1 luglio 2024
Negli ultimi decenni, soprattutto dopo il trattato di Lisbona del 2007, si è assistito al rafforzamento dei poteri del parlamento europeo e alla maggiore vivacità dei gruppi parlamentari e dei partiti politici europei. Ad esempio, anche se la nomina del presidente della Commissione spetta ai capi di Stato e di governo nel Consiglio europeo, il parlamento ha un ruolo cruciale poiché deve approvare il presidente designato e la Commissione. Pertanto oggi i partiti europei indicano, già prima delle elezioni, i nomi preferiti per il ruolo di presidente della Commissione europea, gli spitzenkandidaten.
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Le elezioni del giugno 2024 hanno confermato il primato del Partito popolare europeo (Ppe, centrodestra europeista) che passa da 187 a 189 seggi, mentre i socialisti (S&D) calano da 158 a 136 e i liberali di Renew Europe da 97 a 74. Con i numeri bisogna essere cauti, perché i regolamenti del parlamento non consentono una valutazione precisa nelle prime settimane dopo il voto. I deputati dei nuovi partiti, infatti, vengono provvisoriamente inseriti nel gruppo dei non-iscritti, cioè il gruppo misto, che quindi nel post-elezioni risulta sempre gonfiato. Pertanto, anche se i non-iscritti in apparenza passano da 37 a 87 seggi, nelle settimane successive caleranno, a vantaggio degli altri gruppi.
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Oggi la maggioranza europeista di Ppe, S&D e RE, che confermerebbe alla presidenza la spitzenkandidat Ppe Ursula von der Leyen, ha circa 400 seggi, sopra la maggioranza richiesta di 361. Una maggioranza alternativa, di destra, sostituirebbe i socialisti con i conservatori di Giorgia Meloni, fermandosi a 316 seggi. Con il gruppo di estrema destra Identità e Democrazia arriverebbe a 374. Tuttavia, la fattibilità della coalizione di destra è dubbia per le differenze sulle politiche di integrazione e sul sovranismo.
Al contrario, si potrebbe ipotizzare l’allargamento dell’alleanza Ppe-S&D-RE ai Verdi, che rafforzerebbe la compagine sia numericamente, portandola alla confortevole cifra di 452 seggi, sia sui temi strategici, come il favore verso una maggiore integrazione e una risposta ferma all’espansionismo russo. I Verdi sosterrebbero von der Leyen in cambio di contropartite ambientaliste concrete, che non si limitino a dichiarazioni di principio o di greenwashing, ma che recuperino veramente il Green deal, approvato nel 2019 ma finito nel dimenticatoio con la pandemia e la guerra in Ucraina. Sul piano dei temi sociali – salario minimo europeo e stabilità del lavoro – l'eventuale alleanza con i Verdi non sposterebbe l'agenda politica più a sinistra, data la posizione centrista dei Verdi europei rispetto agli omologhi italiani, ai socialisti e al gruppo Left.
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Senza dubbio il Ppe ha il pallino in mano, essendo essenziale per ogni possibile maggioranza. Per questa ragione sta alzando la posta, cercando di confermare la popolare Roberta Metsola alla presidenza del parlamento, concedere la presidenza del Consiglio europeo ai socialisti (ma con un mandato limitato) e nominare come Alto rappresentante per la politica estera la graditissima liberale estone Kaja Kallas.
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