25 novembre 2022
Giuseppe Busia è il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), un ente pubblico indipendente la cui funzione principale è prevenire, attraverso una costante attività di vigilanza, eventuali illeciti commessi nell’ambito della pubblica amministrazione. Lo abbiamo incontrato per commentare i risultati del report RimanDATI 2 che, per il secondo anno di seguito, fotografa il grado di trasparenza dei Comuni italiani nella filiera della confisca dei beni mafiosi.
Sei Comuni su dieci non pubblicano l’elenco e le informazioni sui beni confiscati a loro assegnati. Come giudica questo dato?
È grave, innanzitutto perché la trasparenza su quei beni e il loro utilizzo a favore della comunità, e di quanti ne hanno più bisogno, è un dovere morale altissimo, che viene ancor prima di quello giuridico stabilito dal Codice antimafia, all’articolo 48, e dalle disposizioni in materia di trasparenza. La destinazione sociale di patrimoni accumulati con il malaffare e il crimine porta con sé un forte significato simbolico, di riscatto delle istituzioni e dei territori, di riparazione dei danni collettivi causati dalla malavita proprio al territorio in cui opera. Ma è grave il silenzio su tali beni soprattutto perché impedisce di liberare quelle ricchezze dall’ombra della mafia, dalla paura di riutilizzarle per le stigmate di criminalità che portano con sé, dal timore di rappresaglie che impedisce di andare oltre, di superare un passato oscuro che non passa, e non si vuol far passare.
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In un contesto simile, come si sviluppa l’azione dell’Anac?
L’Autorità pone la trasparenza come una sua missione costitutiva, un impegno che porta avanti quale compito prioritario. Trasparenza che deve riguardare le pubbliche amministrazioni e, in particolare, i comuni e gli altri enti locali che hanno sul loro territorio beni immobili confiscati alla criminalità. Contrariamente a quanto pensano ancora in troppi, anche nelle istituzioni la trasparenza, se ben organizzata e adeguatamente mirata, non rallenta la macchina amministrativa, semmai favorisce la partecipazione civica e l’accesso ai servizi, assicurando il pieno rispetto dei diritti fondamentali delle persone interessate.
Che messaggio vuole mandare alle amministrazioni?
Di fronte a Comuni che ritengono, purtroppo, la trasparenza compito non prioritario rispetto a costruire opere o a gestire l’ordinaria amministrazione, va ricordato con forza l’esatto contrario: la trasparenza è fondamentale perché accresce il controllo e la partecipazione da parte dei cittadini, li responsabilizza, li fa crescere e diventare adulti nel loro essere attori del bene comune e della gestione della cosa pubblica. La trasparenza, poi, è la forma più efficace di prevenzione della corruzione e del malaffare, perché responsabilizza la stessa amministrazione di fronte alle sue scelte. Ne impone il rigore e l’efficienza. Sottopone al continuo controllo la sua effettiva imparzialità. È vero, non bastano le norme e i divieti. Occorre promuovere una crescita innanzitutto culturale, sia sul versante della pubblica amministrazione che su quello dei cittadini, affinché si comprenda l’altissimo valore e la profonda utilità della trasparenza amministrativa, favorendone un uso sempre più consapevole e maturo. Senza tuttavia dimenticare che quanto il report di Libera RimanDATI evidenzia, rappresenta una gravissima trasgressione di un preciso obbligo di legge.
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Cosa prevede nello specifico il Codice antimafia?
Gli enti assegnatari dei beni sono tenuti a formare un apposito elenco dei beni confiscati a essi trasferiti, per renderlo pubblico con adeguate forme e in modo permanente nel loro sito internet istituzionale. L’elenco deve contenere i dati concernenti la consistenza, la destinazione e l’utilizzo dei beni nonché, in caso di assegnazione a terzi, i dati identificativi del concessionario e gli estremi, l’oggetto e la durata dell’atto di concessione. La mancata pubblicazione comporta responsabilità dirigenziale. C’è un’altra ragione che fa guardare con grande preoccupazione al numero insufficiente, al Nord come al Sud, di amministrazioni locali trasparenti sui beni confiscati. Tali patrimoni, oltre che per fini istituzionali come scuole, caserme ed edifici pubblici, devono costituire lo strumento dell’affrancamento e della liberazione di quei territori dall’ipoteca mafiosa, rimettendoli in circolazione a favore della popolazione.
“Dietro la trasparenza, non c’è solo il valore economico che l’utilizzo dei beni confiscati può dare ai comuni, ma anche quello civico e sociale della condivisione dell’informazione e, infine, quello politico della vittoria sul crimine e sulle mafie”Giuseppe Busia - presidente Anac
Non tutti, però, sembrano aver recepito il messaggio.
Mi chiedo come sia possibile trovare a questi beni uno sbocco utile socialmente e redditizio economicamente se non sono nemmeno fatti conoscere dalle stesse amministrazioni, quasi se ne vergognassero o, peggio, volessero sottrarli a tali utilizzi? Come metterli a frutto e non lasciarli abbandonati o inutilizzati, assegnando così un’ulteriore vittoria alla malavita, un vero e proprio sfregio al desiderio di recupero da parte dei cittadini e di distribuzione sociale del loro valore? Spesso, sfidando l’impopolarità, Anac interviene a richiamare le istituzioni agli obblighi di trasparenza. Non possiamo accettare che il 64 per cento dei Comuni sia inadempiente. Non ci sottraiamo come Autorità a intervenire, a richiamare, a sanzionare, ove previsto. Ma serve un cambio di passo.
Cosa si può fare per garantire maggiore trasparenza?
Anac ha proposto di creare una piattaforma unica della trasparenza: un punto di accesso unificato, gestito dall'Autorità e basato sull’interconnessione con altre banche dati pubbliche, in grado di semplificare e rendere meno onerosa la pubblicazione dei dati, agevolando al contempo fruibilità e, soprattutto, confrontabilità. Il portale unico al quale stiamo lavorando è concepito come un luogo digitale, un nodo di rete aperto al pubblico, che conterrà le informazioni essenziali sull’attività delle pubbliche amministrazioni: una sorta di finestra, funzionale non solo al controllo, ma alla partecipazione di tutti i cittadini, nel pieno rispetto della protezione dei dati personali. L’obiettivo è, dunque, quello di sostituire le pubblicazioni disperse sui singoli siti delle amministrazioni, con una piattaforma unica, che consenta agli enti pubblici di adempiere ai propri obblighi in maniera più semplice ed economica. Questo consentirà di evitare duplicazioni, sulla base del principio del once only e, grazie all’interconnessione con le altre banche dati, di offrire ai cittadini informazioni strutturate, permettendo al contempo di trasferire le migliori pratiche da un’amministrazione all’altra, nel segno della più efficace cooperazione istituzionale. Se rafforzata da alcuni interventi normativi da noi auspicati, la piattaforma potrà rivelarsi particolarmente utile anche con riferimento ai beni confiscati alle mafie, favorendone la facile conoscibilità, come pure aiutando a individuare le amministrazioni inadempienti rispetto agli obblighi di pubblicità.
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Che rischi si corrono nelle condizioni attuali?
Siamo convinti che la trasparenza serva a ridurre i rischi di infiltrazioni indebite e cattiva amministrazione anche nella destinazione di tali beni. In nessun modo deve accadere che tali patrimoni finiscano di nuovo nelle mani o sotto il controllo della criminalità, né che siano sfruttati male dal punto di vista dell’interesse collettivo, né che giacciano abbandonati perché gli stessi cittadini non sanno che sono in vendita o allocabili per destinazioni economiche, o di sviluppo di qualche tipo.
Dal report emerge che molti dei Comuni inadempienti sono di piccole dimensioni e spesso periferici.
Un dato che certamente colpisce, ma applicare loro le sanzioni o i richiami non basta, non risolve il problema. Per tale ragione, Anac mette a disposizione la propria struttura, i propri uffici, a supporto delle piccole amministrazioni, per realizzare e completare questo impegno alla trasparenza. Abbiamo un call center, operativo tutti i giorni, pronto a rispondere alle richieste e al bisogno di informazione del personale dei Comuni. Soprattutto, attraverso la vigilanza collaborativa, offriamo assistenza e affiancamento per risolvere piccoli e grandi problemi che le amministrazioni incontrano nell’applicazione della normativa sulla trasparenza e sulla prevenzione della corruzione. A tal fine, dopo una riorganizzazione interna, abbiamo creato un apposito ufficio deputato a questa fondamentale funzione, che si aggiunge quanto già facciamo in materia di contratti, offrendo anche bandi tipo, template operativi, schemi già predisposti.
In sintesi, perché è necessario rendere trasparenti le informazioni sui beni confiscati?
Quando parliamo di beni confiscati, la violazione delle regole sulla trasparenza non si riduce mai solamente ad un mancato adempimento normativo, uno dei tanti ai quali si sarebbe tenuti e che spesso ci si dimentica, per volontà o per semplice trascuratezza. Dietro tale adempimento, non c’è infatti solamente il valore economico che il pieno utilizzo dei beni confiscati può dare a Comuni con casse pubbliche spesso vuote. C’è soprattutto il valore civico e sociale che la messa in condivisione dell’informazione, la trasparenza dell’azione amministrativa, la conoscenza dei beni sequestrati portano all’intera comunità. E c’è il valore politico, enorme, di vittoria sul crimine e le mafie. Non basta aver sequestrato un bene alla criminalità, se poi lo si nasconde, quasi ci si vergognasse di renderlo pubblico, di portarlo come un fiore all’occhiello della propria lotta per il bene comune. Diventerebbe una rivincita per le mafie. La dimostrazione che, alla fine, comandano sempre loro.
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