Palermo, 31 maggio 1999. Toto' Schillaci sul campo della Favorita per l'amichevole Italia - Germania. Foto di M.Palazzotto/Ansa
Palermo, 31 maggio 1999. Toto' Schillaci sul campo della Favorita per l'amichevole Italia - Germania. Foto di M.Palazzotto/Ansa

È morto Totò Schillaci, che negli anni bui della mafia fu una gioia per i palermitani

I tifosi avversari lo chiamavano terrone e gli dedicavano cori offensivi, poi al Mondiale si trasformò in eroe nazionale riscattando l'immagine di una città che viveva anni bui. Dopo la strage di Capaci, l'allenatore della Juventus gli disse: "Avete ucciso anche Falcone"

Marco Panzarella

Marco PanzarellaRedattore lavialibera

18 settembre 2024

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Ci sono personaggi pubblici che lasciano un segno indelebile nell’immaginario collettivo, anche se le loro gesta si esauriscono in un tempo breve. È il caso di Salvatore “Totò” Schillaci, ex calciatore di Messina, Juventus, Inter e Jubilo Iwata (Giappone), ma soprattutto icona dei mondiali di Italia 90, quando con la maglia della Nazionale vinse il titolo di capocannoniere e si piazzò al secondo posto nella classifica del Pallone d’oro, il premio al miglior giocatore del mondo.

Schillaci è morto a 59 anni all’ospedale civico della sua città, Palermo, che negli ultimi giorni si è stretta attorno al campione sperando in un’ultima magia. In questi anni la gente non lo ha mai dimenticato, troppo dolce il ricordo delle “notti magiche”, delle corse sfrenate dopo i gol, degli occhi spiritati per un fuorigioco fischiatogli contro.

Totò Schillaci: oltre il tifo

L’esultanza mondiale del popolo palermitano non era solo goduria sportiva. In quegli anni il capoluogo siciliano, reduce dalla seconda guerra di mafia e dall’affermazione dei corleonesi guidati da Totò Riina, era una polveriera. In città si continuava a sparare e a morire, mentre la magistratura indagava sugli affari criminali di Cosa nostra e nelle aule di giustizia si celebrava il maxiprocesso d’appello contro le cosche, che si concluderà Il 31 dicembre del 1990 con la conferma di 12 ergastoli su 19 e 258 condanne.

A Palermo si parlava solo di mafia, non c’era spazio per altro. Ed erano giorni tristi anche dal punto di vista sportivo: mentre il calcio italiano spadroneggiava nel mondo, la squadra locale annaspava in Serie C, provando a rialzarsi dopo il fallimento del 1987. Ecco allora che all’improvviso i gol di Schillaci – nato e cresciuto nel quartiere popolare Cep – riportavano Palermo al centro del mondo, ma stavolta la criminalità non c’entrava nulla.

Gli Azzurri procedevano a vele spiegate verso la finale grazie ai gol di un “terrone”, all’epoca tesserato per la Juventus, che fino a poche settimane prima era sistematicamente insultato negli stadi di mezza Italia, e a volte pure dai suoi stessi tifosi. “Ruba le gomme, Schillaci ruba le gomme..”, cantavano le curve tirando in ballo una storia che riguardava suo fratello.

Nel febbraio del 1990, dopo aver segnato un rigore contro i padroni di casa del Bari e avere udito il solito coro, Schillaci alzò il pugno verso i tifosi avversari in segno di protesta. A fine gara, l’attaccante spiegò ai giornalisti: “Volevo solo difendere la mia dignità. Io le gomme non le rubo, forse lo fanno gli altri. (…) Mi avvilisce che proprio la gente del Sud abbia preso di mira uno di loro, come me. Il discorso calcio non c’entra nulla con i problemi di mio fratello, ma la gente mi sottopone ad un linciaggio continuo”.

Soltanto quattro mesi dopo quell’episodio, nessuno più avrebbe avuto il coraggio di deriderlo. Di colpo Schillaci si era trasformato nell’eroe a cui aggrapparsi per bissare il successo del 1982. Un palermitano osannato dall’Italia intera, era l’apoteosi.

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Totò Schillaci: l’epilogo dell’eroe

Cosa successe dopo lo sanno tutti: in semifinale la Nazionale fu sconfitta ai rigori dall’Argentina di DiegoArmando Maradona e dovette accontentarsi di un amaro terzo posto, conquistato contro l’Inghilterra grazia al sesto gol di Schillaci. Dopo quell’exploit, Totò giocò altri due anni con la Juventus per poi passare all’Inter, ma senza tornare più ai livelli del Mondiale. Firmò quindi un un ricco contratto con la squadra giapponese del Jubilo Iwata, dove terminò la carriera nel 1997.

Che l’aurea del Mondiale fosse svanita, si evince da un episodio che lo stesso Schillaci raccontò qualche anno fa alla Gazzetta dello Sport. Dopo la strage di Capaci del 1992, mentre la Juventus si trovava in ritiro a Verona, l’allenatore bianconero Giovanni Trapattoni si rivolse a Totò dicendogli: "Avete ucciso anche Falcone". Schillaci, con la sua solita semplicità, rispose: “Mister, io ero con Baggio, può chiedere a lui: oggi non ho ucciso nessuno". La magia non c'era più, Totò era di nuovo uno qualunque. Anzi no, era tornato a essere un palermitano colpevole di essere nato in quella città.

Io, l'esame di maturità e la Mano de Dios

Dopo la morte di Schillaci, in molti gli hanno dedicato un pensiero. Abbiamo scelto uno scritto del drammaturgo palermitano Davide Enia, che con la gentile concessione dell'autore pubblichiamo di seguito:

Franco Scaldati mi disse: Totò Schillaci è il più grande palermitano del XX secolo. Ne argomentò l'epica, in un momento in cui il razzismo sopito veniva sdoganato dall'insorgere della Lega Nord, negli stadi venivamo chiamati Terroni e, ancora, qualcuno non affittava ai meridionali. Pare una vita, e forse lo è, e forse no, non lo è affatto. TotòSchillaci, tutto attaccato, come Paolorrossi, è legato al miracolo di quella estate, in cui davvero sembrava che un ultimo, quasi tutta la carriera in B, potesse farcela. Noi eravamo giovani, eravamo ipotesi di cosa saremmo stati, avevamo tutto il tempo per provarci. Potevamo essere tutto, potevamo vincere i mondiali. Ciao Totò, grazie di tutti i golle di puntazza arraggiàta che hai segnato alla faccia di chi ci vuole male. Grazie per avere reso il "Suca" una liberazione catartica urlata d'estate, tra le cicale che frinivano e il grande mare da attraversare.

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