Don Peppe Diana durante una celebrazione (Foto dal sito della Diocesi di Aversa)
Don Peppe Diana durante una celebrazione (Foto dal sito della Diocesi di Aversa)

Don Diana, due documenti inediti raccontano il suo impegno civico contro la camorra

Il video di un intervento in una scuola e una lettera pubblica in vista delle elezioni a Casal di Principe dopo il commissariamento portano una nuova luce sull'opera del prete assassinato dalla camorra: "Ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: 'Che ci stiamo a fare qua se assistiamo impotenti a certe storie?'. Vengono qui solo con le bare"

Toni Mira

Toni MiraGiornalista e componente del comitato scientifico de lavialibera

31 marzo 2025

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Due documenti di don Peppe Diana. Quasi inediti, dimenticati, trascurati, sottovalutati, ma importantissimi per conoscere meglio il parroco di Casal di Principe ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994. Due documenti per capire le sue idee da sacerdote, uomo di grande fede e capace di parole molto forti sui temi della giustizia e della politica.

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Il primo è il video di una sua intensa testimonianza, il 12 aprile 1992, con gli studenti dell’istituto “Enrico Fermi” di Caserta. È emozionante vederlo, ascoltare la sua voce, sentire le sue profonde analisi della situazione nel territorio e sul ruolo dei cristiani. Spiega le motivazioni del documento “In nome del mio popolo non tacerò”, firmato da tutti i parroci della forania di Casal di Principe e distribuito a Natale 1991, dando molto fastidio alla camorra. Appena tre mesi prima. “Per noi è stata un’esperienza nuova. Ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: 'Che ci stiamo a fare qua se assistiamo impotenti a certe storie?'. Vengono qui solo con le bare. Ultimamente ho celebrato nella mia parrocchia un funerale con tre bare a terra. Sono scene che alle volte immaginiamo attraverso i televisori e invece no, è la realtà. Ebbene, ci siamo detti: 'Quale è il nostro ruolo? La gente ha fiducia in noi?'”.

Poi risponde alle domande dei ragazzi. “Che cosa è l’omertà nelle nostre zone? L’omertà significa non tanto nascondere le cose perché poi alla fine tutti sanno quello che avviene, perfino i bambini. L’omertà invece è crearsi dentro la cultura 'adesso me ne frego degli altri'”. Gli chiedono se abbia mai confessato dei camorristi. “Devo essere sincero, ho avuto nella mia vita di sacerdote solo due volte il piacere, e dico piacere non perché ci provo gusto, no anzi. Forse era un segno di Dio confessare due camorristi, uno perché ormai stava alla fine della sua vita e quindi forse in quel momento sentiva che tutto ciò che aveva costruito se ne andava. Gli altri non vengono perché la voce della coscienza non c’è, e se manca la voce dentro di noi non so cosa devo confessare. Nella storia biblica solo un uomo è stato marchiato per sempre e sapete chi è? È Caino. E perché è stato marchiato per sempre? Perché aveva ucciso suo fratello. Ebbene questo marchio ancora oggi è in mezzo a noi e noi lo dobbiamo combattere. In che modo? Attraverso la parola, attraverso la testimonianza, attraverso la solidarietà”.

Don Peppe Diana, ucciso dalla camorra, vivo tra la gente

Un’altra domanda è se hanno paura di essere esposti in prima linea. “Non c’è paura perché non hanno cosa dirci, di cosa devono rimproverarci? Che forse stiamo parlando di bene, che forse stiamo parlando di progettualità d’amore, che forse stiamo parlando di costruire insieme una società giusta e degna”. Una convinzione che fa tremare, visto che appena due anni dopo proprio le sue parole spinsero la camorra a sparargli. Ma don Peppe non tace, e aggiunge un’analisi spietata della camorra. “Ciò che manca alla nostra realtà, alle nostre zone è l’amore. Il camorrista è uno che non sa amare. Se sapesse amare, cari giovani, veramente la camorra non avrebbe senso perché la forza della camorra dove sta? Sta nell’odio, nella vendetta”.

“Il profeta è come la sentinella, vede l’ingiustizia, la denuncia, e richiama il progetto di Dio che è un progetto di amore”

Una realtà sulla quale don Peppe non intende tacere. “Il profeta è come la sentinella, vede l’ingiustizia, la denuncia, e richiama il progetto di Dio che è un progetto di amore”. E lo fa disarmato. “A voi le pistole, a noi la parola, è uno slogan nostro. Questo slogan dice chiaramente che dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita. Noi riteniamo che la parola, quella vera, non quella fatta di chiacchiere, fatta di sogni vuoti, ma la parola che si basa su Dio, è qualche cosa di grande. E quando la parola è annuncio e denuncia, allora si mette la gente di fronte alla responsabilità”. È l’invito all’impegno di tutti. “Se noi riusciamo innanzitutto dentro di noi a creare la coscienza del bene comune, la coscienza del rispetto, se riusciamo a creare i rapporti interpersonali come rapporti di solidarietà, di giustizia, è ovvio che alle istituzioni saremo noi a procurare il bene, non saranno le istituzioni a procurare a noi il bene. Questo è quello che dovremmo fare noi insieme”. Con un ultimo forte appello “Quando noi portiamo sulle nostre spalle il peso della camorra, portiamo il peso della morte. Mettiamo da parte la morte e passiamo alla vita. E la vita significa vivere con gli altri, significa volersi bene, significa costruire una società a misura d’uomo”.

L'appello dei parroci di Casal di Principe per le elezioni comunali

“Il nostro Sud, i nostri paesi hanno bisogno di una 'Religione della responsabilità', che coinvolga permanentemente gli uomini di cultura, i politici, gli amministratori, i sindacati, in una parola il popolo tutto, perché ciascuno si senta vero protagonista”

Il secondo documento è dell’autunno 1993 e il titolo è “Appello dei parroci di Casal di Principe in vista del 21 novembre 1993”. I parroci sono gli stessi che avevano firmato il famoso documento “Per amore del mio popolo” di due anni prima. Questo è più breve, ma molto politico e di estrema attualità. Fa riferimento infatti alla data delle elezioni comunali indette dopo un commissariamento di due anni deciso dal governo il 30 settembre 1991 per condizionamento della camorra, il quarto comune sciolto per questi motivi dopo l’approvazione del decreto legge n.164 del 1991 che aveva introdotto nel nostro ordinamento questa grave procedura.

Si torna quindi al voto e don Peppe e gli altri parroci intervengono con parole molto chiare e forti. E lo fanno iniziando con la citazione di un importante documento della Conferenza episcopale italiana del 18 ottobre 1989, Chiesa italiana e il Mezzogiorno. I vescovi italiani avevano scritto che la Chiesa ha il compito di intervenire sulla “coscienze per ridimensionare questa politica deviata e deviante e stimolare una crescita della società civile, dello stesso mercato e del genuino senso della comunità politica, altrimenti il Mezzogiorno mai potrà raggiungere maturazione e autonomia sul piano economico e produttivo come su quello sociale e civile”.

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Don Peppe e gli altri parroci vanno oltre denunciando come “la devianza oggi è malavita organizzata, struttura di peccato, autentico cancro della società meridionale”. E indicano un cammino da percorrere. “Il nostro Sud, i nostri paesi hanno bisogno di una 'Religione della responsabilità', che coinvolga permanentemente gli uomini di cultura, i politici, gli amministratori, i sindacati, in una parola il popolo tutto, perché ciascuno si senta vero protagonista”. È davvero una chiamata alla responsabilità in particolare alla Chiesa, perché “oggi più che mai spetta alla comunità cristiana individuare le scelte e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche che si palesano urgenti e necessarie in molti casi”.

E qui don Peppe e gli altri parroci si collegano alle prossime elezioni comunali. “Il 21 novembre ’93 rappresenta per noi una opportunità unica: dimostrare che abbiamo capito che 27 mesi di commissariamento ci hanno ridato la voglia di responsabilità e di autogestirci”. Ricordano che anche il vescovo di Aversa, la diocesi di Casal di Principe, Lorenzo Chiarinelli ha pubblicato un documento – intitolato Coraggio popolo tutto! – incoraggiando “tutti noi al senso di responsabilità, di riappropriazione dei nostri diritti e di promozione del territorio". I parroci non usano mezze parole e vanno dritti ai temi politici. “Come Chiesa casalese lanciamo il nostro appello, accorato, a tutti gli uomini di buona volontà, affinché questa tornata elettorale non sia una 'nuova burla'. Casale è nostro, i nostri padri non di certo la volevano ridotta così, a una sorta di negativo feudalismo medievale”.

C’è anche autocritica nelle parole di don Peppe e dei suoi confratelli ma anche l’annuncio di un nuovo e forte impegno, quel “non tacere” del documento del Natale 1991. “Come pastori ci sentiamo le sentinelle del gregge, e se non sempre siamo stati vigili e attenti, stavolta il coraggio della profezia e la coscienza profonda di essere 'lievito nella pasta' ci impongono di non tacere di fronte alle lentezze degli interventi, le promesse non mantenute, le disfunzioni di alcune istituzioni, la non trasparenza delle gestioni, la presenza di meccanismi perversi che favoriscono l’emergere e il prevalere di poteri alternativi (camorra, usura, delinquenza organizzata e spicciola)”.

Un appello, quattro destinatari per una politica rinnovata

“Invitiamo i camorristi a tenersi in disparte e non inquinare e ancora una volta affossare questo nostro caro paese, che ormai ha solo bisogno di 'Resurrezione'”

Quattro gli appelli molto chiari e diretti che i parroci lanciano. Il primo è ai politici “vecchi e nuovi”: “Non improvvisate più, non è possibile governare senza una vera scuola di politica. Oggi c’è bisogno di tecnici, di onesti e sani amministratori, che al di là delle ideologie abbiano ben chiaro l’obiettivo su cui costruire: elevare la dignità dei valori dell’urbe”. C’è poi l’appello ai cittadini, raccomandando “di essere più attenti nelle scelte, individuando al di là di personalismi e favoritismi, l’uomo giusto e pulito che possa veramente interpretare i bisogni della collettività”. Non manca un appello ai giovani, coi quali don Peppe lavorava molto, con “l’invito a farsi avanti, a far sentire la propria voce e partecipare al dialogo culturale, politico e civile della vita comunale, nello sforzo di costruire la città del futuro a dimensione umana”. Proprio quei giovani che dopo la morte di don Peppe diventarono protagonisti della resistenza alla camorra e della rinascita di Casal di Principe e che già erano molto attivi accanto al loro parroco, provocando il malcontento dei camorristi. E proprio a questi ultimi si rivolge l’ultimo appello dei parroci. “Invitiamo i camorristi a tenersi in disparte e non inquinare e ancora una volta affossare questo nostro caro paese, che ormai ha solo bisogno di 'Resurrezione'”.

Alle elezioni viene eletto Renato Natale del Pci, medico degli emarginati, fondatore dell’associazione Jerry Masslo che dà assistenza sanitaria agli immigrati, in particolare alle prostitute. Amico di don Peppe, impronta la sua attività sui temi della giustizia e dei diritti. Non mancano scontri diretti col clan dei casalesi quando decide di pedonalizzare il centro cittadino. È “la guerra dei paletti” che ogni notte vengono divelti e scaricati davanti alla casa di Natale per poi essere ripristinati dal Comune. Sempre davanti alla sua abitazione nel pieno centro del paese vengono scaricate tonnellate di letame di bufala. E viene predisposto un piano per la sua uccisione, simulando un incidente automobilistico sfruttando la sua abitudine di passeggiare in bicicletta. Ma fallisce. Non l’uccisione di don Peppe.

Appena 8 mesi dopo l’omicidio, Natale viene sfiduciato dalla sua stessa maggioranza grazie a delle infiltrazioni camorristiche. Proprio l’esatto contrario di quanto auspicato dall’appello dei parroci casalesi. Solo 20 anni dopo, nel 2014, Renato Natale torna a candidarsi e viene nuovamente eletto sindaco, confermato poi cinque anni dopo. Una nuova storia per Casal di Principe, proprio quella per la quale si erano esposti don Peppe e i suoi confratelli.

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