12 settembre 2023
Hanno lavorato 30 anni in Siria, gomito a gomito con gli agricoltori, per riportare sui campi semi migliorati dal punto di vista genetico. Salvatore Ceccarelli, ex professore di Genetica agraria all’Università di Perugia, e Stefania Grando, genetista e plant breeder (selezionatore di piante), sono partiti per il paese mediorientale "con obiettivi squisitamente scientifici". Volevano migliorare le piante coltivate in quegli ambienti nel contesto di un mercato sementiero che, già negli anni Novanta, era in mano a poche grandi corporazioni. Una volta giunti sul posto il loro impegno non si è però fermato alla sola indagine.
L’unione tra la ricerca condotta nelle stazioni sperimentali e l’applicazione diretta nei campi degli agricoltori, oltre che fornire risultati scientifici, ha cambiato la vita degli agricoltori. E non sono mancati gli effetti collaterali. "I contadini avevano di nuovo il potere di scegliere, si sono emancipati da un settore in cui spesso erano visti solo come braccia e non come parte integrante della filiera. È avvenuto in Siria, ma anche in altri paesi come l’Egitto, l’Iran e l’Europa, dove abbiamo sviluppato la nostra modalità di partecipazione attiva. Coltivare in questo modo era diventata una scelta politica, che non è piaciuta a molti governi".
Malaga, capitale europea dei frutti tropicali, muore di siccità
Come vi siete appassionati al miglioramento genetico?
Grando: La nostra fortuna è stata aver trasformato una passione nel lavoro di una vita. Le piante vivono, soffrono dei cambiamenti cli-matici, sono più o meno fragili a seconda del loro patrimonio genetico. Il punto di partenza delle ricerche era la protezione della biodiversità, con un’attenzione particolare al miglioramento genetico di varietà locali e colture poco utilizzate. Concentrandoci su questo, abbiamo messo in discussione ciò che stavamo elaborando a livello scientifico per aumentare la qualità dei semi. Ora di questo tema si parla molto, ma negli anni Ottanta e Novanta in molti non volevano ascoltare.
Qual è stato il percorso che vi ha portato in Siria?
Ceccarelli: Dopo essermi laureato in Agraria a Perugia e aver continuato gli studi negli Stati Uniti, nel 1980 ho deciso di prendere due anni di congedo per svolgere attività di ricerca in Siria, all’International center for agricultural research in the dry area (Icarda) di Aleppo, dove si studiavano specie di interesse per l’agricoltura mediterranea. Dopo la scadenza del contratto, sono ritornato come osservatore del ministero degli Affari esteri. Dal 1987, con le dimissioni da professore, il trasferimento è diventato definitivo e mi sono dedicato a queste ricerche insieme a Stefania.
Grando: Ho conosciuto Salvatore all’Università quando teneva il corso di genetica agraria. Una volta laureata, ho proseguito gli studi conseguendo il dottorato di ricerca, che ho svolto in parte anche in Siria, dove sono tornata qualche anno dopo con un progetto finanziato dal ministero degli Affari esteri. Il periodo di lavoro in Siria si è concluso nel 2011. Da quel momento ho continuato prima a Montpellier, in Francia per due anni e dopo in India, all’International crop research institute for the semi arid tropics (Icrisat), dove ho diretto il programma sul miglioramento genetico (in inglese, plant breeding, ndr) di sorgo e miglio.
Po in secca e agricoltura in crisi, l'alternativa c'è
Qual era il vostro compito?
Ceccarelli: All’Icarda siamo stati i responsabili del programma di miglioramento genetico dell’orzo. Dovevamo indirizzare la ricerca nei paesi in via di sviluppo, non solo in Siria e nel Medio Oriente, ma anche nell’area del Mediterraneo, in Nord Africa e Corno d’Africa, fino all’America latina. Il nostro modo di concepire il valore dei semi è all'opposto rispetto ai principi della cosiddetta ”rivoluzione verde“, che selezionava poche varietà adattate a quanti più paesi possibili e le diffondeva. Noi, invece, seguiamo l’evoluzione del seme in base alle esigenze di chi lo coltiva. Lavorare direttamente con gli agricoltori, su terreni da loro messi a disposizione per coltivare e scegliere insieme quali varietà rispondevano meglio ai loro bisogni, è stata la chiave di volta. Siamo arrivati ad avere 200 sperimentazioni in contemporanea e, nel 2006-2007, nella sola Siria si stavano conducendo esperienze di quel tipo in 24 villaggi.
Cosa ha reso questo studio unico nel suo genere?
Ceccarelli: Credo che la particolarità sia fare ricerca insieme agli agricoltori, sui loro campi, una modalità di lavoro che alcuni sociologi avevano teorizzato già nel 1980. Un’idea brillante che però non aveva potuto concretizzarsi per la mancanza delle competenze scientifiche necessarie. Abbiamo aggiunto questo tassello importante, tanto da continuare a pubblicare ricerche, ma rimanendo in costante contatto con chi poi doveva utilizzare semi migliorati.
Che effetto ha avuto sugli agricoltori?
Grando: Il risultato più visibile è stata l’evoluzione del ruolo dei contadini all’interno del processo decisionale sulle loro terre. Si rendevano conto che il loro parere contava. Proviamo a pensare a molte persone che abbiamo conosciuto, spesso con un livello di istruzione basso; alcuni erano beduini che rischiano di essere discriminati. Con questo progetto, invece, si sentivano più forti, sapevano quali semi stavano seminando e non erano solamente esecutori di ordini. Ciò ha avuto risvolti importanti a livello lavorativo, ma anche comunitario: si sentivano in grado di poter trattare alla pari con i loro interlocutori, di lasciare un’eredità più ampia di una varietà migliorata.
Ceccarelli: I rapporti con gli agricoltori si sono estesi alla quotidianità. Il rapporto di fiducia si è trasformato in presenza delle persone anche fuori dallo scambio lavorativo. Ancora oggi, quando ci sentiamo al telefono, chi fa parte della rete ci chiede come stiamo. Un percorso costruito nel tempo che ancora oggi dà i suoi frutti.
Gli invasi non sono una soluzione alla siccità, sostiene il fisico del clima Antonello Pasini
Poi nel 2011 avete lasciato la Siria. Come mai?
Ceccarelli: In questo lavoro molto dipende dagli interlocutori con i quali si ha a che fare. Nel 2008 è cambiato il ministro dell’Agricoltura, si sono accorti che gli agricoltori producevano e vendevano i semi e allora hanno accusato questo metodo di mettere a repentaglio la sicurezza alimentare del Paese, perché entrava in competizione con le varietà messe in commercio dal governo. Un amico ci ha avvertito: "Il vostro nome sta circolando in tutti i corridoi del ministero, tenete il profilo basso". Un giorno alle stazioni sperimentali è arrivata una lettera dal dicastero, che intimava di concludere qualsiasi collaborazione con noi. Non siamo stati minacciati direttamente, ma abbiamo dovuto spiegare che non riuscivamo più a gestire il progetto e avremmo dovuto ridimensionarlo, visto che era venuto meno il supporto di macchinari e personale pubblico. Intanto continuavano le sperimentazioni in altri paesi. Comunque, il motivo per cui abbiamo lasciato la Siria è legato al deterioramento del rapporto di lavoro con l’Icarda e non ha avuto a che fare né con la guerra né con il lavoro insieme ai contadini, né tantomeno con i nostri rapporti con il governo siriano.
Che situazione avete vissuto in Iran?
Grando: L’Iran è stato il paese in cui il progetto ha avuto più successo, anche grazie al direttore dell’ufficio provinciale del Kermanshah, che ha facilitato incontri misti con ricercatori e ricercatrici. Questa collaborazione è terminata quando il funzionario è stato rimosso dall’incarico e sostituito con il successore, che ha ostacolato le riunioni. Ma era ormai tardi: i contadini erano diventati indipendenti e così, di anno in anno, i miscugli di semi simili hanno prodotto nuove piante. In Iran la raccolta e l’analisi dei dati sono ormai una prassi rodata.
Come sono arrivati i miscugli in Italia e in Europa?
Grando: Nel 2010 la Commissione europea ha cominciato a finanziare progetti per riportare biodiversità nei nostri campi, ma solo quattro anni dopo qualcuno a Bruxelles si è accorto di una grande contraddizione. Si investiva sulla biodiversità attraverso progetti di ricerca, ma le leggi sementiere avrebbero impedito l’uso di quei risultati anche in caso di successo. Le ricerche hanno dimostrato i vantaggi dell’utilizzo di popolazioni evolutive e miscugli, in particolare nell’agricoltura biologica o a basso input, ma il seme di questi materiali non poteva essere venduto. La Commissione europea ha cercato di rimediare, iniziando nel 2014 una sperimentazione temporanea per valutare la fattibilità di produrre e commercializzare sementi provenienti da popolazioni evolutive di alcune specie: avena, orzo, granturco e frumento. Questi materiali diversi possono contribuire a risolvere uno dei problemi legati alle agricolture biologica e biodinamica, che hanno produzioni più basse e il cui costo dei prodotti è più elevato. Anche perché nella maggior parte dei casi si usano semi di varietà che non sono state selezionate per questo tipo di coltivazione.
Il programma ha avuto successo?
Ceccarelli: All’inizio aveva una durata quadriennale, fino al 2018, poi la sperimentazione è stata estesa fino al 2021. Un anno cruciale, perché sarebbe dovuto entrare in vigore un nuovo regolamento europeo sull’agricoltura biologica. Tutto è slittato di un anno a causa della pandemia, ma è stato interessante assistere alla trasformazione di alcune realtà in piccole aziende sementiere. Minuscole in confronto ai giganti mondiali, ma che potevano immettere legalmente sul mercato semente di popolazioni evolutive certificate con regolare cartellino, indispensabile per la commercializzazione. Non siamo in alcun modo coinvolti negli aspetti commerciali della vendita delle sementi delle popolazioni evolutive. Dopo il rientro in Italia del 2017 abbiamo cominciato a incontrare gruppi di agricoltori, soprattutto aziende biologiche, avviando percorsi in cui i consumatori venivano portati sul campo per far vedere loro cosa poi avrebbero mangiato. Un esperimento di avvicinamento, per conoscere ciò che sta dietro le quinte della farina o del pacco di fagioli venduti al supermercato. Il consumatore spesso non ha idea di quali siano i tempi e i costi di produzione.
Cosa vi ha insegnato questo lavoro?
Grando: Il risultato più importante è la nuova connessione che si è creata tra l’uomo e la natura, il bilanciamento di rapporti tra cittadini e istituzioni. La forza intorno allo scambio di semi è la possibilità di costituire comunità e arricchire le reti solidali. Gli agricoltori diventano consapevoli del loro potere, mentre chi decide di mettere in tavola alcuni cibi rispetto ad altri, sa che sta scegliendo una storia e non solo un prodotto. È vero, con i nostri studi ci siamo inimicati l’accademia, perché lontani dalle tecniche di evoluzione assistita molto in voga, ma abbiamo dato potere ai contadini. Per noi questo è il successo più grande.
Da lavialibera n° 22, Altro che locale
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti
Record di presenze negli istituti penali e di provvedimenti di pubblica sicurezza: i dati inediti raccolti da lavialibera mostrano un'impennata nelle misure punitive nei confronti dei minori. "Una retromarcia decisa e spericolata", denuncia Luigi Ciotti
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti