21 febbraio 2022
Giornate minime di pascolo, rotazione, carico massimo di bestiame ammissibile: tutto sparito dalla bozza del Piano strategico nazionale (Psn) che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) ha inviato il 31 dicembre all’Unione europea. Nessuna traccia delle proposte discusse con le associazioni ambientaliste. Così, mentre vengono stanziati 10 miliardi di euro dai fondi del Piano di ripresa e resilienza per modernizzare il settore agroalimentare italiano, gli investimenti rischiano di aiutare sempre le solite aziende: quelle grandi e del Nord, spinte dalle lobby. Nelle zone rurali e interne, intanto, continua lo spopolamento. «Con la deregolamentazione esistente ormai da decenni, il carico burocratico è minore, ma si rischia di creare l’alibi per situazioni poco trasparenti» afferma Nunzio Marcelli, presidente della rete Appia, che riunisce i pastori italiani. Ma è tutto legale.
Le frodi dei pascoli ad alta quota
La bozza del Piano strategico nazionale italiano per il quadriennio 2023-2027, che attua le decisioni di Bruxelles sulla Politica agricola comune e distribuisce fondi nel nostro paese per circa 50 miliardi di euro in sette anni, è stata discussa e spedita alla Commissione europea il 31 dicembre scorso. Con grande delusione delle associazioni ambientaliste sentite dal ministro Stefano Patuanelli, nel documento mancano i riferimenti al pascolamento e alla biodiversità, inizialmente previsti. Includerli, come richiesto da chi si occupa di tutela ambientale, avrebbe sottolineato la priorità dello sviluppo delle aree interne e della conservazione del patrimonio naturale. «Il Psn rilancia l’attuale modello di agricoltura e gestione dei sistemi agro-alimentari non sostenibile, affossando la transizione agroecologica auspicata dalle Strategie europee “From farm to fork” e “Biodiversità 2030”, richiesta dai cittadini-consumatori europei» affermano le associazioni.
Negli anni ‘80, la Pac pesava il 66% del bilancio europeo, il 31% per il periodo 2021-2027
Sono loro che denunciano il privilegio accordato a due delle attività più redditizie, ma anche meno sostenibili del settore: la zootecnia del nord Italia e l’olivicoltura del centro-sud, a cui sono dedicati due capitoli di spesa specifici e che ottengono quasi il 60 per cento dei fondi. Nella bozza non compaiono gli obiettivi quantitativi che si intendono raggiungere entro il 2027, tranne un 25 per cento imposto per l’agricoltura biologica. Per le associazioni, un traguardo comunque insufficiente, come gli impegni per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici. «Risulta evidente nella decisione del Psn di sostenere ancora un modello di zootecnia intensiva, rinunciando a una ristrutturazione del settore rispetto alla reale potenzialità di produzione» si legge in comunicato congiunto. Dal Mipaaf rispondono con una nota: «Le contestazioni sono prive di fondamento».
L'ambiente in Costituzione: alcuni "pro" e qualche dubbio
L’impatto dei cambiamenti normativi su agricoltori e allevatori varia in base alla grandezza dell’azienda e al luogo dove si opera. A spiegare a lavialibera le conseguenze dell’assenza dell’ecoschema sul pascolamento è Nunzio Marcelli. «È una deregolamentazione – dice –. Da un lato, snellisce le pratiche burocratiche, dall’altro può essere l’alibi per situazioni poco trasparenti». Per capire questa affermazione si deve ritornare alla riforma del 2003, quando la possibilità di accedere ai fondi è stata svincolata dalla produzione. Questo “disaccoppiamento” ha lo scopo di premiare chi si impegnava per la salvaguardia dell’ambiente, il benessere animale e la salute pubblica, togliendo l’obbligo di coltivare o allevare. I contributi vengono erogati in base ai titoli, ossia gli ettari di terreno posseduti. Per rispettare i parametri, quiindi è iniziata la corsa agli appezzamenti di montagna. Aziende del nord hanno comprato campi a buon prezzo in zone interne e convenienti ricevendo comunque i fondi. Con la conseguenza che sono caduti gli obblighi legati al piano di pascolamento e alla rotazione, impoverendo il territorio di biodiversità e abitanti. «In questa bozza del Psn diventa tutto “esecutivo”. In pratica, si favoriscono sempre gli stessi: l’80 per cento dei premi comunitari come sostegno al reddito riguarda il 20 per cento delle società.
L’80 per cento dei premi comunitari come sostegno al reddito riguarda il 20 per cento delle società
A Ischia il baratto è tornato di moda
All’interno della struttura ministeriale ci sono delle pressioni che vengono ascoltate» continua Marcelli. Non è solo questione di lobby «concentrate al nord», ma anche di strategia. La filiera è diversa: da un lato, un’economia rurale che si basa sulla relazione, dove si conosce chi alleva e si crea un rapporto di fiducia e ricchezza sia economica che di rapporto diretto con i clienti. Dall’altro, gli allevamenti intensivi, in cui non c’è alcuna possibilità di creare una rete. Chi compra non sa come vengono trattati gli animali, si fida delle etichette. Non è l’unica differenza, perché poi esiste anche una “questione” lavorativa: per allevare 100 bovini è necessaria una persona, che deve controllare gli animali due volte al giorno. Ne servono tra le 10 e le 12 invece per pascolare 2400 pecore, che darebbero lo stesso guadagno. Se si guardasse alla sola convenienza, la scelta sarebbe immediata. A dare il colpo di grazia, una nota del ministero: il bestiame “può” ma non “deve” pascolare. Il gioco è fatto: i monti rimangono spopolati, ma arrivano comunque i soldi.
Una nota del ministero chiarisce che il bestiame "può" non "deve" pascolare. Così, i monti rimangono vuoti, ma arrivano comunque i soldi
Il documento inviato a Bruxelles non è definitivo. La Commissione europea invierà delle osservazioni, che saranno l’occasione per rimettere mano ai nodi evidenziati dalle associazioni, che però rimangono scettiche sulle eventuali modifiche: secondo loro, solo critiche precise porteranno a dei miglioramenti. Marcelli da un lato condanna l’assenza di un’indagine ministeriale sul movimento della popolazione che lavora in questo settore, dall’altra confida in una cordata, un cartello di allevatori e di attivisti per smuovere qualcosa. «Ci mobiliteremo anche in altre situazioni, perché il ministro Patuanelli dovrà darci delle risposte. Non ci fermeremo».
Gli ecoschemi sono pagamenti diretti, in parte vincolanti, concessi agli agricoltori che raggiungono obiettivi climatici e ambientali. Una novità dell’ultima riforma della Pac, per incentivare le aziende a diventare più verdi. Inizialmente nel progetto italiano ne figuravano sette. Ora, con l’esclusione del pascolamento e della biodiversità, ne rimangono solo cinque: benessere animale e riduzione degli antibiotici, inerbimento delle colture arboree, salvaguardia degli olivi di interesse paesaggistico, sistema foraggeri estensivi, misure per gli impollinatori.
La Politica agricola comune (Pac), coordina le economie del vecchio continente dal 1962, con due grandi obiettivi: sostenere gli agricoltori e garantire la sicurezza alimentare, attraverso lo sviluppo rurale. Un progetto ambizioso che negli anni è stato riformato più volte, per riparare ad alcune distorsioni. Solo alla fine degli anni ‘90 è stato proposto un nuovo modello, che comprende sostenibilità economica, sociale e ambientale. Benessere diventa una parola cardine, tanto che nel 2003 si slegano sovvenzioni e produzione: non è importante quanto produci ma anche come. La questione ambientale diviene centrale a partire dal 2014, con l’insediamento della Commissione europea presieduta da Jean-Claude Juncker, che aggiunge tra gli obiettivi l’azione per il clima. Negli anni successivi, la Pac si intreccia ad altri progetti ambiziosi: ilGreen deal europeo, che si propone di rendere l’Unione europea a impatto climatico zero entro il 2050 e la strategia From farm to Fork, un modo per rendere più trasparente l’intera filiera, dal produttore al consumatore. Questi riferimenti internazionali sono alla base dell’intero Piano per la transizione ecologica. Il peso della Politica agricola nel bilancio Ue negli anni ‘80 rappresentava addirittura il 66 per cento della spesa complessiva. Votata ogni sette anni, per il periodo 2021-2027 assorbirà circa un terzo degli stanziamenti.
A supportare la transizione verso un’agricoltura più sostenibile adesso c’è anche il Pnrr, ma bisogna stare attenti ai progetti
A supportare la transizione verso un’agricoltura più sostenibile adesso c’è anche il Pnrr. Il Mipaaf ha presentato a dicembre i progetti da realizzare fino al 2026. Tra questi, lo sviluppo logistico, la realizzazione di parchi agrisolari, dotando case rurali e capannoni di pannelli solari, l’innovazione e la meccanizzazione nel settore agricolo e alimentare. Sono presenti anche investimenti per migliorare il sistema di distribuzione delle acque, a cui sono già destinati 810 milioni di euro. Ma il rischio è che gli aiuti finanzino chi riesce a presentare i progetti, lasciando Il Piano per l’ fuori chi ne avrebbe bisogno.
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