Il potere dei semi. Intervista a Salvatore Ceccarelli e Stefania Grando

Un programma scientifico ha permesso ai contadini di paesi in via di sviluppo di piantare varietà autoctone, rendendoli padroni delle loro coltivazioni. Ad alcuni governi non è piaciuto

Francesco Sandri

Francesco SandriGiornalista

Natalie Sclippa

Natalie SclippaRedattrice lavialibera

12 settembre 2023

Hanno lavorato 30 anni in Siria, gomito a gomito con gli agricoltori, per riportare sui campi semi migliorati dal punto di vista genetico. Salvatore Ceccarelli, ex professore di Genetica agraria all’Università di Perugia, e Stefania Grando, genetista e plant breeder (selezionatore di piante), sono partiti per il paese mediorientale "con obiettivi squisitamente scientifici ". Volevano migliorare le piante coltivate in quegli ambienti nel contesto di un mercato sementiero che, già negli anni Novanta, era in mano a poche grandi corporazioni. Una volta giunti sul posto il loro impegno non si è però fermato alla sola indagine.

L’unione tra la ricerca condotta nelle stazioni sperimentali e l’applicazione diretta nei campi degli agricoltori, oltre che fornire risultati scientifici, ha cambiato la vita degli agricoltori. E non sono mancati gli effetti collaterali. "I contadini avevano di nuovo il potere di scegliere, si sono emancipati da un settore in cui spesso erano visti solo come braccia e non come parte integrante della filiera. È avvenuto in Siria, ma anche in altri paesi come l’Egitto, l’Iran e l’Europa, dove abbiamo sviluppato la nostra modalità di partecipazione attiva. Coltivare in questo modo era diventata una scelta politica, che non è piaciuta a molti governi".

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Da sinistra, Stefania Grando e Salvatore Ceccarelli, plant breeder
Da sinistra, Stefania Grando e Salvatore Ceccarelli, plant breeder

Come vi siete appassionati al miglioramento genetico?
Grando: La nostra fortuna è stata aver trasformato una passione nel lavoro di una vita. Le piante vivono, soffrono dei cambiamenti cli-matici, sono più o meno fragili a seconda del loro patrimonio genetico. Il punto di partenza delle ricerche era la protezione della biodiversità, con un’attenzione particolare al miglioramento genetico di varietà locali e colture poco utilizzate. Concentrandoci su questo, abbiamo messo in discussione ciò che stavamo elaborando a livello scientifico per aumentare la qualità dei semi. Ora di questo tema si parla molto, ma negli anni Ottanta e Novanta in molti non volevano ascoltare.

Qual è stato il percorso che vi ha portato in Siria?
Ceccarelli: Dopo essermi laureato in Agraria a Perugia e aver continuato gli studi negli Stati Uniti, nel 1980 ho deciso di prendere due anni di congedo per svolgere attività di ricerca in Siria, all’International center for agricultural research in the dry area (Icarda) di Aleppo, dove si studiavano specie di interesse per l’agricoltura mediterranea. Dopo la scadenza del contratto, sono ritornato come osservatore del ministero degli Affari esteri. Dal 1987, con le dimissioni da professore, il trasferimento è diventato definitivo e mi sono dedicato a queste ricerche insieme a Stefania.
Grando: Ho conosciuto Salvatore all’Università quando teneva il corso di genetica agraria. Una volta laureata, ho proseguito gli studi conseguendo il dottorato di ricerca, che ho svolto in parte anche in Siria, dove sono tornata qualche anno dopo con un progetto finanziato dal ministero degli Affari esteri. Il periodo di lavoro in Siria si è concluso nel 2011. Da quel momento ho continuato prima a Montpellier, in Francia per due anni e dopo in India, all’International crop research institute for the semi arid tropics (Icrisat), dove ho diretto il programma sul miglioramento genetico (in inglese, plant breeding, ndr) di sorgo e miglio.

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Qual era il vostro compito?
Ceccarelli: All’Icarda siamo stati i responsabili del programma di miglioramento genetico dell’orzo. Dovevamo indirizzare la ricerca nei paesi in via di sviluppo, non solo in Siria e nel Medio Oriente, ma anche nell’area del Mediterraneo, in Nord Africa e Corno d’Africa, fino all’America latina. Il nostro modo di concepire il valore dei semi è all'opposto rispetto ai principi della cosiddetta ”rivoluzione verde“, che selezionava poche varietà adattate a quanti più paesi possibili e le diffondeva. Noi, invece, seguiamo l’evoluzione del seme in base alle esigenze di chi lo coltiva. Lavorare direttamente con gli agricoltori, su terreni da loro messi a disposizione per coltivare e scegliere insieme quali varietà rispondevano meglio ai loro bisogni, è stata la chiave di volta. Siamo arrivati ad avere 200 sperimentazioni in contemporanea e, nel 2006-2007, nella sola Siria si stavano conducendo esperienze di quel tipo in 24 villaggi.

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