Rinnovabili, Sardegna ad alta tensione

Tra sabotaggi e battaglie legali, nell'isola si accende lo scontro sulle rinnovabili. Il governo chiede più impianti, regione e comitati denunciano un nuovo colonialismo

Paolo Valenti

Paolo ValentiRedattore lavialibera

1 luglio 2025

Davide contro Golia. Da una parte, l’immensa stazione elettrica di Selargius, pochi chilometri a nord di Cagliari: dieci ettari di superficie delimitati da mura di cemento oltre le quali passano solo i cavi retti dai tralicci. Di fronte, una capanna in legno costruita con assi di recupero: è Sa barracca de su padru, presidio degli attivisti che lottano per impedire gli espropri e la posa del Tyrrhenian link, l’enorme cavo sottomarino che dal 2028 dovrebbe portare l’energia rinnovabile prodotta in Sardegna verso la penisola, passando per la Sicilia.

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"Non lo vogliamo né qui né altrove – spiega a lavialibera Agostino Atzeni, portavoce del comitato No Tyrrhenian Link –. Non accettiamo che la Sardegna torni a essere una colonia, come è stato in passato con il carbone e l’alluminio". A fine gennaio la baracca è stata bruciata in un incendio, per poi essere ricostruita dagli attivisti. Quattro mesi prima, a essere divorati dalle fiamme erano stati duemila pannelli fotovoltaici pronti per la posa a Tuili, nell’entroterra dell’isola. Due episodi, si presume dolosi, che raccontano come quello delle energie rinnovabili sia oggi un caldissimo terreno di scontro sociale e politico.

La scorsa estate il governo ha emanato un decreto che impone alla regione di raggiungere entro il 2030 6,2 GW aggiuntivi di energia da fonti rinnovabili, a fronte dei 3,5 attuali. Ma i progetti di impianti eolici e fotovoltaici per cui è stata presentata una richiesta di allaccio alla rete sono oltre 700, per una potenza complessiva superiore ai 50 GW, sproporzione che ha alimentato i timori di una “invasione” di pale e pannelli.

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