
Altro che Oscar, No Other Land è da Nobel
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1 marzo 2025
Il progetto e l’identità di Libera sono scritti da trent’anni nel suo nome. Fin dall’inizio del cammino, infatti, ci siamo dati un orizzonte d’impegno vasto, scegliendo di appellarci al bene più prezioso, quello da cui dipendono tutti gli altri: la libertà. Libertà dalle mafie, certo. Dalla corruzione, dall’illegalità e dal malaffare. Però non solo! Perché già nel 1995, e poi in maniera via via più chiara, abbiamo coltivato la consapevolezza che tutti quei problemi non fossero altro che la manifestazione più virulenta di malattie sociali antiche e radicate, che tengono prigioniere le persone: povertà, ingiustizie, disuguaglianze, assuefazione agli abusi del potere.
Oggi vediamo che quei mali sono funzionali non solo al sistema mafioso, ma anche a molti sistemi di potere legale. Vediamo modelli politici più spregiudicati delle mafie stesse nel promuovere una visione dei rapporti sociali fondata sull’avidità e la sopraffazione dei deboli. Vediamo poteri legittimi che tollerano, imitano, utilizzano per vari scopi le consorterie di potere illegittimo, instaurando con loro rapporti di reciproco vantaggio. Dobbiamo avere il coraggio di ammetterlo: obiettivi e metodi del capitalismo liberista da un lato, e dei governi a tendenza autoritaria dall’altro, non sono meno criminali di quelli dei boss. Non ha più senso quindi, se mai lo ha avuto, parlare della criminalità organizzata come di un cancro che ammala il sistema. Perché le mafie non sono un mondo a parte, ma parte di questo nostro mondo malato, cinico e violento.
Trent'anni di Libera, la sfida è nel presente. L'editoriale di Elena Ciccarello
"I cittadini riconoscono la capacità di penetrazione economica delle cosche (...), mentre anche la corruzione come fenomeno parallelo è un elemento assodato. Questa conoscenza però non si traduce in ribellione, come accadeva trent’anni fa sull’onda emotiva delle stragi e di Tangentopoli"Luigi Ciotti
Osserviamole da vicino queste mafie, nel loro raffinato mimetismo, per capire qualcosa in più sul nostro presente. Rispetto a quelle delle stragi degli anni Novanta, oggi sono – o sembrano – meno aggressive e violente. Sono mafie tecnologiche, imprenditoriali e transnazionali, che nel nome degli affari hanno rinunciato a sfidare apertamente lo Stato e persino a farsi la guerra al proprio interno, preferendo quasi sempre agire sottotraccia: meno delitti, più profitti.
Malgrado questa trasformazione, gli italiani rimangono coscienti del problema. I dati sulla percezione del fenomeno mafioso, raccolti da Libera in collaborazione con l’istituto di statistica Demos, ci dicono che i cittadini riconoscono la capacità di penetrazione economica delle cosche, in particolare riguardo al sistema degli appalti e dei fondi pubblici, mentre anche la corruzione come fenomeno parallelo è un elemento assodato. Questa conoscenza però non si traduce in ribellione, come accadeva trent’anni fa sull’onda emotiva delle stragi e di Tangentopoli. Vediamo, invece, prevalere una forma pericolosissima di rassegnazione. Se i boss sono forti quanto prima, e sanno cogliere ancora meglio le opportunità di guadagno; se una parte della politica, dell’imprenditoria e dell’amministrazione pubblica è così sensibile alle lusinghe del denaro sporco… allora significa che questo marcio che abbiamo intorno non si può rimuovere, e tanto vale guardare oltre.
Il crimine organizzato sembra insomma diventato, agli occhi di molti cittadini e cittadine, un crimine “normalizzato”. E questa è una grande sconfitta sul piano culturale e civile! Ma, soprattutto, è un campanello d’allarme rispetto alla tenuta della democrazia, perché le persone pronte a chiudere gli occhi sul pericolo mafioso sono le stesse che si lasciano facilmente sedurre dai paradigmi politici che alle mafie si ispirano. Modelli come abbiamo detto autoritari, molto abili nel sostituire l’esercizio della responsabilità individuale con una falsa promessa di libertà, in realtà puro arbitrio del potente di turno.
L'editoriale di Luigi Ciotti sul primo numero de lavialibera: Costruire un mondo realmente diverso
"Non ci siamo mai montati la testa, cioè non ci siamo certamente illusi di aver vinto nessuna battaglia. Qualsiasi infondato entusiasmo, del resto, si sarebbe subito spento di fronte alle lacrime dei famigliari delle nuove vittime innocenti"
E noi? La nostra ambizione di una libertà invece piena e autentica, come l’abbiamo saputa declinare in questi trent’anni? Intanto, va detto che non ci siamo mai montati la testa, cioè non ci siamo certamente illusi di aver vinto nessuna battaglia. Qualsiasi infondato entusiasmo, del resto, si sarebbe subito spento di fronte alle lacrime dei famigliari delle nuove vittime innocenti, o ai boicottaggi continui ai danni delle cooperative che coltivano le campagne confiscate ai boss, o ai dati sempre in crescita sul narcotraffico, l’usura, il lavoro nero, i reati ambientali e la corruzione.
Se è vero che l’illegalità non arretra di un passo, questo non significa che siamo disposti a lasciarle conquistare ancora più terreno! E a chi ci dice che tanto le cose non cambieranno, rispondiamo che senza il grande impegno di molti per arginare il malaffare, oggi i parametri dell’illegalità e dell’ingiustizia nel nostro Paese sarebbero ancora peggiori.
Nando dalla Chiesa: "Così cambiò l'antimafia"
In questi trent’anni abbiamo investito senza sosta nell’educazione, con percorsi nelle scuole di ogni ordine e grado e in altre sedi dove si forma la coscienza civica delle giovani generazioni. Abbiamo accompagnato tante famiglie nella ricerca di verità e giustizia per i loro cari vittime della violenza mafiosa, e anche di riconoscimento e diritti per loro stesse. Abbiamo combattuto per un’attuazione sempre più efficace della legge sul riutilizzo sociale dei beni confiscati: proprio quella legge che vide la nostra prima, grande mobilitazione collettiva, con oltre un milione di firme raccolte fra il 1995 e il 1996. Abbiamo stimolato decine di realtà locali a farsi carico di quei beni, con percorsi di gestione trasparente che hanno avuto ricadute tanto simboliche quanto concrete, restituendo ricchezze importanti ai territori.
Abbiamo lavorato alla creazione di reti internazionali, portando la nostra esperienza in tre continenti: Europa, America Latina e Africa. Perché se le mafie si sono ormai globalizzate, anche l’azione di contrasto al loro dominio criminale deve stringere alleanze attraverso i confini. Abbiamo costruito percorsi “protetti” per tante donne che hanno scelto di allontanarsi insieme ai loro figli dalle famiglie mafiose di origine, e offerto alternative ai giovani precocemente inseriti nei circuiti criminali, affinché potessero cambiare strada e salvarsi la vita. Abbiamo collaborato col mondo dell’arte, della cultura e dello sport, per realizzare iniziative di sensibilizzazione capaci di arrivare al grande pubblico. Abbiamo puntato molto sulla ricerca e sull’informazione, e lavialibera è oggi un frutto di questo impegno. L’abbiamo fatto proprio per combattere quelle semplificazioni che da sempre indeboliscono la comprensione del fenomeno, piegandolo di volta in volta a logiche sensazionaliste, emotive o di spettacolo.
Oggi non siamo qui a vantarci o aspettarci un pubblico ringraziamento per tutte queste iniziative: perché non è nel nostro stile e, soprattutto, perché è evidente che l’impegno trentennale messo in campo, per quanto generoso, competente e appassionato, non è bastato. Siamo allora qui per rilanciare i nostri sforzi, provare a coinvolgere sempre più persone e difendere in ogni possibile sede quella libertà in nome e col nome della quale abbiamo dato vita alla nostra rete.
Volevamo e vogliamo un’Italia libera dalle mafie! Per questo dobbiamo liberarci da tanti, altri problemi che continuano a rappresentare delle opportunità per il crimine organizzato e per i suoi numerosi ammiratori, imitatori e fiancheggiatori.
Vogliamo liberarci dalle ingiustizie “legalizzate”, ossia tutte quelle situazioni che creano disparità nell’accesso ai diritti di base, causando sofferenza ai singoli e tensioni a livello sociale. Le povertà, materiali e culturali, sono le prime alleate delle mafie! Perché la gente quando non ha di che vivere né strumenti per comprendere la realtà, cede molto più facilmente ai ricatti e ai “favori” dei clan.
Vogliamo liberarci dalla legalità intesa come “totem”, perché la legalità è soltanto un mezzo e la giustizia sempre il fine. Una legge deve “meritarselo” il rispetto dei cittadini, dimostrando di essere coerente con i princìpi costituzionali! Le leggi che quei princìpi invece li calpestano, devono essere denunciate e cambiate.
Vogliamo allora liberarci dalla disumanità che da anni, ad esempio, ispira le norme contro le persone migranti. Si possono fare leggi per governare i fenomeni, ma non per schiacciare le persone, mettere a rischio le loro vite, rinchiuderle dentro un limbo di invisibilità che rende l’illegalità una scelta quasi obbligata. Oggi lo Stato regala manodopera alle mafie, impedendo a uomini e donne di origine straniera di mettersi in regola per guadagnare onestamente da vivere.
Vogliamo liberarci dalle disuguaglianze sempre più marcate fra chi possiede ricchezze esorbitanti e chi non sa come arrivare a fine mese. O anche fine giornata.
Vogliamo liberarci dalle logiche aziendaliste, che pretendono di trasformare dei presidi di democrazia al servizio di tutti, come la sanità e la scuola, in centri per il profitto di pochi.
Vogliamo liberarci da quella precarietà del lavoro e delle condizioni abitative, che si traduce per tante persone e famiglie in una precarietà esistenziale a tutto tondo: inaccessibilità dei diritti, paura del futuro, rinuncia a diventare genitori, disagio mentale e forme di dipendenza.
Vogliamo liberarci dalle sottovalutazioni, e dire chiaramente che con le mafie non si può convivere! Perché le attività mafiose producono una voragine sempre più ampia nel “bene comune”, che è premessa del benessere dei cittadini di oggi e anche delle generazioni future.
Vogliamo liberarci dall’inerzia e dalla rassegnazione. Dalla paura di cambiare.
Il cambiamento è vita, e se Libera è arrivata a questo traguardo dei trent’anni è anche perché ha saputo cambiare, senza tradire le sue motivazioni iniziali ma arricchendole di nuove riflessioni e nuovi filoni di intervento. E sullo sfondo c’è sempre il desiderio di liberare chi ancora non è libero nel nostro Paese.
Da lavialibera n° 31, È tempo di muoversi
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NUMERO SPECIALE: Libera compie trent'anni e guarda avanti: l'impegno per l'affermazione della libertà contro ogni forma di potere mafioso è più che mai attuale
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