Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio: quasi 1 chiamata di aiuto su 3 arriva da giovani sotto i 26 anni. Ryan Melaugh/Flickr
Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio: quasi 1 chiamata di aiuto su 3 arriva da giovani sotto i 26 anni. Ryan Melaugh/Flickr

Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio: quasi 1 chiamata di aiuto su 3 da under 26

Nel 2022 un terzo delle richieste di aiuto arrivate a Telefono amico riguardava persone fino ai 26 anni. Nei primi sei mesi del 2023, invece, delle 3.700 telefonate, il 35 per cento riguarda la fascia d'età tra i 19 e i 35 anni. Colpa della società della performance e della mancanza di figure di riferimento con cui parlare

Natalie Sclippa

Natalie SclippaRedattrice lavialibera

8 settembre 2023

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Spaventati dal futuro e senza una rete capace di attutire le fragilità momentanee che spesso si ingigantiscono diventando ingestibili. È la fotografia emotiva che accomuna tanti dei giovani sotto i 26 anni che si sono rivolti alla rete di Telefono amico. “Nel 2022 sono arrivate circa 6mila richieste d’aiuto da parte di persone attraversate dal pensiero del suicidio o preoccupate per un possibile atto estremo di un proprio caro. Uno su tre riguardava ragazze e ragazzi”, racconta a lavialibera Cristina Rigon, vice presidente del centro di emergenza telefonica presente su tutto il territorio nazionale. Non va meglio per i giovanissimi. L'ospedale pediatrico Bambino Gesù denuncia 387 accessi in pronto soccorso per tentativi e ideazione di suicidio nell'ultimo anno. Il 90 per cento sono ragazze, mentre l'età media è di 15 anni. Secondo chi si occupa di primo intervento, servono ascolto, risposte adeguate ed esempi da seguire.  

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Un fenomeno da non sottovalutare

“Non vogliamo demonizzare la famiglia, che si trova spesso al centro di un dibattito feroce. Ma serve constatare che il disagio spesso deriva anche da relazioni disfunzionali dentro le mura di casa”

La preoccupazione maggiore riguarda, ancora una volta, i giovani. Dopo la pandemia, l’associazione sperava che i pensieri di suicidio diminuissero. Quello che hanno riscontrato, invece, è un trend contrario: delle 3.700 richieste nei primi sei mesi del 2023, il 35 per cento riguarda la fascia d’età tra i 19 e i 35 anni. Di solito comunicate via mail o whatsapp, le storie hanno in comune la difficoltà di trovare la propria identità, in un mondo ipercompetitivo. “I giovani – prosegue Rigon –  si sentono abbandonati. Non hanno fiducia nella scuola, nella politica e nemmeno nella famiglia”. Proprio su questo punto, prosegue: “Non vogliamo demonizzare la famiglia, che si trova spesso al centro di un dibattito feroce. Ma serve constatare che il disagio spesso deriva anche da relazioni disfunzionali dentro le mura di casa.”

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Mancano gli adulti di riferimento o, quando ci sono, sono disinteressati. "I problemi di salute mentale per cui i ragazzi vengono portati in urgenza in un pronto soccorso pediatrico sono sempre di più legati all’autolesionismo messo in atto fin da bambini", conferma Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza al Bambino Gesù.

La comunicazione è l’anello ancora debole di una catena che spesso fa rimanere in silenzio i ragazzi, in modo particolare quando i temi sono pesanti, come accade quando si parla di suicidio. Il rischio è che i sintomi vengano sottovalutati e banalizzati, quando ci sarebbe bisogno di un supporto specialistico. Invece, molto spesso rimangono inascoltati anche per un senso di vergogna che non si riesce a superare.

Sempre più urgente affrontare il tema del pensiero di suicidio

“La sfera mentale ed emotiva non può più essere trattata come di serie B rispetto a quella fisica. Rivolgersi a specialisti può salvare la vita”Cristina Rigon - vicepresidente di Telefono amico

Una volta comprese le cause, serve passare all’azione, per migliorare il benessere psicofisico e provare a dare delle prospettive di vita diverse, trovando dei modi per stare bene con se stessi e con gli altri. La professoressa Michela Gatta, direttrice dell’Unità operativa di neuropsichiatria infantile dell’azienda ospedale-università di Padova, propone alcuni stimoli: “Progettare a breve o medio termine, con obiettivi da realizzare magari insieme a coetanei, aiuta a fare sentire i ragazzi attivi, coinvolti, con uno scopo verso cui dirigere e investire le proprie passioni”. Questo per ristabilire e sostenere l’identità, l’autonomia e la responsabilità”.  

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A fare la differenza è anche l’abbattimento dello stigma. “La sfera mentale ed emotiva – continua Rigon – non può più essere trattata come di serie B rispetto a quella fisica. Rivolgersi a specialisti può salvare la vita”. A ribadirlo è anche Maurizio Pompili, professore di Psichiatria all’università Sapienza di Roma:Chi è a rischio suicidio non vorrebbe pensare alla morte, bensì veder alleviato il proprio dolore”. Avere una rete sociale e familiare efficace, trovare un hobby o degli interessi che ci piacciano possono aiutare a stare meglio. Ci sono altri elementi fondamentali da non sottovalutare: il sonno non deve essere trascurato, l’impostazione delle proprie giornate in modo da avere un buon equilibrio tra lavoro e tempo libero, ed evitare l’abuso di alcol e droghe.

Superare la fragilità con gli strumenti adeguati

Secondo Telefono amico serve lavorare sul lato positivo, in un momento in cui “le vite delle persone sono sempre in vetrina” sui social e collegate a qualsiasi tipo di notizia, verificata o no. Rigon sottolinea come “sia importante discutere delle conseguenze e del clima che i giovani respirano ogni giorno. Siamo tutti responsabili dei messaggi che veicoliamo,serve un linguaggio che dia chiavi di lettura per affrontare i problemi e non sia solo spettacolarizzazione di episodi tragici”. Anche per questo, il 10 settembre Telefono amico organizzerà in tutta Italia l'evento "Non parlarne è 1 suicidio", per sensibilizzare sulla prevenzione e sul benessere psicologico

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