Un gruppo di ribelli catturati dopo il fallito colpo di Stato a Kinshasa/Voice of Congo
Un gruppo di ribelli catturati dopo il fallito colpo di Stato a Kinshasa/Voice of Congo

Repubblica democratica del Congo: ombre dietro il fallito golpe

Un esiguo gruppo di ribelli ha assaltato il palazzo presidenziale, ma il goffo tentativo di rovesciare il governo presieduto da Felix Tshisekedi è durato un paio d'ore e si è concluso con la morte del leader dei golpisti Christian Malanga

Matteo Giusti

Matteo GiustiGiornalista

21 maggio 2024

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Il continente africano ha vissuto nella sua travagliata storia post-coloniale oltre 200 colpi di Stato, alcuni sventati e altri riusciti. Gli ultimi quattro anni sono stati costellati di prese di potere da parte delle forze armate, che hanno rovesciato i governi democraticamente eletti in Niger, Guinea, Mali e Burkina Faso. La Repubblica democratica del Congo ha visto all’alba della sua indipendenza moltiplicarsi i colpi di mano dei militari, sempre spalleggiati e finanziati dalle potenze estere.

Oltre 20 anni di violenze e massacri nel Congo Kinshasa

Nell’arco degli anni ’60 secessioni, colpi di Stato e scontri tribali hanno dilaniato il ricchissimo gigante africano, che dal 1965 al 1997 è finito nella mani di Joseph-Desirè Mobutu, un feroce dittatore che per un trentennio ha gestito il Paese come una proprietà privata.

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Un tentativo maldestro

L’enorme fragilità della Repubblica democratica del Congo, che vede le province orientali, ricchissime di minerali preziosi, in mano a milizie ribelli, ha spinto un gruppetto di avventurieri a cercare di prendere il potere con le armi a Kinshasa. All’alba di domenica 19 maggio una ventina di uomini in mimetica ha preso d’assalto il palazzo presidenziale, dopo aver documentato sui social la loro azione “rivoluzionaria”.

All’alba di domenica 19 maggio una ventina di uomini in mimetica ha preso d’assalto il palazzo presidenziale, ma il blitz è sembrato fin da subito improvvisato

Il palazzo, completamente deserto, è caduto nelle mani di questi improvvisati golpisti, che hanno sventolato bandiere del vecchio Zaire, inneggiando a un ritorno dell’ormai defunto Mobutu. Dopo la presa del palazzo vuoto, i ribelli si sono diretti verso l’abitazione del vice primo ministro Vital Kamerhe, ma stavolta ad attenderli c’era la polizia. In poche ore l’intervento dell’esercito ha portato all’uccisione del capo dei golpisti – Christian Malanga, un ex militare da tempo residente negli Stati Uniti – all’identificazione dei ribelli e al loro fermo.

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In arresto sono finiti anche il figlio di Malanga, un congolese di passaporto britannico e due cittadini americani bianchi, che fin da subito hanno attirato l’attenzione dei media. Subito è emerso che si trattava di persone da tempo in contatto con Malanga, con gli Usa che hanno prontamente negato ogni tipo di coinvolgimento. In meno di due ore tutto è finito, con tanto di annuncio televisivo del capo di stato maggiore Sylvain Ekenge, che ha definito la situazione “sotto controllo”.

Chi c'è dietro il golpe?

Il colpo di Stato è parso fin da subito pieno di falle e completamente improvvisato. Assalire il palazzo presidenziale in piena notte, quando all’interno non vi è nessuno, è una mossa senza alcun senso, così come prendere di mira l’abitazione di Kamerhe, che non rappresenta affatto un simbolo della politica congolese. Inoltre, non aver pensato di lanciare un messaggio attraverso radio e tv dimostra come il gruppo di Malanga mancasse di strategia.

Una politica della nonviolenza

Venti uomini in armi e altrettanti come logistica, senza un reale supporto delle forze armate, costituiscono un gruppo troppo esiguo per sopraffare la Guardia presidenziale, notoriamente fedele al presidente della Repubblica. Pare inverosimile che dietro al golpe ci sia la mano del Ruanda, che comunque non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali, vista l’estrema approssimazione di questo tentativo.

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E altrettanto difficile risulta pensare che in questa storia c’entrino in qualche modo i finanziamenti della diaspora congolese, che si è espressa al voto pochi mesi fa contro l’attuale presidente Felix Tshisekedi, che poi ha trionfato sugli avversari. Da parte delle comunità internazionale, dalle Nazioni Unite e dall’Unione Africana sono arrivate nette condanne a questo atto di violenza, ma resta da capire cosa abbia spinto Malanga ad accettare un piano simile, che l’ha portato alla morte.

Una promessa da parte delle inaffidabili e corrotte forze armate congolesi? Un supporto dal vicino Congo, appoggiato dal presidente Sassou N’guesso? Una sollevazione popolare? Tutto piuttosto inverosimile, anche in un continente ormai diventato un’autentica scuola per aspiranti golpisti.

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