26 giugno 2023
Il 26 giugno è la Giornata internazionale delle Nazioni unite a sostegno delle vittime della tortura. In Italia, il reato è stato introdotto nel codice penale (articolo 613-bis) solo nel 2017, ma la sua sopravvivenza è già a rischio così come i procedimenti in corso contro chi è accusato di aver commesso tortura. Lo scorso 7 giugno la commissione Giustizia del Senato avrebbe dovuto discutere due disegni di legge sul tema. Il primo è firmato da Fratelli d’Italia e vuole abrogare il reato.
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Il secondo, del Movimento 5 stelle, intende ricondurre il reato alla convenzione Onu contro la tortura, adottata dall’assemblea generale delle Nazioni unite il 10 dicembre 1984 ed entrata in vigore il 26 giugno 1987. Se la proposta di FdI è chiaramente da rispedire al mittente, la seconda, anche se presentata in buona fede, potrebbe comunque avere effetti dannosi proprio sugli accertamenti in corso. La morte di Silvio Berlusconi, il lutto nazionale e la sospensione dei lavori parlamentari hanno rimandato l’appuntamento.
Il primo articolo del trattato internazione definisce la tortura come “qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali [...], qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito”. Un principio in linea con quanto previsto dalla Costituzione italiana (articolo 13) secondo la quale “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”.
L'articolo 13 della Costituzione italiana dice che “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”
Dal 2017 sono stati aperti oltre 10 procedimenti per altrettanti episodi avvenuti nelle carceri italiane o in altri luoghi di privazione della libertà personale. Sono oltre 200 le persone indagate, imputate o condannate. Il più noto tra questi episodi è senza dubbio quello che riguarda la mattanza di Santa Maria Capua Vetere, avvenuta nell’aprile del 2020 nel carcere della città campana. Per quei fatti sono oltre 100 gli imputati accusati, a vario titolo, di numerosi reati tra cui quello di tortura.
Dal 2017 sono stati aperti oltre 10 procedimenti per altrettanti episodi avvenuti nelle carceri italiane o in altri luoghi di privazione della libertà personale
L’ultimo episodio, in ordine di tempo, è il procedimento aperto sui fatti che sarebbero avvenuti alla questura di Verona, che hanno portato all’arresto di cinque agenti di polizia, a cui si aggiungono 17 indagati. Nel frattempo, sono arrivate le prime condanne, tutte ancora da definire nei successivi gradi di giudizio: la prima a carico di un agente penitenziario all’epoca dei fatti in servizio al carcere di Ferrara, la seconda per 15 agenti dell’istituto di pena di San Gimignano.
Nel 2004 ad Asti due persone detenute in carcere subirono innumerevoli violenze. Il caso emerse solo sette anni dopo e nel 2012 il giudice scrisse nella sentenza che i fatti configuravano pienamente il reato di tortura, come previsto dalla convenzione internazione, ma in assenza di un reato specifico in Italia, non si poteva procedere in quella direzione. Le due vittime si rivolsero così alla corte europea dei Diritti dell’uomo, presentando un ricorso disposto dall’avvocata Simona Filippi, all’epoca difensore civico di Antigone, in collaborazione con Antonio Marchesi, allora presidente di Amnesty International Italia.
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I giudici di Strasburgo condannarono l’Italia. Nella sentenza, oltre a richiamare la violazione dell’articolo 3 della convenzione europea dei Diritti dell’uomo – che proibisce la tortura e i trattamenti inumani e degradanti – i giudici segnalarono come uno dei problemi fosse la mancanza, in Italia, di una legge specifica. A distanza di poco tempo, la corte europea dei Diritti dell'uomo scrisse la stessa cosa in altre due condanne, relative ai fatti avvenuti alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001. L’Italia venne nuovamente condannata per le torture e per la mancanza di una legge a cui le vittime potessero fare ricorso per ottenere giustizia. Anche sulla spinta di quegli eventi, nel 2017 si arrivò finalmente a introdurre il reato nel codice penale.
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Sono trascorsi sei anni dalla legge 14 luglio 2017, n. 110 che, oltre al reato di tortura. ha contemplato il delitto di istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura (art. 613-ter c.p.). Oggi i fatti danno ragione a chi ha tanto insistito per introdurre quel reato nel codice penale. La legge, infatti, è utilizzata dai pubblici ministeri che contestano il reato, nonché dai giudici che emettono le sentenze. Ma soprattutto, le persone sanno di poter essere credute e sostenute.
La legge 14 luglio 2017, n. 110 che, oltre al reato di tortura. ha introdotto il delitto di istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura
Abolire il reato significherebbe quindi compiere un enorme passo indietro. Tuttavia, anche una modifica della legge, come proposto dal Movimento 5 stelle, rischierebbe di far saltare i processi in corso, con un effetto negativo per l’accertamento di fatti e responsabilità. La legge che punisce la tortura non è perfetta, ma ha dimostrato di funzionare sia a livello giuridico che e culturale. E allora, lasciamola funzionare.
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