2 gennaio 2025
L’obiettivo dichiarato era quello di snellire e accelerare le procedure d’asilo. L’effetto è quello opposto. Oltre alle parole, l’insofferenza del governo verso i limiti posti dal diritto in materia di immigrazione si è tradotta in scelte concrete, che hanno avuto e avranno un impatto su tutta la catena di attori coinvolti nel riconoscimento della protezione internazionale. Dalle commissioni territoriali, intasate dalle procedure accelerate, alle corti d’appello, a cui il recente decreto flussi ha attribuito nuove competenze.
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"I ritmi sono diventati incessanti. L’interazione con il richiedente si è ridotta all’osso e il lato umano compresso. Prima c’era la possibilità di ascoltarlo anche per diverse ore, di riconvocarlo con il mediatore nel caso di potenziale vittima di tratta, per permettergli di elaborare e raccontare tutto. Adesso vediamo solo fascicoli da smaltire"
"La parola d’ordine è decidere, smaltire". A parlare, in forma anonima per evitare conseguenze disciplinari, è un membro della commissione territoriale di Roma, uno dei venti organi incaricati di ascoltare i richiedenti asilo e decidere se hanno diritto o meno a restare in Italia. A lavialibera racconta l’impatto del sempre maggiore ricorso alle procedure accelerate, che impongono tempi più stretti per trattare le domande d’asilo di chi proviene da paesi sicuri o è sottoposto a trattenimento: "I ritmi sono diventati incessanti. L’interazione con il richiedente si è ridotta all’osso e il lato umano compresso. Prima c’era la possibilità di ascoltarlo anche per diverse ore, di riconvocarlo con il mediatore nel caso di potenziale vittima di tratta, per permettergli di elaborare e raccontare tutto. Adesso vediamo solo fascicoli da smaltire".
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Il risultato paradossale è che la trattazione prioritaria delle procedure accelerate ha portato ad accumulare ritardi su quelle ordinarie, per le quali i tempi d’attesa superano spesso l’anno. Il funzionario racconta addirittura di tensioni nei centri d’accoglienza tra i richiedenti che "saltano la fila" perché rientrano nelle condizioni dell’iter rapido e chi invece aspetta di essere ascoltato in commissione da mesi. Ma a patire queste scelte è anche chi sta dall’altra parte: "Da Salvini in poi è stato tutto un picconare le nostre competenze e stringere sui tempi. Siamo diventati dei meri passacarte, esecutori di fascicoli – continua –. Da tempo chiediamo l’attivazione di un supporto psicologico, perché spesso ci troviamo di fronte persone aggressive, oppure che non smettono di piangere. Per questo molti dei miei colleghi hanno lasciato".
Informazioni raccolte da lavialibera raccontano che la situazione non è diversa in altre commissioni, come quelle di Milano e Torino, mentre gli avvocati che assistono i richiedenti denunciano ritardi insostenibili e mancate risposte alle mail e alle richieste di accesso agli atti. Per far fronte alle richieste, lo scorso maggio il ministero dell’Interno ha disposto l’assunzione di 118 funzionari da collocare nelle commissioni territoriali, tra cui le sezioni speciali di Roma istituite ad hoc per trattare le domande dei richiedenti trattenuti in Albania, attingendo però dal concorso del ministero dell’Economia, che non richiede alcuna competenza specifica nell’ambito della protezione internazionale. Un decreto del 2019 prevedeva inoltre l’apertura di due sezioni aggiuntive a Matera e Ragusa, che però non sono mai entrate in funzione. Contattato da lavialibera, il Viminale non ha fornito chiarimenti.
Sul fronte giustizia, a finire nel mirino dell’esecutivo sono state anche le sezioni specializzate in immigrazione dei tribunali ordinari, a cui il decreto Cutro del 2023 aveva attribuito il compito di convalidare o meno il trattenimento dei richiedenti asilo sottoposti a procedura accelerata di frontiera. Incombenza che ha richiesto uno sforzo di riorganizzazione non indifferente: fonti del tribunale di Catania, a cui sono state sottoposte da allora 65 richieste di convalida per il centro di Modica, tutte rigettate, parlano a lavialibera di una "rivoluzione", uno "stravolgimento". I tempi contingentati per le convalide (48 ore per convocare l’udienza, altrettante per la decisione) hanno costretto la sezione a stabilire turni per garantire una reperibilità costante, anche nei giorni solitamente non lavorativi.
Ora però il fardello passerà alle corti d’appello: è l’effetto del cosiddetto “emendamento Musk”, contenuto nel decreto Flussi convertito in legge lo scorso 4 dicembre e intitolato al magnate che, dopo la decisione del tribunale di Roma di ordinare il rilascio dei migranti portati in Albania, aveva commentato su X: "Questi giudici devono andarsene". Detto fatto: il testo stabilisce che a decidere sulla convalida e l’eventuale proroga del trattenimento dei richiedenti asilo non saranno più le sezioni immigrazione dei tribunali ordinari, ma le corti d’appello, con possibilità di ricorso in Cassazione. "Non se ne comprende il senso – dice a lavialiberaAlessandra Maddalena, vicepresidente dell’Associazione nazionale magistrati –. Togliere competenze alle sezioni specializzate perché hanno preso decisioni sgradite non solo finirà per rallentare il sistema giustizia, ma sottintende un’accusa gravissima: che i giudici utilizzino la loro funzione per fare politica".
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Altra novità del decreto Flussi è l’introduzione del reclamo sulle decisioni cautelari delle sezioni specializzate, cioè la possibilità di ricorrere in appello quando il giudice di primo grado decide di sospendere per "gravi e circostanziate ragioni" l’espulsione di un migrante a cui è stata negata la protezione internazionale. Combinate, queste modifiche procedurali imporranno "la necessità, per ciascuna corte d’appello, di ripensare l’intera distribuzione delle risorse umane al fine di gestire efficacemente e smaltire la mole di procedimenti collegiali che giungeranno in materia di protezione internazionale", come ha denunciato il Consiglio superiore della magistratura (Csm) in una delibera approvata lo scorso 4 dicembre.
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Pronunciarsi su questioni che hanno a che fare con una materia complessa come il diritto dell’immigrazione, poi, richiede una formazione specifica che al momento i giudici d’appello non hanno e che certamente non possono acquisire nei 30 giorni previsti dal decreto per la riorganizzazione. Il testo originario prevedeva una generica ingiunzione ai magistrati a "curare la propria formazione, con frequenza almeno annuale, in materia di protezione internazionale", che però è scomparsa in fase di conversione. "A organico e finanza invariati – continua Maddalena – questo aumento improvviso di competenze rallenterà e renderà più difficile il lavoro delle corti in altri settori altrettanto sensibili, come quello della famiglia e dei minori". Anche da Magistratura Indipendente, la corrente conservatrice, si segnala il possibile "tracollo del sistema". Il rischio, denuncia la delibera del Csm, è quello di "pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi fissati per il settore giustizia dal Pnrr" in termini di efficienza, tempestività del giudizio e smaltimento degli arretrati. Con conseguenze per tutti.
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