Aggiornato il giorno 24 settembre 2024
La violenza uccide e separa. L’orgoglio, il rancore e la vendetta scavano gli animi. La sete di verità e di giustizia, alla fine, spinge oltre. È il percorso dei protagonisti di Patria, romanzo dello scrittore spagnolo Fernando Aramburu, e degli altri suoi racconti contenuti in Dopo le fiamme, tutte opere edite da Guanda, come l'ultimo romanzo, Il bambino. Nato nel 1959 a San Sebastian, nei Paesi baschi, Aramburu ha vissuto una parte della stagione terroristica dell’Euskadi Ta Askatasuna (Eta), formazione indipendentista responsabile di 864 morti e oltre tremila feriti. Nei suoi scritti, le vicende personali dei carnefici e delle vittime, soprattutto le ultime, si intrecciano alla grande Storia.
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In Patria, protagoniste sono due donne appartenenti a famiglie diverse, prima unite, poi separate dagli eventi: c’è Bittori, moglie di Txato, imprenditore ucciso dall’Eta, e c’è Mirén, madre di un militante incarcerato. In questa intervista a lavialibera, Fernando Aramburu ripercorre il suo lavoro e, da spagnolo di cultura basca residente in Germania, riflette sull’Europa segnata dai sovranismi.
“In Spagna c’è voluto tempo per fondare le associazioni di vittime. Prima, la loro solitudine era assoluta”
Fernando Aramburu, come è nato Patria?
L’idea di scriverlo mi ha accompagnato a lungo sotto forma di immagini ed episodi slegati che sono rimasti bloccati nei miei pensieri. Trovare il tono e la forma letteraria per scrivere in modo fluido quanto avevo in mente è stato più difficile di immaginare una storia coerente. Quando la voglia di realizzare il progetto è stata più forte dei dubbi, ho accettato l'incarico e ho passato tre anni incollato alla scrivania.
Nel suo principale romanzo e in altri suoi racconti emerge la tensione tra ricerca di verità e giustizia, tra rancore e perdono. Sono stati d’animo diffusi nei Paesi baschi?
Non sono nella testa degli altri, quindi posso esprimermi sul tema solo dal mio punto di vista. Parlando con i familiari delle vittime, leggendo notizie, interviste e resoconti, sono però arrivato alla conclusione che il desiderio di memoria e di giustizia è un bisogno fondamentale dell'essere umano, indipendentemente da dove vive. Qualcosa di universale.
In un passaggio di Patria definisce mafioso il modo in cui funziona l’Eta. Cosa hanno in comune l’Eta e questa forma di crimine organizzato?
Come altre organizzazioni che operano contro lo Stato, anche se con obiettivi differenti, le due funzionano in modo simile. Non è difficile trovare somiglianze: natura clandestina, rigorosa gerarchia, distribuzione delle funzioni tra i membri, fedeltà obbligatoria all'organizzazione, strategia economica, uso di terrore e armi.
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Nei Paesi baschi (e nel resto della Spagna) è diffusa l’omertà?
Sì, infatti si usa spesso la parola italiana omertà. Dove la violenza continua, il silenzio è spesso garanzia di sopravvivenza.
Ha vissuto a San Sebastian fino al 1985. Da giovane è stato difficile non farsi coinvolgere dalla propaganda dell’Eta?
La propaganda era presente a tutte le ore. Aveva le sue giustificazioni dogmatiche e la sua estetica, esercitando una pressione collettiva. Era molto forte nelle piccole città, dove tutti si conoscono e, quindi, è più facile controllare la popolazione. All’inizio, durante la dittatura franchista, la repressione della polizia contribuì a far sì che in molti accettassero la propaganda. Allora, ero un adolescente che già cercava nei libri le proprie idee, senza limitarsi ad accettare quelle che fluttuavano nell’aria. La convinzione morale che non si possa creare una società migliore versando il sangue degli altri mi ha tenuto lontano dalla tentazione della violenza.
“Le organizzazioni terroristiche e le mafie hanno obiettivi diversi, ma funzionano in modo simile. Sono gerarchiche, usano armi e paura”
Lei descrive i familiari delle vittime come persone marginalizzate, che si vergognano di quanto loro successo. Quale ruolo hanno avuto le associazioni?
In Spagna ci è voluto del tempo per crearle. Fino ad allora, la solitudine dei familiari è stata assoluta. Ci sono storie terribili: i parenti degli assassinati, anche bambini, hanno preferito nascondere il loro status di vittime per evitare disprezzo o discriminazione sociale. La situazione, per fortuna, è cambiata quando hanno iniziato a fondare delle organizzazioni. Nonostante i progressi, escludo che riceveranno mai un risarcimento soddisfacente.
C’è un passaggio del romanzo in cui Nerea, figlia di Bittori, annuncia di voler partecipare a incontri di riconciliazione in carcere. Nella società basca, quando si è diffusa l’idea che potesse esserci un riavvicinamento tra vittime e carnefici?
È stata un'iniziativa nobile che il governo di Mariano Rajoy (2011-2018, ndr) non ha sostenuto. Oltre a portare consolazione e sollievo alle persone coinvolte, l’effetto sulla società basca di questi incontri nelle carceri tra vittime e aggressori è stato altamente educativo.
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In Patria, ma anche in alcuni suoi racconti, narra di torture, fisiche e psicologiche, ai detenuti. C’è mai stata una presa d’atto pubblica di quanto avveniva nelle carceri?
Senza dubbio, le torture sono state molto diffuse e lo Stato ha condotto una guerra sporca. Di fatto, ci sono state condanne giudiziarie contro agenti di polizia e alti funzionari delle forze di sicurezza. Anche questi eventi sfortunati fanno parte della nostra storia collettiva. La letteratura dovrebbe occuparsene.
Nel romanzo, il figlio di Bittori, Xabier, riflette sul fatto che la madre non voglia fare della loro storia del materiale per scrittori o registi. Le è mai stato rimproverato di aver sfruttato il dolore delle vittime?
In realtà ho anticipato le prevedibili critiche applicandole a me stesso. Mi ha sempre pesato lo scrupolo di intraprendere la carriera letteraria a discapito della sofferenza altrui. D'altro canto, non poche vittime mi hanno ringraziato per aver trattato le loro storie in alcuni dei miei libri. Mi hanno addirittura assegnato un premio che conservo in un posto ben visibile della mia biblioteca.
L’Eta ha deposto le armi nel 2011 e si è sciolta nel 2018. Oggi c’è pace nei Paesi baschi?
Abbiamo una pace con delle ferite, però non c’è più paura. Regna la volontà generale di non ripetere la storia sanguinosa che abbiamo vissuto per più di quattro decenni.
Dal 1985 lei vive in Germania. La distanza geografica l’ha aiutata a capire la storia della sua terra?
Non sono andato a vivere in Germania con l'obiettivo di avere un punto di vista, ma per motivi personali. È vero che la distanza geografica mi ha dato una prospettiva diversa da quella che avevo. Non so se sia un bene o un male, ma l'essere lontano dalla scena degli eventi mi ha permesso di avere una visione d’insieme, e meno coinvolta. Come un giocatore di scacchi che copre con lo sguardo tutta la scacchiera, pur non essendo a stretto contatto con i pezzi.
Non ho bisogno di un’identità ancorata ai confini. Niente e nessuno mi convincerà che l'essere umano che ho davanti, da qualunque parte venga, qualunque lingua parli, qualunque colore della pelle abbia, sia per me uno straniero.
Spagnolo di lingua e di cultura basca, sposato con una tedesca. Come definisce l'identità europea?
Non ho bisogno di un’identità ancorata ai confini. Niente e nessuno mi convincerà che l'essere umano che ho davanti, da qualunque parte venga, qualunque lingua parli, qualunque colore della pelle abbia, sia per me uno straniero. Per questo mi piacciono le costruzioni sovranazionali e non ho remore ad affermare che sento l'Unione europea come casa mia, soprattutto quando visito i paesi dell'area Schengen e dell'euro.
In Europa sono cresciuti i partiti di destra. In Germania l’Alternative für Deutschland è il secondo partito e in Spagna Vox è sempre più forte. La preoccupa?
Molto. Vedo la democrazia in pericolo e credo che dove finisce la democrazia comincia l’inferno. Non sono così ingenuo da equiparare la democrazia a un paradiso sociale, ma nel suo perimetro i problemi hanno una soluzione meno traumatica che nelle dittature. E così come la Terra permette la vita perché orbita in una zona né troppo vicina né troppo lontana dal Sole, la democrazia viene bruciata o congelata se al potere ci sono gli estremismi.
Cosa si aspetta dalle prossime elezioni europee?
Non sono un profeta. Mi auguro che i cittadini sostengano solidarietà e buon senso.
Quale futuro in Europa per le sue figlie e la loro generazione?
Vent’anni fa avrei risposto con ottimismo. Ultimamente sta svanendo.
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