23 marzo 2023
Una bambina di colore alla ricerca del suo posto in un’Italia che a parole rifiuta di vedersi razzista, ma che di fatto lo è. È uno dei temi al centro del romanzo di esordio Il corpo nero (Fandango), scritto dalla cantante e scrittrice Anna Maria Gehnyei alias Karima 2G, nata a Roma da genitori originari della Liberia. Nel suo libro, l’autrice ci racconta una storia necessaria, scritta in prima persona, da cui emerge un’identità sospesa tra due culture: quella italiana, di un Paese che non l’accetta, e quella africana, a cui non appartiene fino in fondo. È la frattura di tutti i ragazzi di seconda generazione che, pur essendo nati in Italia, si vedono negare la cittadinanza del loro Paese, al contrario di persone come il calciatore argentino Mateo Retegui che, nati e cresciuti all'estero, possono ottenere la cittadinanza contando su lontani antenati italiani grazie allo ius sanguinis.
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La bambina alla ricerca del suo posto diventa una ragazzina che, da subito, ha delle visioni e sente forte il suono di un tamburo, ovvero il suono delle sue radici. Un richiamo che la porterà in Africa, per vedere i villaggi dove vivevano i suoi genitori e conoscere i parenti rimasti lì. Un viaggio fisico e interiore che le cambierà la vita, regalandole una consapevolezza nuova, una forza che le farà affrontare con maggiore serenità il fatto di essere sempre troppo nera per parlare bene l’italiano, troppo nera per indossare degli abiti eleganti, troppo nera per essere istruita. “La forza di quel viaggio – spiega Karima – mi ha guidato fino alla scrittura di questo libro”. Ma soprattutto le ha dato la consapevolezza che “il razzismo in Italia è un tabù e che combattere il razzismo significa combattere se stessi. Non credo più nella lotta ma nell’integrazione e nel riconoscimento del razzismo come la parte più oscura dell’uomo”.
Cosa ti ha spinto a raccontare la tua vita?
Più che qualcosa sono state alcune donne che, sentendomi parlare della mia vita e della mia famiglia, mi hanno incoraggiata a scrivere. All’inizio scrivevo per buttare giù dei momenti della mia vita, non ero costante, ma questo mi è servito a capire che avevo una storia da raccontare. Anche l’università mi ha aiutato, amplificando nel lockdown il desiderio di scrivere e di scrivermi.
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Quanto è stato difficile metterti a nudo?
Raccontarsi e raccontare è sempre stato qualcosa di naturale anche nella mia famiglia, anche se mi viene detto che ho avuto coraggio nel mettermi a nudo, forse c’è un coraggio che ho attivato e di cui non mi rendo conto, perché sono felice e orgogliosa del mio vissuto. Ci sono miei antenati che hanno mostrato molto più coraggio di me e questa non è soltanto la mia storia, ma la storia di molte altre persone, a partire dai miei genitori che hanno lasciato un villaggio, superato i propri limiti per venire in Italia.
Leggendo il libro si capisce che la musica ha sempre fatto parte della tua vita.
La musica è la mia vita, grazie alla musica ho trovato il coraggio di esprimermi, di raccontarmi e raccontare, la musica ti dà la possibilità di arrivare agli altri ed è il mezzo che usavamo in casa per comunicare tra noi, soprattutto con mio padre che è sempre stato di poche parole. Grazie alla musica, invece, non c’era bisogno delle parole perché c’era qualcun altro che parlava per noi. Stavo lì ad ascoltare i dischi che metteva per capire cosa volesse dirmi. È una cosa che faccio ancora con le persone a cui tengo tantissimo. La musica scioglie ogni trauma e paura.
Il richiamo dell’Africa è stato così forte che ci sei andata, cosa ti ha insegnato questo viaggio?
Mi ha insegnato il vero significato dell’accoglienza, l’importanza delle proprie radici e soprattutto che posso vivere in qualsiasi parte del mondo, perché la cosa che rende una persona sicura di se stessa è la consapevolezza di essere unico e speciale, di avere una storia da raccontare e quindi una voce. Mi ha insegnato di andare sempre oltre gli ostacoli, e lì ce ne sono tantissimi, e di vederli anche come grandi opportunità, di non vivere nel vittimismo e infine mi ha insegnato ad amare il mio paese di nascita, l’Italia, perché ha una storia che mi appartiene.
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Oggi che rapporto hai con la Liberia?
È un legame forte, così come è forte la voglia di ritornare nel villaggio di mio padre anche se sarà diverso perché molte delle persone che cito nel libro, tra cui mia nonna, non ci sono più.
Scriverai altri libri?
Sì, ne ho già uno nel cassetto. Grazie a questo libro ho capito che la scrittura mi fa sentire libera e soprattutto di avere una voce. È stato un po’ come quando ho realizzato il mio primo album, il prossimo libro sarà diverso, ma non lontano da questo.
Cosa vorresti arrivasse ai tuoi lettori?
Credo di aver detto tanto con questo libro, la mia missione è quella di arrivare agli studenti, perché penso ci sia bisogno di arrivare alle nuove generazioni. È quella la vera sfida.
Cosa diresti a un bambina, figlia di immigrati, che si accinge a crescere in Italia?
Le direi di non arrendersi, di credere in se stessa, nella propria diversità che è speciale e unica e di vivere la propria vita oltre ogni ostacolo, ingiustizia e offesa. Infine le direi di trovare il suo talento e di coltivarlo in modo da farlo diventare la sua arma per difendersi dalla stupidità umana.
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