La centrale di Drax, nel Regno Unito (Foto di Peter Roworth per Natural England. Da Flickr)
La centrale di Drax, nel Regno Unito (Foto di Peter Roworth per Natural England. Da Flickr)

La direttiva Ue sulle rinnovabili finanzia gli impianti a biomasse per emettere CO2

In Europa il 60 per cento dell'energia considerata verde è ottenuta dalla combustione di biomasse, soprattutto legna, che contribuiscono alla deforestazione mondiale

Francesca Dalrì

Francesca DalrìGiornalista, il T quotidiano

10 dicembre 2021

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"Quando parliamo di energie rinnovabili tutti pensano all’eolico e al fotovoltaico, ma in Europa il 60 per cento è bioenergia ottenuta dalla combustione di biomasse, soprattutto legno, che di green non ha niente". Ariel Brunner, responsabile per le politiche dell’Unione europea dell’ong BirdLife sta seguendo da vicino la riforma della direttiva Ue sull’uso di energia da fonti rinnovabili (la cosiddetta Red II del 2018). Uno degli obiettivi è arrivare al 40 per cento entro il 2030. Tra queste rinnovabili, secondo la direttiva europea, ci sono energia eolica, solare, geotermica, marina, idraulica, ma anche biomassa e biogas. Bioenergie che suscitano le polemiche di scienziati, istituzioni internazionali e associazioni ambientaliste che, tra le altre cose, chiedono lo stop immediato ai sussidi pubblici alle centrali elettriche a biomasse (come quella del Mercure in Calabria).

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Innanzitutto, "il passaggio dai combustibili fossili alla biomassa nelle centrali elettriche aumenta le emissioni nette di anidride carbonica in atmosfera", ha ribadito il Consiglio consultivo scientifico delle accademie europee (Easac). Questo perché, avendo una densità energetica inferiore, per produrre la stessa quantità di energia è necessaria più biomassa. Inoltre, "essendo considerate energie rinnovabili, le bioenergie sono in competizione diretta con il solare e l’eolico, le uniche soluzioni pulite su cui bisognerebbe puntare ora", aggiunge Brunner.

Di cosa parliamo

"Le sovvenzioni europee ci stanno portando verso la ricerca di materie prime vergini"Alain Brunner

La bioenergia è energia generata dalla biomassa ovvero da qualsiasi sostanza organica, sia vegetale sia animale. Legna in primis, ricavata direttamente dalle foreste o come scarto della silvicoltura, ma anche prodotti dell’agricoltura e rifiuti organici. "In linea di principio potrebbe essere una buona idea – spiega Brunner –: buttiamo via tanta sostanza organica che spesso rischia di diventare comunque CO2, basti pensare ai contadini della pianura padana che bruciano nei loro campi le ramaglie della potatura dei frutteti e dei vigneti generando inquinamento atmosferico. Il problema è che le sovvenzioni europee ci stanno portando verso la ricerca di materie prime vergini". Ovvero legna tagliata direttamente dalle foreste. Una realtà fotografata di recente da uno studio del Joint research centre (Jcr) della Commissione europea: nell’Ue solo la metà del legno bruciato per produrre energia è composta da residui e rifiuti, mentre almeno un quinto proviene da alberi interi tagliati appositamente. Senza contare che, secondo lo stesso centro, la quantità di biomassa legnosa dichiarata nell’Unione è molto inferiore a quella effettivamente utilizzata dal settore energetico. Per Partnership for policy integrity (Pfpi), in questi anni la direttiva europea ha aumentato la distruzione delle foreste in tutto il mondo.

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Milioni di soldi pubblici

La prima direttiva sull’energia da fonti rinnovabili del 2009 si è portata dietro un’ondata di sovvenzioni pubbliche per produrre elettricità bruciando legno. "Così, invece di essere chiuse, le centrali a carbone sono state riconvertite a legna", chiosa Brunner. Proprio come avvenuto per la centrale del Mercure, riaperta nel 2016. In quell’anno, secondo i dati ottenuti da Ferdinando Laghi, presidente dell’associazione internazionale dei medici per l’ambiente, l’impianto ha fatto guadagnare a Enel (all’epoca proprietaria) 49 milioni di euro: 10 di produzione energetica e 39 di incentivi pubblici.

In Italia le agevolazioni per l’utilizzo di biomasse solide a fini energetici sono passate da 242 milioni di euro nel 2015 a 849 milioni nel 2018, un balzo del 250 per cento, secondo i dati forniti da Trinomics. L’esempio più drammatico è probabilmente la centrale a biomasse di Drax che nel 2020 ha ricevuto oltre 800 milioni di sterline in sussidi e che rappresenta oggi il maggior produttore di CO2 del Regno Unito.

"Le centrali che utilizzano biomassa legnosa hanno un’efficienza del 30 per cento e disperdono una quantità enorme di energia termica in atmosfera – spiega Davide Pettenella, direttore del gruppo di lavoro per la Strategia forestale nazionale italiana –. L’utilizzo di biomasse in impianti di cogenerazione (in grado di produrre e sfruttare contemporaneamente energia meccanica e calore, ndr), di piccole dimensioni, ad esempio nelle aree interne del Paese è saggio e opportuno. Ma le centrali elettriche a biomasse come quella del Mercure non dovrebbero ricevere alcuna sovvenzione pubblica".

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Le pressioni delle lobby

"Al momento non sono previsti incentivi per impianti esistenti, nonostante la produzione di energia elettrica da biomasse solide sia l’unica rinnovabile in grado di garantire una regolarità e una continuità di esercizio"Associazione Energia da biomasse solide

"Purtroppo la Commissione europea ha subito delle pressioni terribili da parte della lobby forestale e agricola e non ha avuto il coraggio di proporre una vera riforma sulle biomasse", conclude Brunner. Ora la partita passa a Europarlamento e Consiglio. Pressioni che si sono verificate anche nei confronti del Parlamento italiano, dove in queste settimane si discute lo schema di decreto legislativo che dà attuazione alla direttiva europea del 2018 e che definirà i futuri incentivi alle energie rinnovabili. Già a giugno le associazioni che rappresentano la filiera foresta-legno-energia avevano scritto una lettera ai ministri Roberto Cingolani (Transizione ecologica), Stefano Patuanelli (Politiche agricole, alimentari e forestali) e Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico), sostenendo che, per raggiungere la neutralità climatica, è necessario "incrementare l’attuale quota di bioenergia, prevedendo che il suo utilizzo aumenterà entro il 2030 e raddoppierà entro il 2050". Tra queste, l’associazione Energia da biomasse solide (Ebs) si è spinta oltre: il 20 settembre in audizione al Parlamento ha lamentato "che al momento non sono previsti incentivi per impianti esistenti, nonostante la produzione di energia elettrica da biomasse solide sia l’unica rinnovabile in grado di garantire una regolarità e una continuità di esercizio". Preoccupazioni lecite per un’associazione che rappresenta 22 grandi impianti (tra cui la centrale del Mercure) per un giro d’affari complessivo stimato in 650 milioni di euro.

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