

Chi fornisce le armi a Israele? L'Italia prende tempo, ma intanto acquista da Tel Aviv

1 giugno 2025
A partire dagli anni ’90, con l’invenzione di Internet e la costante evoluzione delle tecnologie digitali, la società è stata attraversata da profonde trasformazioni. Questo cambiamento ha riguardato anche la criminalità che ha assunto forme e dinamiche inedite a cui prestare una particolare attenzione.
Il digitale ha rappresentato una nuova arena, ricca di opportunità, in cui estendere o trasferire attività illecite. In particolare, la rete Internet, grazie alla sua natura immateriale e transnazionale, consente agli attori criminali non solo di raggiungere un numero molto più ampio di vittime, ma anche di individuare facilmente potenziali complici attraverso molteplici canali online. La possibilità di navigare ricorrendo a pseudonimi e di utilizzare sistemi di crittografia permette inoltre di operare in relativa sicurezza, rendendo complesso il processo di identificazione dei singoli utenti.
“Oggi le reti criminali, le reti mafiose e anche le reti terroristiche sono reti cibernetiche”Giovanni Melillo - Procuratore nazionale antimafia
Questo scenario pone dunque nuove e complesse sfide alle forze di polizia e alle altre agenzie di contrasto, costrette non soltanto ad acquisire conoscenze tecniche sempre più elevate, ma anche a gestire delicati problemi di cooperazione internazionale e conflitti di giurisdizione. Negli ultimi anni, poi, l’accessibilità crescente delle tecnologie digitali – più semplici da usare ed economicamente alla portata di tutti – ha ampliato molto la platea di chi può entrare nel mondo del cybercrime. Peraltro, eventuali lacune in termini di competenze o strumenti possono essere colmate in maniera facile acquistando servizi specializzati messi a disposizione da altri attori criminali sulla rete.
La crescente rilevanza della dimensione cibernetica nel panorama criminale ha suscitato un significativo allarme tra le agenzie investigative e gli esperti di cybersicurezza. Da un lato, si rileva l’interesse sempre maggiore che i clan mafiosi manifestano verso il settore digitale, ormai considerato un asset strategico sia sul piano organizzativo, sia su quello operativo. Emblematiche, in questo senso, sono le parole del procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo che, durante un’audizione davanti alla commissione parlamentare antimafia lo scorso anno, ha affermato: “Oggi le reti criminali, le reti mafiose e anche le reti terroristiche sono reti cibernetiche”.
Il procuratore antimafia Giovanni Melillo: "Tra mafie e mondo cyber, relazioni profonde"
Dall’altro lato, si osserva un aumento della componente organizzata del cybercrime, che da fenomeno costituito soprattutto da singoli hacker si è trasformato in articolati network, fluidi e transnazionali. Questo genere di criminalità è ritenuto insidioso per la sua capacità di generare ingenti profitti con rischi relativamente contenuti e senza destare particolare allarme sociale.
Dall’ampia documentazione giudiziaria su gruppi criminali operanti, in tutto o in parte, online, e dall’analisi sociologica di alcuni casi studio si può provare a spiegare in che modo mutano le mafie, storicamente radicate nel mondo fisico, quando si confrontano con la dimensione cibernetica; oppure come si organizzano e operano quei gruppi criminali che nascono e si sviluppano interamente in un ambiente immateriale, fluido e deterritorializzato come quello di internet.
L’esame delle fonti ha restituito un panorama molto variegato. Le forme di criminalità nate sulle piattaforme digitali – come ad esempio i criptomercati o le comunità online di pedofili – si strutturano secondo organizzazioni peculiari, inedite, difficilmente riconducibili agli schemi classici della criminalità organizzata. I primi funzionano come dei rudimentali portali e-commerce – come i portali chiamati Berlusconi Market e DeepSea –, dove gli utenti si accordano sulla compravendita di beni e servizi illegali (droga, armi, servizi di hacking, ecc.). Gli amministratori della piattaforma svolgono un ruolo chiave operando come intermediari di mercato: garantiscono le transazioni, gestiscono le controversie e implementano sistemi di reputazione dei venditori, contribuendo così a costruire un sistema di fiducia interno.
Le comunità online di pedofili invece non seguono una logica di mercato, ma si fondano su un principio di reciprocità. Su queste piattaforme gli utenti condividono materiale pedopornografico, contribuendo alla creazione di un archivio comune sulla base di meccanismi partecipativi che ricordano i modelli wiki di co-creazione. La partecipazione attiva è premiata con uno status privilegiato, che conferisce legittimazione e accesso a contenuti esclusivi. Gli amministratori della piattaforma attraverso un insieme di rigorose regole di condotta, oltre allo sviluppo della comunità, puntano a garantire la sicurezza interna, minacciata dall’intervento delle forze dell’ordine.
Diversa ancora è la configurazione assunta dai gruppi hacktivisti, i quali utilizzano piattaforme online rudimentali prevalentemente come social network. All’interno di questi spazi digitali poco regolati vengono diffusi i contenuti ideologici e politici e si cercano nuovi membri con cui organizzare attacchi informatici. È il caso, ad esempio, di Anonymous Italia.
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Un’ulteriore peculiarità del contesto digitale risiede nella minore centralità di pratiche di solito associate alla criminalità organizzata, come la violenza fisica o la corruzione sistemica. L’adozione di strumenti software consente infatti l’impiego di modalità operative più elusive e meno visibili, fondate sull’inganno, sull’ingegneria sociale e sulla manipolazione dei sistemi informatici.
Ne sono esempi emblematici i gruppi criminali dediti al phishing, che sottraggono credenziali e dati sensibili tramite finte comunicazioni ufficiali: il caso tipico è quello della mail che chiede di inserire le credenziali con una scusa: “La tua carta è stata bloccata per operazioni sospette, clicca nel link in descrizione e inserisci le tue credenziali”. Il link rimanda a un sito uguale a quello della banca che però è gestito dal phisher, che può così rubare le credenziali per l’accesso.
Ci sono poi le reti specializzate nello streaming illegale dei cosiddetti "pezzotti", dispositivi che trasmettono contenuti protetti provenienti da piattaforme di intrattenimento digitale a una utenza pagante.
Emblematica è la vicenda della società di investigazioni milanese Equalize, accusata di aver fornito alla clientela dati riservati, ottenuti in modo illecito. All’inizio, tali dati sarebbero stati reperiti tramite la corruzione di pubblici ufficiali con accesso a banche dati istituzionali; in una fase successiva, tuttavia, il ricorso alla corruzione avrebbe ceduto il passo a tecniche di intrusione informatica, con l’impiego di strumenti di hacking per accedere direttamente alle informazioni desiderate.
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Prepararsi ad affrontare queste minacce richiede non solo un adeguato investimento in nuove risorse, ma anche – e forse soprattutto – la costruzione di una solida cultura della sicurezza digitale
Vicende come questa sollevano questioni cruciali sul piano della cybersicurezza, ambito in cui l’Italia ha evidenziato negli ultimi anni diverse criticità. Il cybercrime si rivela quindi particolarmente pericoloso per la sua capacità di colpire settori sensibili e infrastrutture critiche – come banche dati, sistemi di pagamento e reti di comunicazione – che oggi sono sempre più digitalizzati e interconnessi. Prepararsi ad affrontare queste minacce richiede non solo un adeguato investimento in nuove risorse, ma anche – e forse soprattutto – la costruzione di una solida cultura della sicurezza digitale.
L’operatività mafiosa nel digitale, tuttavia, non è autonoma: richiede la collaborazione con figure esterne specializzate
In questo scenario la dimensione cibernetica pone ostacoli alle tradizionali manifestazioni del fenomeno mafioso. Nonostante il crescente interesse per il digitale, i clan mantengono un forte ancoraggio territoriale, poiché il loro core business – l’offerta di “protezione” – risulta difficilmente replicabile nello spazio immateriale e deterritorializzato di internet. Sulla rete, infatti, esercitare coercizione fisica per punire trasgressori o far rispettare accordi illeciti diventa molto complesso.
Esistono di certo modalità alternative di intimidazione in ambiente digitale – come il furto di dati o attacchi informatici – ma si tratta di tecniche che richiedono competenze avanzate, non possedute dai mafiosi. Non a caso, nel settore del gioco d’azzardo online i clan tendono a operare nei segmenti della filiera che conservano una componente territoriale.
Il digitale, tuttavia, sta assumendo un ruolo sempre più strategico per le organizzazioni mafiose: da un lato, consente di tutelare la riservatezza delle comunicazioni interne grazie all’uso di dispositivi criptati (come i cryptofonini); dall’altro, rappresenta una nuova frontiera per il riciclaggio di denaro sporco e l’accumulazione di profitti, offrendo canali relativamente sicuri e poco tracciabili. L’operatività mafiosa nel digitale, tuttavia, non è autonoma: richiede la collaborazione con figure esterne specializzate, capaci di fornire le competenze necessarie per agire nei contesti tecnologici.
I criptofonini, alleati dei narcos
Alla luce di queste trasformazioni, il concetto stesso di criminalità organizzata dovrebbe essere ripensato per via delle sfide analitiche poste dalla natura fluida, transnazionale e tecnologicamente mediata delle nuove forme di illegalità. Servono nuovi strumenti interpretativi per cogliere le specificità del contesto digitale.
La crescente complessità e sofisticazione delle pratiche criminali online richiede, infatti, una riflessione continua e dinamica, capace di andare oltre gli approcci tradizionali per elaborare strategie adeguate a un panorama in costante mutamento. Si tratta di un fenomeno che, pur rappresentando una minaccia concreta e diffusa, non è ancora pienamente compreso nei suoi meccanismi e nelle sue implicazioni di lungo periodo.
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