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1 luglio 2025
Davide contro Golia. Da una parte, l’immensa stazione elettrica di Selargius, pochi chilometri a nord di Cagliari: dieci ettari di superficie delimitati da mura di cemento oltre le quali passano solo i cavi retti dai tralicci. Di fronte, una capanna in legno costruita con assi di recupero: è Sa barracca de su padru, presidio degli attivisti che lottano per impedire gli espropri e la posa del Tyrrhenian link, l’enorme cavo sottomarino che dal 2028 dovrebbe portare l’energia rinnovabile prodotta in Sardegna verso la penisola, passando per la Sicilia.
Roghi in Sardegna, il sistema antincendio c'era
"Non lo vogliamo né qui né altrove – spiega a lavialibera Agostino Atzeni, portavoce del comitato No Tyrrhenian Link –. Non accettiamo che la Sardegna torni a essere una colonia, come è stato in passato con il carbone e l’alluminio". A fine gennaio la baracca è stata bruciata in un incendio, per poi essere ricostruita dagli attivisti. Quattro mesi prima, a essere divorati dalle fiamme erano stati duemila pannelli fotovoltaici pronti per la posa a Tuili, nell’entroterra dell’isola. Due episodi, si presume dolosi, che raccontano come quello delle energie rinnovabili sia oggi un caldissimo terreno di scontro sociale e politico.
La scorsa estate il governo ha emanato un decreto che impone alla regione di raggiungere entro il 2030 6,2 GW aggiuntivi di energia da fonti rinnovabili, a fronte dei 3,5 attuali. Ma i progetti di impianti eolici e fotovoltaici per cui è stata presentata una richiesta di allaccio alla rete sono oltre 700, per una potenza complessiva superiore ai 50 GW, sproporzione che ha alimentato i timori di una “invasione” di pale e pannelli.
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