Un corriere della Dpd, gruppo di cui fa parte anche la società italiana Bartolini-Brt (Arno Senoner/Unsplash)
Un corriere della Dpd, gruppo di cui fa parte anche la società italiana Bartolini-Brt (Arno Senoner/Unsplash)

Logistica, da Bartolini a Geodis: un impero fondato sull'evasione fiscale

Il settore della logistica usa un sistema di appalti e subappalti per sfruttare i lavoratori, non pagare le tasse né i contributi. Ma non viene intaccato perché funzionale all'economia

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

28 febbraio 2023

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"Finalmente una procura sceglie di focalizzarsi sui datori di lavoro e non sugli scioperi dei lavoratori, finora colpiti in modo duro, insieme ai sindacalisti di base. Ci hanno presentati come terroristi quando siamo la parte sana del mondo della logistica, un paradosso". Così Carlo Pallavicini, sindacalista SI Cobas di Piacenza, uno dei grandi poli logistici d’Italia, commenta le ultimi grandi indagini della guardia di finanza di Milano che hanno portato al sequestro preventivo d’urgenza di 81 milioni di euro a carico di due colossi delle spedizioni.

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Il contropotere di Bartolini e Geodis

Il primo è Brt, erede della storica azienda italiana Bartolini, che nel 2021 ha dichiarato un volume di affari di un miliardo e 784 milioni di euro. Quello del secondo, Geodis, superava i 270 milioni di euro. Entrambe le aziende fanno capo a due gruppi francesi a partecipazione statale e sono accusate di aver evaso l’Iva, simulando contratti di appalto con altre società, spesso cooperative, che funzionavano come serbatoi di manodopera, cioè non avevano altra funzione se non quella di fornire una grande quantità di facchini. Lavoratori che altrimenti le due compagnie avrebbero dovuto assumere come dipendenti. In questo modo, dal 2019 al 2021, Brt avrebbe ottenuto un vantaggio patrimoniale di oltre 26 milioni di euro e Geodis di 28. Mentre, dal 2018 al 2022, le società fornitrici non avrebbero versato l’Iva per un totale complessivo di oltre 100 milioni di euro. Il 24 gennaio scorso la posizione di Bartolini, a cui sono stati sequestrati d’urgenza altri 24 milioni di euro, si è aggravata. Per il pubblico ministero, Paolo Storari, l’azienda non solo evade il fisco ma opera nel settore trasporti "un sistematico sfruttamento dei lavoratori" attraverso fatture per operazioni giuridicamente inesistenti e forme di caporalato. Il numero di lavoratori coinvolti, che solo nel 2021 superava quota cinquemila, è così alto che Bartolini "pare porsi come una sorta di nuovo potere, ufficioso ma molto effettivo, penetrante, opaco, vero regolatore dei processi lavorativi e alternativo allo Stato". E così – prosegue il pm – la costante violazione delle regole diventa normalità in un contesto dove "le pratiche illecite vengono accettate e in qualche modo promosse".

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Sfruttamento ed evasione funzionali all’economia

Nel tradizionale messaggio di fine anno, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato che "la Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune". Eppure l’intero comparto della logistica sembra essere caratterizzato da sfruttamento lavorativo, evasione fiscale e contributiva. Il grande impero che macina miliardi di euro l’anno per immagazzinare e trasportare i prodotti da consegnare nei negozi o nelle nostre case si regge anche ai danni delle casse dello Stato, quindi di tutti. Bartolini e Geodis, infatti, non sono gli unici ad aver adottato questo modus operandi: lo dimostra anche la cronaca dei periodici sequestri nei confronti di aziende del settore. L’ultimo, qualche settimana fa, ha riguardato tre società milanesi che nel 2020 non avrebbero versato 870mila euro di Iva e nel 2018 non avrebbero pagato 700mila euro di debiti erariali, vantando di avere crediti inesistenti nei confronti degli enti contributivi. Lo stesso Storari, nella prima ordinanza di sequestro, ammette che la condotta di Bartolini e Geodis è simile a quella di due altri colossi delle spedizioni già finiti al centro di indagini a Milano, la tedesca Dhl e Gls che fa parte del gruppo Royal Mail, la società britannica delle poste. Contattata da lavialibera per un commento in merito, l’associazione di categoria Assologistica non ha voluto rilasciare dichiarazioni.

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Flessibilità: una finta esigenza

Il fenomeno non è nuovo, ed è noto, ma non viene intaccato perché "è funzionale all’economia" sostiene Pallavicini, aggiungendo che però "è la collettività a rimetterci perché viene privata di una parte della propria ricchezza che alla fine entra nelle tasche di pochissimi capitalisti italiani, o esteri, come nel caso della statunitense FedEx. Se evasione e sfruttamento non fossero considerati funzionali, non si spiegherebbe la modifica dell’articolo 1677-bis del codice civile che, infilata di soppiatto nel decreto Pnrr 2, ha provato a colpire per il solo comparto della logistica la responsabilità solidale del committente. Questa norma prevede che se il datore di lavoro, appaltatore o subappaltatore, non paga, dovrà farlo chi di fatto si avvantaggia della prestazione, quindi committente e/o subcommittente. Il tentativo di minarla per fortuna è fallito, ma resta significativo". "Lo schema è conosciuto e praticato da tutti ", dice l’avvocato del lavoro Lorenzo Venini.

Funziona così: al vertice della piramide ci sono i committenti, imprese importanti che come attività principale svolgono servizi di logistica ma che, anziché effettuare in modo diretto la prestazione, ricorrono all’appalto e/o al subappalto. Alla base, invece, ci sono tante società serbatoio che durano il tempo necessario a portare a termine un lavoro e si avvicendano trasferendo la manodopera dall’una all’altra. Realtà spesso intestate a prestanome, che omettono in modo sistematico di pagare le tasse e, in parte, anche i contributi. Nei gangli intermedi possono, o meno, esserci delle società filtro: in genere si tratta di consorzi con pochi dipendenti a cui viene in primis affidato l’appalto e che hanno il solo obiettivo di allungare la catena, rendere più facile l’evasione fiscale e contributiva e più difficili i controlli. Le aziende giustificano il ricorso agli appalti con l’esigenza di flessibilità, cioè di allargare il proprio bacino di manodopera a seconda delle esigenze, senza doversi caricare il rischio di assumere dei lavoratori che potrebbero rimanere inutilizzati. Ma per Venini la loro vera ragione di esistere è che "si risparmia sulle tasse e sul costo del lavoro, permettendo di offrire prezzi al ribasso in un mercato dove i margini di profitto si giocano sul centesimo".

Tante inchieste, pochi risultati

Fino a oggi le inchieste giudiziarie si sono per lo più concentrate sulle cooperative. Hanno dimostrato come siano diventate uno strumento per ridurre i diritti dei lavoratori e per riciclare denaro, anche da parte della criminalità organizzata. Non hanno però permesso allo Stato di recuperare i soldi persi, né di tutelare facchini o autisti, spesso stranieri. "Sul piano penale – spiega Venini – si procede di solito per reati di evasione fiscale e contributiva, bancarotta fraudolenta e sfruttamento lavorativo. Processi che sono molto lunghi. Gli avvocati delle imprese coinvolte puntano spesso sulla prescrizione". Tuttavia, la grande lacuna sta soprattutto nel non aver in alcun modo intaccato il sistema di appalti e subappalti che consente di stipulare contratti al ribasso, non pagare le tasse e i contributi, lasciando intatti i vantaggi economici per il committente, il primo beneficiario della frode.

Le ultime indagini vanno in questa direzione. Due esempi: Gls, che tra i propri fornitori aveva anche un’azienda legata a un clan di ‘ndrangheta, è stata costretta a versare oltre 38 milioni di euro, tra Iva e sanzioni. Mentre Dhl ha dovuto assumere 1500 dipendenti. "Speriamo che non siano operazioni spot – si augura Pallavicini –. In passato è capitato che la magistratura prendesse di mira dei consorzi, magari dopo la segnalazione di un’impresa concorrente. Ma per i lavoratori è proseguito il gioco al ribasso su salari e diritti basilari". Per il sindacalista, è uno il modo di fermare il circolo vizioso: "Una norma che impedisca appalti e subappalti da parte delle imprese che si occupano di logistica".

Il caso Padova: le società dell'ex forzista Willi Zampieri

Willi Zampieri è un nome che a Padova conoscono bene. Ex autista di camion, è diventato in meno di vent’anni il deus ex machina della logistica veneta al servizio della grande distribuzione, forte anche dei suoi legami con la politica. Ha militato a lungo in Forza Italia ed è stato anche presidente di una squadra di calcio di promozione: il Saonara Villatora. Le vicende giudiziarie che l’hanno coinvolto sono un caso di studio.

Nel 2010 Zampieri e altre due persone vengono arrestate, mentre 28 sono indagate a piede libero. I media battezzano il giro di interessi e persone che gravita intorno al forzista la cricca della logistica. Per gli inquirenti è un’associazione per delinquere che non paga i contributi previdenziali a un migliaio di lavoratori grazie a decine di cooperative di facchinaggio. L’evasione fiscale calcolata è di circa 30 milioni di euro.

Il processo inizia al tribunale di Padova e "a maggio del 2014 si era quasi arrivati alla sentenza di primo grado", racconta Ilario Simonaggio, ex sindacalista, che ha seguito il dibattimento per la Cgil, all’inizio costituitasi parte civile. Ma il pubblico ministero Orietta Canova modifica il capo di imputazione a causa di tre nuove contestazioni di bancarotta fraudolenta documentale per i fallimenti delle cooperative J.D.O.N Gloval Scarl, Euro Job Logistica Scarl e Dragonfly, e i faldoni sono trasferiti per competenza territoriale alla magistratura romagnola.

Una scelta che per Simonaggio è stata "una leggerezza, a voler essere magnanimi". Così la sentenza di primo grado è arrivata 11 anni dopo l’arresto di Zampieri e non ha ancora messo la parola fine alla vicenda. L’ex autista è stato condannato a quattro anni per le bancarotte di due società – J.D.O.N Gloval Scarl, Euro Job Logistica Scarl – e assolto per il crac di Dragonfly, proprio quello che aveva determinato il cambio di tribunale. Tutti gli altri reati contestati, prescritti.

La decisione è stata impugnata "e aspettiamo l’udienza di appello", dice l’avvocato difensore Francesco Cibotto. In ogni caso, Zampieri non rischia il carcere per via del periodo passato in custodia cautelare e non dovrà risarcire nessuna delle parti civili: negli anni hanno abbandonato la contesa l’Agenzia delle entrate, la Cgil e le curatele fallimentari delle aziende in bancarotta. Ha resistito solo l’Inps a cui però il tribunale non ha riconosciuto alcun ristoro.

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L’aspetto più importante della vicenda è che, smantellata la struttura di Zampieri, la logistica padovana ha continuato a funzionare allo stesso modo, rispondendo ad altri vertici. Le ultime indagini dicono che a prendere il posto di Zampieri sarebbe stato un imprenditore indiano soprannominato Taru: secondo alcune fonti de lavialibera, un vecchio collaboratore di Zampieri che ha assunto il comando di un’organizzazione in grado di reclutare cittadini extracomunitari originari dell’India impiegandoli, sottopagati, in cooperative di logistica. La giudice per le indagini preliminari Domenica Gambardella ha chiesto una misura cautelare interdittiva, che consiste nel divieto di esercitare attività imprenditoriale per un anno, e disposto il sequestro di beni per un valore di 750mila euro. Per Gambardella, Taru è un "uomo di affari: affari caratterizzati dall’illegalità e basati sulla violenza e sull’intimidazione, capace di reinvestire i propri guadagni e di creare società da utilizzare come schermo giuridico". In attesa di processo (e della prossima cricca).

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