(Jeswin Thomas/Unsplash)
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Con "Liberi di crescere", nessuno è rimandato

Dispersione scolastica e povertà educativa allontanano i ragazzi e le ragazze dai luoghi dell'educazione. Il progetto Liberi di crescere ha provato a offrire risposte alle difficoltà dei più giovani, partendo dall'ascolto delle loro storie

Natalie Sclippa

Natalie SclippaRedattrice lavialibera

30 giugno 2023

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"Sono quella che gli altri vedono quando mi guardano: una ripetente senza amici a cui non frega niente né della scuola, né della famiglia. Tanto non ne esco". Amina (nome di fantasia) ha 15 anni e vive a Cornigliano, periferia ovest di Genova. Uno dei primi quartieri industriali d’Italia a inizio Novecento, poi convertito alla siderurgia pesante nel secondo Dopoguerra. In questo sobborgo di ciminiere e palazzoni vivono tanti ragazzi e ragazze di origine straniera, di prima o seconda generazione, che arrivano alle scuole medie senza sapere né leggere né scrivere.

Schiacciati tra la minaccia di essere spediti a lavorare se bocciati, la tensione tra cultura d’origine e desiderio di integrazione, l’assenza di mezzi e il bisogno di dimostrare di essere all’altezza della società, più degli altri coetanei: così il primo anno partono in 100 e alla fine delle superiori si ritrovano in 15. Rashid (nome di fantasia) invece ha 12 anni e ha sempre avuto buoni voti. Agli educatori ha raccontato che non gli "è permesso prendere neanche un sette, per quanto so che un sette andrebbe bene. So che per i miei insegnanti e i miei genitori non basta e quindi mi sentirei un fallito". Ha sofferto di attacchi di panico, una parentesi fortunatamente superata: "Adesso riesco a mantenere il ritmo – conclude l’adolescente – ma non posso fare in altro modo".

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La scuola è impreparata

Amina e Rashid sono solo due delle migliaia di giovani incontrati dal progetto Liberi di crescere – Rete ad alta densità educativa, che dal 2018 al 2023 ha accompagnato adolescenti della scuola secondaria di primo e di secondo grado di cinque grandi città italiane (Genova, Messina, Palermo, Salerno e Torino), grazie al bando adolescenza promosso dall’impresa sociale Con i bambini, soggetto gestore del fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile. A Genova gli educatori hanno lavorato negli istituti Volta e Gastaldi-Abba, dove lo scorso gennaio si è anche tolto la vita un ragazzino. "La scuola sta chiedendo aiuto – è l’amaro commento del coordinatore delle attività Jacopo Venturoli –. C’è un buco comunicativo che non può essere lasciato sulle spalle di pochi insegnanti illuminati".

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Non è facile stare al passo di problemi crescenti, e certo diventa impossibile se il tema non è affrontato seriamente. "L’istituzione a cui deleghiamo la crescita dei nostri giovani è impreparata verso una risposta educativa efficace e continua a essere inadeguata perché gli investimenti pubblici non sono sufficienti " spiega Carmelo Pollichino, coordinatore nazionale del progetto. Gli adolescenti non sono una realtà monolitica, eppure alcune tensioni sembrano accomunarli sempre di più. Tutti i sondaggi e le rilevazioni confermano un disagio crescente e diffuso, che spesso si traduce in aggressività rivolta soprattutto verso se stessi. Secondo gli educatori, ragazzi e ragazze condividono la pressione per una scuola che li giudica più che formarli, dove tutto gira intorno agli adulti e alla promessa di un lavoro nel futuro senza pensare al presente. Invece a quell’età si è alla ricerca soprattutto di uno spazio dove potersi esprimere, di un’istituzione che non serva solo a valutarli, ma che li supporti mentre iniziano a sperimentare la loro vita.

Chi lascia la scuola

In molti decidono di rimanere a casa: nel 2022 il percorso formativo si è interrotto con la licenza della scuola secondaria di primo grado per l’11,5 per cento dei giovani tra 18 e 24 anni, una cifra in miglioramento di un punto rispetto all’anno precedente, ma comunque alta e accentuata tra i maschi e chi vive al Sud e nelle isole. Nell’anno scolastico 2021-2022, le competenze dei ragazzi che hanno concluso la terza media non sono ancora tornate ai livelli del 2019: il 38,6 per cento dei giovani non raggiungeva livelli sufficienti nelle abilità alfabetiche e il 43,6 per cento in quelle numeriche. I più a rischio sono bambini e adolescenti che vivono in quartieri marginalizzati e contesti familiari e sociali deprivati.

Un ruolo cruciale è giocato dai servizi, sempre più ridotti al lumicino. Secondo il rapporto annuale sulla dispersione scolastica di Save the children che si riferisce ai dati 2022, si sta meglio dove le scuole primarie garantiscono ai bambini una maggior offerta di tempo pieno, di mense, di palestre: luoghi in cui la formazione possa svolgersi in un contesto che mette a disposizione risorse più ampie per la crescita degli studenti. Resta però il nodo critico dei finanziamenti. Mancano 20 miliardi di euro per raggiungere la media europea del 5 per cento del Pil: nel 2020 ne sono stati stanziati solamente 71. Una carenza di opportunità che si ripercuote in modo differente sui territori.

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Storie di famiglia

A volte il tema non sono tanto gli adolescenti, quanto la situazione che vivono quando tornano a casa. Nei due istituti di Messina – quello di istruzione superiore Verona-Trento (nel plesso Majorana) e il comprensivo Catalfamo – dove si sono svolte le attività del progetto, molto si è puntato sulla costruzione di un rapporto di fiducia con i genitori. Ne è un esempio Luca (nome di fantasia), che ha trovato in un’operatrice un punto di riferimento e che anche sua madre, ora che lui ha finito, chiama per avere consigli sugli altri due figli minori. "Il poter contare su qualcuno è stato un passo decisivo – commenta Tiziana Tracuzzi – specie in un periodo come quello del lockdown. Quando le lezioni si sono spostate online alcuni ragazzi sono spariti anche per mesi. Erano quelli che già si trascinavano e che, una volta a casa a causa della pandemia, non hanno avuto alcuno stimolo a continuare".

Una volta ritornati sui banchi, i loro livelli di scolarizzazione e socializzazione erano inferiori alle necessità: Filippo (nome di fantasia) rischiava di non riuscire più a stare lì, seduto per ore, con gli occhi puntati sulla lavagna, perché il suo iperattivismo metteva a rischio le attività dell’intero gruppo classe. La proposta educativa del progetto ha previsto la creazione di un’alleanza fra docenti, famiglie e operatori sociali ed economici. "Su questo punto ci siamo soffermati molto – ha aggiunto Pollichino –, perchè se è più immediato notare l’assenza di chi decide di non frequentare più le lezioni, meno visibili sono altri tipi di dispersioni, quelle che vengono definite implicite: ragazze e ragazzi che non hanno le competenze adeguate, anche se continuano a frequentare, senza motivazione e interesse". Per questo gli sportelli d’ascolto hanno avuto un ruolo chiave in tutti e cinque i territori, perché rivolgersi a quell’aiuto non veniva percepito come un giudizio o una debolezza.

Disorientati e impauriti

Le difficoltà che gli adolescenti portano all’attenzione – dallo scarso rendimento all’aggressività, fino ad arrivare all’abbandono della scuola – sono il sintomo di qualcosa che spesso è ancora più grande e spaventosa. Le storie che provengono da Palermo ne sono un chiaro esempio. Gli interventi educativi sono stati condotti negli istituti comprensivi Saladino, Falcone e Sferracavallo-Onorato e all’Ipssar Cascino.

Massimiliano (nome di fantasia) si è presentato spiegando di essere in stato di shock perché il papà aveva ucciso la mamma. All’inizio rifiutava anche di bere, poi il lavoro degli assistenti sociali e il dialogo allo sportello lo hanno aiutato a superare i momenti più critici.

Sara (nome di fantasia) si è presentata raccontando forme di autolesionismo. Anche nel suo caso il contesto familiare vedeva un padre alcolista e violento e l’intervento ha coinvolto anche la mamma. "I rapporti di fiducia si sono instaurati negli anni – spiega Antonietta Fazio, dell’Associazione San Giovanni Apostolo che insieme a Libera ha portato avanti il progetto nel capoluogo siciliano –. Non basta un aiuto ogni tanto, serve un accompagnamento vero e proprio".

Oltre lo schermo

In un’età in cui si cambia velocemente, è facile trovarsi spaesati, specie se anche a casa ci sono difficoltà. Alcuni adolescenti dell’istituto comprensivo Alfano- Quasimodo e dell'istituto di istruzione superiore Santa Caterina da Siena-Amendola hanno trovato conforto iniziando i colloqui con chi potevano sentire “amico”, superando in questo modo anche il pregiudizio di andare dallo psicologo.

"Ci sono storie di cambiamento che vale la pena raccontare – commenta Gianpiero Catone, educatore della cooperativa sociale Il portico – come la nascita della radio web I care che ascolta i familiari delle vittime innocenti di mafia e trasforma gli incontri in interviste". Oltre a queste attività extrascolastiche, tanto si può fare in aula. "L’affiancamento in classe – continua Catone – è un supporto prezioso per mantenere un clima sereno, dare una mano a chi si trova con qualche lacuna e non riesce a stare al passo. Poi, anche qui a Salerno, il centro di ascolto è stato fondamentale".

Sentirsi a casa

Avere uno spazio in cui gli adulti riescono a capire perché alcuni ragazzi hanno brutti voti è cruciale. È quello che gli educatori hanno provato a fare nella scuola secondaria di primo grado Viotti e l’istituto professionale Beccari di Torino. Francesco Minsenti, uno degli operatori, racconta quello che solo a prima vista può sembrare un paradosso: "La scuola avvantaggia chi deve aiutare meno, nel senso che supporta chi ha già tanti strumenti per essere bravo nelle materie curriculari. Alle volte, però, bisogna ripartire dalla praticità per poi ritornare a sedersi ai banchi, dimostrando che alcuni ragazzi hanno sviluppato competenze diverse, ma comunque utili e che possono essere valorizzate. Dietro alle difficoltà dei ragazzi, ci sono spesso famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese e a collegarsi con l’esterno per chiedere supporto e aiuto".

Costruire un’alternativa

Il messaggio è per chi governa: il terzo settore non può fare da tappabuchi alle carenze del sistema pubblico, ma aiutare le istituzioni

Le storie incrociate in questi anni di progetto sono state tante e hanno permesso di tracciare un bilancio di ciò che è stato possibile fare e di quel che ancora manca. "In molti istituti si è creata una sinergia tra la scuola e il territorio, in cui ora ci sono anche nuovi presidi di Libera. Il bisogno più grande che abbiamo intercettato è stato quello di essere ascoltati. Ma Liberi di crescere non può essere l’unica risposta: serve visione politica con la sperimentazione di buone pratiche, come quello della maieutica reciproca di Danilo Dolci, in cui i giovani sono portati a raccontarsi ".

Il messaggio è per chi governa: il terzo settore non può fare da tappabuchi alle carenze del sistema pubblico, ma aiutare le istituzioni a crescere cittadini e non solo lavoratori, affiancando agli insegnanti anche psicologi ed educatori. Per questo serve ripensare al metodo con cui si insegna e rimettere al centro l’educazione. Ma se con i ragazzi è stato relativamente facile instaurare un rapporto di fiducia, più complesso risulta invece il dialogo con le famiglie.

I problemi quotidiani e le difficoltà a seguire i figli hanno conseguenze anche sul rendimento scolastico e sul comportamento dei giovani. A sottolinearlo è Salvatore Rizzo, che si è occupato del monitoraggio e della valutazione d’impatto del progetto: "È inutile nascondere i problemi. Serve l’aiuto di più professionisti: dagli insegnanti agli educatori, sino agli psicologi, sostenere i ragazzi nelle fasi più delicate della loro crescita. Serve fare rete: se con gli studenti è bastato avere tanta pazienza, molto più delicata è stata la costruzione delle alleanze educative con gli adulti". Pollichino conclude: "I giovani non sono il futuro. Questo alibi è stato usato troppe volte per non fare abbastanza. I ragazzi sono il presente".

I contenuti di questo dossier sono stati realizzati nell’ambito di Liberi di Crescere - rete ad alta densità educativa, progetto selezionato nel bando adolescenza, promosso dall’impresa sociale Con I Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile.

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