i temi ai quali si dovrebbe dare maggiore rilevanza mediatica.
È tuttora auspicabile un lavoro in fieri che tenga conto di un’ulteriore e più recente analisi del ruolo della stampa, a partire da quanto sta accadendo dopo la pubblicazione delle motivazioni di secondo grado. Resta da capire, infatti, al di là però dei dibattiti pubblici e delle contrapposizioni ideologiche che ruolo continuano a rivestire i grandi temi nella formazione di un’opinione pubblica su un processo che ha tentato di ricostruire la storia degli anni bui dello stragismo.
Analizzare le sentenze di questo processo significa, infatti, soffermarsi anche sulle anomalie come la mancata perquisizione del covo di Salvatore Riina, le mancate informative all’autorità giudiziaria, come il caso della mancata cattura di Provenzano, come il caso della mancata proroga da parte dello Stato nel mese di novembre 1993 di 334 decreti di sottoposizione al regime di 41 bis di importanti esponenti della criminalità organizzata, significa analizzare il ruolo di Marcello Dell’Utri nelle vicende politiche del 1992, il quale è stato già “condannato in via definitiva alla pena di sette anni di reclusione per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa” nel 2014. Significa soffermarsi sui temi di fondamentale rilevanza per la formazione di un’opinione pubblica consapevole e di una coscienza civile, critica e informata.
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Il testo rielabora e sintetizza i risultati della tesi di laurea magistrale in Comunicazione, intitolata “Il processo Trattativa come studio di comunicazione: il ruolo dei giornalisti e dei giornali all’interno del processo e nella costruzione della sua immagine pubblica”, conseguita da Francesca Palumbo a marzo del 2022 all’Università degli Studi di Palermo. Relatrice la sociologa Alessandra Dino
Sentenze
Corte di Assise di Palermo, Sez. II, Sentenza n. 2 del 20 aprile 2018, le cui motivazioni sono state depositate il 19 luglio 2018;
Corte d’Assise d’Appello di Palermo, II sez., del 23 settembre 2021, le cui motivazioni sono state depositate il 6 agosto 2022
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