21 dicembre 2023
Nata con l’obiettivo di trovare un equilibrio migliore fra uomo, risorse e natura, alla Missione 2 del Pnrr – denominata Rivoluzione verde e transizione ecologica – sono stati riservati circa 60 miliardi di euro, più del 30 per cento dell’importo totale destinato al Piano nazionale di ripresa e resilienza. Negli ultimi mesi, però, miliardi di euro che servivano per la messa in sicurezza degli edifici pubblici, per la ricerca e lo sviluppo di energie rinnovabili e per la gestione del rischio idrogeologico, sono stati tagliati e dirottati nel settore fossile. In particolare, gran parte delle risorse dovrebbero confluire nel progetto Tyrrhenian link, un nuovo corridoio elettrico al centro del Mediterraneo che collegherà la Sicilia con la Sardegna e la penisola italiana attraverso un doppio cavo sottomarino lungo 970 chilometri. La notizia non ha sorpreso enti come l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis), che denunciano l’incapacità del Piano di raggiungere gli obiettivi annunciati, così come la difficoltà nel mitigare gli effetti del cambiamento climatico.
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Dalle energie rinnovabili allo sviluppo di tecnologie legate all’idrogeno verde e alla messa in sicurezza del suolo pubblico: la scelta di tagliare i fondi sull’ambiente è stata giustificata dal governo guidato da Giorgia Meloni con motivazioni legate soprattutto alla natura degli investimenti stessi. L’esecutivo sostiene che i progetti definanziati non rispettavano i criteri europei anti-danno ambientale; sarebbero inoltre emerse gravi difficoltà burocratiche nella gestione degli investimenti coinvolti.
Il governo sostiene che i progetti definanziati non rispettavano i criteri europei anti-danno ambientale. Secondo fondazioni come Openpolis, sarebbe bastato correggere le proposte invece che stracciarle
Fondazioni come Openpolis hanno contestato queste giustificazioni, facendo notare che gli investimenti potevano essere semplicemente corretti, anziché tagliati. Gli impianti realizzati utilizzando quei fondi avrebbero contribuito alla ricerca per l’energia rinnovabile e pulita, e pesato sul grave problema del dissesto idrogeologico per il quale, come evidenzia nel suo report l’Associazione nazionale costruttori edili (Ance), mancano invece le risorse per far fronte a calamità naturali sempre più frequenti e devastanti.
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Annunciato alla Cop27 come uno strumento che, con oltre 4 miliardi di euro ripartiti in cinque anni, avrebbe finanziato progetti cruciali per la transizione energetica e la salvaguardia del territorio, anche in paesi emergenti individuati dall’Ocse, è stato invece ridotto al lumicino. Senza preavviso, la quasi totalità del fondo è stata dirottata verso il Piano Mattei, annunciato durante la campagna elettorale del 2022 da Giorgia Meloni e presentato come un progetto di cooperazione strategica tra Italia e paesi africani. Il progetto non convince organizzazioni non governative come la tedesca Urgewald, che ha evidenziato il ruolo chiave dell’Eni nello sviluppo del Piano, mentre la ong mozambicana Justiça Ambiental ha denunciato le intenzioni predatorie dell’Italia su preziose risorse fossili.
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