"La dichiarazione di indipendenza", dipinto di John Trumbull (Wikipedia / Pubblico dominio)
"La dichiarazione di indipendenza", dipinto di John Trumbull (Wikipedia / Pubblico dominio)

La felicità è una vita dignitosa per chiunque

La nostra Carta fondamentale prevede una forma di felicità civica, che corrisponde alla possibilità di essere se stessi, partecipare alla costruzione della società e agire come cittadini attivi

Francesco Pallante

Francesco PallanteProfessore di Diritto costituzionale all'Università di Torino

6 novembre 2023

È ben nota la proclamazione dei diritti inalienabili contenuta nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776: "Noi consideriamo come evidenti per se stesse le seguenti verità: tutti gli uomini sono creati eguali; essi sono dotati dal Creatore di certi diritti inalienabili, tra questi diritti si trovano la vita, la libertà e la ricerca della felicità".

Vita, libertà e felicità come base di tutto, dunque? Non esattamente: vita, libertà e ricerca della felicità (non felicità). Una sfumatura di linguaggio importante, perché mentre per garantire la vita e la libertà dei cittadini lo Stato è essenzialmente tenuto a non impedirle, per garantire davvero a tutti la felicità lo Stato dovrebbe farsi carico di compiti potenzialmente infiniti, essendo potenzialmente infinite le sfumature che ciascuno può assegnare alla propria felicità.

La felicità è il coraggio di rischiare. Leggi l'editoriale del numero 23

Prospettive diverse tra la dichiarazione Usa e la costituzione italiana

La formulazione della Dichiarazione di indipendenza degli Usa è ingenuamente pericolosa: che rischia di condurre alla disgregazione della società

Se tutti hanno realmente il diritto di ricercare la propria personale felicità, che cosa succede quando alla felicità di uno corrisponde l’infelicità di un altro? È sufficiente pensare a due persone che desiderano lo stesso bene, o vorrebbero realizzare ideali tra loro inconciliabili, perché sia chiara l’ingenua pericolosità della formulazione contenuta nella Dichiarazione del 1776: una formulazione che rischia di condurre alla disgregazione della società. Ad aleggiare, è il rischio di una contraddizione in termini: quella di una Costituzione che nasce per unire la società e finisce per dividerla, producendo, per legge, una situazione simile allo stato di natura hobbesiano. Si comprende, così, la mancanza di un analogo riferimento alla felicità nella Costituzione italiana del 1948.

I costituenti presero in esame la questione e si approfondì l’ipotesi di anteporre al testo costituzionale un preambolo contenente le proclamazioni più solenni. Ma subito emerse il problema di quale ne sarebbe stata la forza giuridica. Uguale a quella della Costituzione? Minore? O, forse, persino maggiore? Si decise che era meglio prevenire il sorgere di dubbi interpretativi, evitando roboanti dichiarazioni preliminari. Ciò non impedì che qualche cenno alla felicità fosse compiuto.

Luigi Ciotti: "La felicità è sentirsi parte del mondo"

Piero Calamandrei, giurista e padre costituente
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