Firenze, 8 marzo 2014. Scarpe rosse esposte in piazza SS. Annunziata in occasione dell'iniziativa 'Scarpe rosse, trecce e solidarietà' per dire no alla violenza sulle donne (Foto M Degl'Innocenti/Ansa)
Firenze, 8 marzo 2014. Scarpe rosse esposte in piazza SS. Annunziata in occasione dell'iniziativa 'Scarpe rosse, trecce e solidarietà' per dire no alla violenza sulle donne (Foto M Degl'Innocenti/Ansa)

Giornata contro la violenza sulle donne. Orfani di femminicidio e di uno Stato (ancora) assente

A lungo i figli delle vittime di femminicidio sono stati ritenuti "effetti collaterali". Una legge nel 2018 ha introdotto sostegni, ma spesso le istituzioni non sono preparate e non sanno come assisterli

Martina Cataldo

Martina CataldoCollaboratrice lavialibera

25 novembre 2024

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Palermo, 7 febbraio 2012: Nell’alloggio di servizio di una caserma dei carabinieri, Lisa Siciliano viene uccisa dal marito carabiniere. In casa, presenti al momento dell’omicidio, c’erano Noemi D'Alba di 12 anni e sua sorella più piccola. 

Albizzate (Varese), 26 luglio 1997: Per strada, Olga Granà viene uccisa dall’ex marito che la colpisce con un’accetta dopo cinque anni di separazione, lasciando tre figli, tra i quali Giuseppe Delmonte, di 19 anni. 

Noemi e Giuseppe sono figli di donne uccise dai propri mariti e compagni, oggi definiti orfani speciali o orfani di femminicidio. Speciali perché hanno perso la madre per mano del padre, speciali perché i loro bisogni sono speciali. Questa definizione – coniata per la prima volta dalla psicologa e criminologa Anna Costanza Baldry – è entrata nel linguaggio comune solo negli ultimi anni: per lungo tempo nessuno li aveva considerati. Non era possibile sapere quanti fossero e non esistevano procedure per la loro tutela. “Bisogna considerare che fino ad alcuni anni fa non c’era nemmeno il termine femminicidio, per le istituzioni io e mio fratello non siamo mai esistiti, né prima come vittime di violenza, né dopo come orfani”, racconta a lavialibera Delmonte, fondatore e presidente dell’associazione Olga, intitolata alla madre. 

È solo nel 2011 che la dottoressa Baldry (scomparsa nel 2019) ha avviato una prima indagine empirica per cercare di capire chi fossero, dove fossero e con quali familiari vivessero. Il lavoro di Baldry ha contribuito a far emergere un fenomeno sommerso, innescando anche alcune iniziative legislative: nel 2018 è stata approvata la legge 4 che “riconosce tutele processuali ed economiche ai figli minorenni e maggiorenni economicamente non autosufficienti”, entrata poi in vigore nel febbraio del 2018. Nel 2021, grazie a un bando finanziato dall’impresa sociale “Con i bambini”, sono partiti quattro progetti per creare interventi a favore degli orfani di femminicidio. Passi avanti, eppure Fedele Salvatore, presidente della cooperativa Irene ’95 di Marigliano (Napoli) e direttore del progetto Respiro, afferma: “Per me gli orfani di femminicidio sono ancora considerati degli effetti collaterali, tutta l’attenzione rimane sul fatto criminale. La legge esiste, ma spesso le forze dell’ordine o le istituzioni nemmeno la conoscono. Non esistono protocolli condivisi o cabine di regia”.

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A lungo gli orfani di femminicidi sono rimasti soli

Quando suo padre ha ucciso sua madre, Noemi D'Alba non ricorda la presenza di nessuno, né tanto meno qualcuno che aiutasse lei o la sua famiglia nelle fasi successive. I carabinieri colleghi del padre erano spariti e lei non aveva nessuna figura di riferimento. “All’inizio sono andata da mia nonna, poi dai miei zii materni, diventati la mia famiglia affidataria. Nessuno mi ha mai chiesto dove e con chi volessi vivere – dichiara –. Non ricordo assistenti sociali, né colloqui, ma solo uno psichiatra, dal quale non sono voluta tornare mai più. La psicoterapia me la sono poi pagata io per gli anni successivi”.

I figli delle donne uccise spesso non possono più vivere nella loro casa, sono costretti a cambiare scuola e abitudini. Senza linee guida condivise sulla presa in carico degli orfani, ci sono state molte falle nel sistema: bambini interrogati senza la presenza di una figura di supporto, affidamenti provvisori e decisi senza alcun riguardo per il benessere dei minori, case sequestrate e mai restituite, pensioni di reversibilità tolte ai figli e date ai padri. “Nei mesi successivi io e i miei fratelli non siamo mai esistiti per nessuno, mai ci hanno chiesto se avessimo bisogno di qualcosa, anche banalmente di un supporto economico per pagare l’affitto o le bollette di casa o le spese processuali”, dice Giuseppe Delmonte. Anche Gennaro Rea, nonno di una orfana di femminicidio oggi tredicenne, ricorda che nei momenti successivi all’omicidio della figlia hanno fatto tutto da soli: “Non c’era nessuno, noi eravamo già abbastanza anziani e ci siamo dovuti arrangiare con una bambina di appena 18 mesi”, dice. 

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Un passo avanti: la legge 4 del 2018 

E fondamentale riconoscere loro i diritti altamente violati e ripristinarli, scriveva Baldry nel suo libroOrfani Speciali. In quest’ottica nel 2018 è nato il nuovo quadro normativo per la tutela e il supporto degli orfani di crimini domestici: la legge 4 del 2018. L’avvocata Anna Maria Busia ha redatto parte del testo legislativo e ora racconta a lavialibera: “Il padre della ragazza che stavo assistendo, una volta uscito dal carcere per la semi-libertà, ha richiesto che la pensione di reversibilità venisse mandata a lui sottraendola alla figlia. Lì ho capito che questi orfani non avevano alcuna tutela, né legale né economica. Serviva quindi una legge per cercare di sopperire alle mancanze decennali dello Stato”. La legge ha introdotto per la prima volta tutele come l’accesso al gratuito patrocinio, il sequestro dei beni dell’indagato in garanzia di un risarcimento ai figli della vittima, l’assistenza medico-psicologica, la sospensione della pensione di reversibilità all’omicida, la possibilità di modificare il cognome. Il decreto ha esteso poi il fondo per le vittime di mafia, usura e reati intenzionali violenti anche agli orfani di crimini domestici garantendo 12 milioni di euro l’anno da utilizzare per il rimborso di spese sanitarie e farmaceutiche, inclusa l’assistenza medico-psicologica e borse di studio.

Le tutele agli orfani non sempre funzionano

Giuseppe Delmonte, figlio di Olga, vittima del marito. Giuseppe ha fondato l'associazione Olga per aiutare gli orfani di femmicidi
Giuseppe Delmonte, figlio di Olga, vittima del marito. Giuseppe ha fondato l'associazione Olga per aiutare gli orfani di femmicidi
“Non è pensabile che una famiglia in lutto il giorno dopo si metta a capire come fare la domanda di sussidio. È lo Stato che deve andare dell’orfano, non il contrario”Giuseppe Delmonte

“Il numero di orfani che ha beneficiato delle tutele economiche è esiguo. Da una parte perché i meccanismi di richiesta sono molto complessi e servirebbe un accompagnamento che spesso non hanno, dall’altra perché i soggetti istituzionali non conoscono le procedure”, afferma Fedele Salvatore.

Quando Noemi D'Alba ha provato a fare le pratiche per accedere alle borse di studio qualcosa è andato storto: “A febbraio del 2024 ho fatto richiesta, allegando tutti i documenti necessari. Ho scoperto dal mio avvocato che mi avevano negato la borsa solo a settembre, nonostante avessi tutti i requisiti, e io non sono stata avvisata”. Dopo essere stata rimbalzata da un ufficio a un altro, sta ancora aspettando che qualcuno le spieghi il motivo del rifiuto. Ma la richiesta di borse di studio non è l’unica a presentare dei problemi.

Sul sito del ministero dell’Interno al momento è possibile chiedere rimborsi solo per la psicoterapia, non per altre spese mediche. “A Roma, non vedendo arrivare domande, hanno deciso che nessuno ne avesse bisogno”, aggiunge Salvatore. “Non è pensabile che una famiglia in lutto il giorno dopo si metta a capire come fare la domanda di sussidio. È lo Stato che deve andare dell’orfano, non il contrario”, dichiara Delmonte. La legge 4/2018 prevede anche la possibilità di iscrizione alle categorie protette per gli orfani di femminicidio, ma solo in presenza di una sentenza penale di condanna: nel caso in cui il padre si suicidi prima, la richiesta viene negata. 

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Orfani dei femminicidi: forze di polizia ed enti impreparati

Conoscenza, formazione e costruzione di nuove linee guida condivise su territorio nazionale sono i pilastri sui quali dovrebbe reggersi la presa in carico dell’orfano di femminicidio. È quanto stanno provando a fare dal 2021 i quattro enti vincitori del bando “A braccia aperte” grazie a un finanziamento di 10 milioni tramite il fondo “per il contrasto alla povertà educativa dei minori”. “Noi del progetto Respiro abbiamo elaborato una procedura, ma facciamo fatica a farla passare istituzionalmente. Manca ancora la formazione e le giuste competenze sul tema degli orfani”, afferma Salvatore.

Manca anche una cabina di regia nazionale e il rischio è che ogni regione o comune applichi protocolli differenti. Salvatore racconta come in un recente caso di femminicidio in Campania, con due minori rimasti orfani di madre, il comandante dei carabinieri al quale si era rivolto non aveva idea del protocollo di intesa che avrebbe permesso all’associazione di prenderli in carico subito. “Mi ha risposto che non capiva, che i bambini erano al sicuro”, racconta. La procedura di assistenza dovrebbe infatti scattare dal primo minuto, nella fase ancora emergenziale. In seguito, operatori educatori e psicologi devono occuparsi degli orfani e dell’intera famiglia per la fase di accompagnamento.

Serve un percorso di psicoterapia condivisa anche con la famiglia affidataria, dei protocolli sulle procedure di affido e assistenza per l’accesso ai fondi. “Banalmente bisogna raccontare loro la verità, certo equilibrando le parole in base all’età, ma non gli si può dire che la mamma è andata a fare un viaggio”, spiega sempre Salvatore. “Ho preso in carico orfani dopo più di dieci anni dall’omicidio della madre. Le conseguenze psicologiche di un trauma come questo, se non trattato, possono essere devastanti”, dice la dottoressa Elena Scudiero, psicoterapeuta della Cooperativa Irene’ 95.

Manca un registro ufficiale degli orfani dei femminicidi

I bambini presi in carico dai progetti per gli orfani di femminicidio sono al momento 157, di questi uno su tre ha assistito all’omicidio della madre

I bambini presi in carico dai progetti per gli orfani di femminicidio sono al momento 157, di questi uno su tre ha assistito all’omicidio della madre. La maggior parte sono maschi e provengono dal sud Italia: “Non vuol dire che ci sono più orfani al sud, ma semplicemente che siamo riusciti ad agganciare di più”, ci tiene a precisare il responsabile della cooperativa Irene '95. Per aiutarli bisognerebbe sapere esattamente quanti sono e dove si trovano, ma nonostante il lavoro della dottoressa Baldry, che ha stimato 1600 casi di orfani speciali dal 2000 al 2014, un registro nazionale aggiornato non esiste ancora.

Dai dati più recenti presentati dalla commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio risulta che nel biennio 2017-2018 gli orfani speciali erano 169. Dato non completo se si considera che secondo i dati pubblicati dal’impresa sociale “Con i Bambini”, gli orfani identificati sono 260. “Come fanno i fondi erogati a essere corretti, se nemmeno sanno esattamente quanti siamo?”, si domanda D'Alba.

Le falle dei servizi non aiutano a prevenire

Sempre “Con i Bambini” pubblica un dato che deve essere un campanello d’allarme: il 65 per cento delle famiglie non era in carico ai servizi sociali prima del femminicidio nonostante la presenza di aspetti che in parole tecniche sono chiamati “elementi di vulnerabilità”: familiari con dipendenze da alcol o droghe, o con provvedimenti giudiziari di natura penale.

In 50 casi su 70 i bambini hanno anche riportato di aver assistito a violenza verbale e psicologica del padre verso la madre. Questo significa che qualcosa si è inceppato nel funzionamento dei servizi di tutela e assistenza di queste famiglie. Nella maggior parte dei casi non si arriva al femminicidio dall’oggi al domani, ci sono fattori di rischio, anni di violenze subite, molto spesso davanti agli occhi dei figli. Delmonte racconta delle numerose denunce sporte dalla mamma per le minacce che subiva dall’ex marito; D'Alba si chiede come mai al padre carabiniere – e quindi anche possessore di un’arma da fuoco – fosse stato permesso di vivere nella casa di fronte alla loro, nonostante la denuncia della madre e la presenza di due bambine minori. “La politica si riempie la bocca il 25 novembre, l’8 marzo e in prossimità delle campagne elettorali, poi tutto dimenticato. Non è una questione di soldi, ma di interesse. Servono progetti seri, di sistema, progetti di prevenzione nelle scuole. Serve una nuova educazione”, conclude l’avvocata Busia.


Il documentario Davanti ai miei occhi, su Rai2 il 5 dicembre

La storia di Noemi D'Alba, insieme a quella di altri due orfani di femminicidio, Giovanna Cardile e Nicolò Maja, verrà raccontata nel documentario Davanti ai miei occhi che sarà trasmesso in prima serata su Rai2 il 5 dicembre 2024. Ripercorreranno le loro storie, dagli anni che hanno preceduto il femminicidio, al racconto del momento fino ai fatti avvenuti dopo. Tutti e tre erano presenti al momento del femminicidio della madre. Il documentario è stato realizzato da Next Different in collaborazione con Rai Documentari, con la regia di Fabio Villoresi e la sceneggiatura di Massimo Chiellini e Sara Filippelli.

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