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1 maggio 2025
Come ogni anno, anche in questo 25 aprile abbiamo ricordato la Liberazione dal nazifascismo. Ma perché un anniversario così significativo non resti solo rito, vorrei prendermi il tempo di riflettere, ancora una volta e a distanza di giorni, sul senso e sull’eredità di quella lotta. Non solo nella memoria, ma nella sostanza.
C’è stata una resistenza senza fucile: gli scioperi nelle fabbriche del Nord, con operai deportati per il loro coraggio; le donne che hanno ospitato partigiani e alleati, che hanno sostituito gli uomini dove ce n’era bisogno e che hanno fatto le staffette senza mai impugnare un’arma
Di quel 25 aprile del 1945 vorrei ricordare almeno due cose. Anzitutto, che non fu solo liberazione dal nazifascismo, ma che segnò anche la fine della seconda guerra mondiale, una tragedia che aveva causato la morte di 50 milioni di persone. Credo, come Giuseppe Dossetti, che la nostra Costituzione non sia nata solo dalla Resistenza, ma pure dalla consapevolezza di quella catastrofe, che ha forgiato gli animi e che forse, proprio per questo, ha contribuito a inaugurare una nuova era.
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In secondo luogo, che la Liberazione è stata anche un fatto di popolo, non solo la lotta – fondamentale – di una minoranza armata che nel corso di mesi è riuscita a creare consenso attorno a sé. C’è stata una resistenza senza fucile: gli scioperi nelle fabbriche del Nord, con operai deportati per il loro coraggio; le donne che hanno ospitato partigiani e alleati, che hanno sostituito gli uomini dove ce n’era bisogno e che hanno fatto le staffette senza mai impugnare un’arma.
Fu un popolo che, dopo anni di indifferenza, trovò il coraggio della ribellione. Per questa ragione il 25 aprile dovrebbe essere vissuto come la festa di tutti, non di una parte. Di chi crede nella libertà, nella democrazia, nella dignità dell’uomo. Chi non si riconosce in quella giornata, sceglie di tirarsi fuori da quella comunità che lottò per dare un futuro a tutti. Anche a chi oggi la rinnega. Eppure, proprio questo sta accadendo ed è un fatto grave. Perché la nostra Costituzione è antifascista. I suoi valori – la dignità della persona, il valore delle istituzioni, la partecipazione, lo stato di diritto, la libertà, la separazione dei poteri, il ripudio della guerra – sono l’opposto del fascismo. E oggi quei valori sono a rischio come mai era accaduto in questi ottant’anni.
Celebrare l’ottantesimo anno della Liberazione dovrebbe darci il coraggio di ammettere la crisi dell’Occidente. Le democrazie europee, che hanno fatto dei diritti umani, dello Stato sociale e della laicità i loro pilastri, si sgretolano sotto i colpi di derive autocratiche. La pace, che in Italia è sancita dall’articolo 11 della Costituzione come ripudio della guerra come forma di aggressione nei confronti degli altri popoli, ma anche come strumento per risolvere le controversie internazionali, è minacciata. Il conflitto in Ucraina e i crimini a Gaza mostrano che l’attacco armato è tornato a essere considerato uno strumento “normale”. L’Europa oggi si arma e non fa abbastanza per fermare queste atrocità.
Celebrare gli ottant’anni della Liberazione significa allora riconoscere che la democrazia non è garantita per sempre e che può regredire. Anzi, che sta già regredendo. Di fronte a tutto questo le classi dirigenti si dimostrano drammaticamente inadeguate. Guardiamo ai leader mondiali – Vladimir Putin, Donald Trump, Benjamin Netanyahu – e vediamo personaggi pericolosi, capaci di azioni imprevedibili. Ma guardiamo anche ai nostri governanti: in questo tunnel di smarrimento, non si intravede una guida capace di invertire la rotta.
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"Eppure penso anche che l’unica soluzione sia lottare per un’Europa diversa, per un’Italia diversa, per un Occidente diverso, per un mondo diverso"
Noi, la generazione nata dopo la guerra, abbiamo ricevuto molto: democrazia, scuola pubblica, sanità, diritti. Ma stiamo restituendo precarietà, disuguaglianze, crisi ecologica, guerre vicine e lontane. Abbiamo ereditato una casa e stiamo lasciando macerie. Perciò credo che i giovani di oggi abbiano perfettamente ragione a non riconoscersi in questa Europa. Eppure penso anche che l’unica soluzione sia lottare per un’Europa diversa, per un’Italia diversa, per un Occidente diverso, per un mondo diverso. Non c’è alternativa, l’alternativa è lasciare che vincano loro. Bene, quindi, che si sia tornati a riempire le piazze.
Però occorre fare il passo successivo, che non è bruciare la bandiera dell’Europa, ma ricucire gli strappi per farla diventare più grande. Questo è il momento dei popoli, perché sono i popoli che non vogliono le guerre e non accettano le disuguaglianze, dato che sono i primi a pagarle. La liberazione dell’Italia è stata anche una resistenza di popolo, e oggi serve una nuova riscossa popolare per invertire questa fase regressiva. Non c’è altra via: o i popoli si riprendono il loro futuro, o prevarranno coloro che con il 25 aprile non hanno nulla a che fare, lasciando l’Europa a disgregarsi. Il cambiamento non verrà da chi ha costruito questo presente insostenibile, ma da chi avrà il coraggio di immaginare e praticare altre strade. Abbiamo bisogno di una nuova Liberazione, ricca di contenuti e di speranza. Le condizioni ci sono tutte: non aspettiamo che sia troppo tardi.
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