
Le armi bruciano il pianeta



1 novembre 2025
Posti letto per i soldati feriti al fronte e scorte di farmaci per lenire gli effetti delle armi nucleari, ma soprattutto la necessità di coordinare strutture ospedaliere e vertici militari. Dopo Francia e Germania, anche l’Italia – su impulso delle istituzioni europee – sta pianificando una strategia sanitaria per fronteggiare le conseguenze di un eventuale conflitto armato. Già a marzo 2025 la Commissione europea aveva manifestato la necessità di prevenire e rispondere a minacce di vario tipo – catastrofi naturali, attacchi hacker, ma anche conflitti geopolitici – e l’Alta rappresentante dell’Unione per la politica di sicurezza, Kaja Kallas, aveva esortato la popolazione a dotarsi di "scorte essenziali per un minimo di 72 ore in caso di emergenza". Negli stessi giorni, la commissaria europea per la gestione delle crisi Hadja Lahbib aveva pubblicato un video sui social dove mostrava un kit di emergenza contenente, tra le altre cose, documenti di identità, acqua, una torcia, un coltellino svizzero, fiammiferi, medicine, cibo in scatola, un mazzo di carte, una power bank e denaro contante, "perché nel mezzo di una crisi il cash è sovrano e la tua carta di credito può essere solo un pezzo di plastica".
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Prima che il tavolo fosse costituito si erano già tenuti numerosi incontri sulle misure da adottare in caso di attacco nucleare, come ha confermato a lavialibera un dirigente ospedaliero che di recente ha partecipato a un evento presieduto da un ufficiale medico degli alti comandi, durante il quale è stata ribadita la necessità di organizzare corsi di formazione per i medici e, soprattutto, aumentare le riserve di iodio per proteggersi dagli effetti dell’atomica
Per prepararsi al peggio, lo scorso aprile – come rivelato dal Sole 24 Ore – i ministeri della Salute e della Difesa hanno istituito il Tavolo tecnico permanente in materia di resilienza di soggetti critici, al quale partecipano una decina di persone. Il gruppo si è riunito almeno due volte, ma dagli incontri non è trapelato nulla. Così come non vi è nessuna traccia del decreto che ha dato il via alla riunione, mai pubblicato sul sito del dicastero della Salute. In effetti, la legge consente di mantenere il riserbo su atti non destinati al pubblico, ma solitamente si tratta di direttive interne e organizzative. In questo caso, invece, è più probabile che il documento sia stato coperto dal segreto di Stato, il che impedisce di divulgare notizie che rischierebbero di allarmare la popolazione e far calare il consenso verso chi governa. Lavialibera ha contattato gli uffici stampa del ministero della Salute, della Protezione civile, dell’Istituto superiore della Sanità (Iss) e, in seconda battuta, i sindacati dei medici e degli infermieri, nonché la Federazione delle aziende ospedaliere.
Dall’Iss hanno risposto che "trattandosi di un tavolo ministeriale, non siamo autorizzati a rilasciare dichiarazioni in merito ai lavori", mentre l’ufficio stampa del dicastero della Salute, dopo vari solleciti, ha liquidato la questione con un laconico "vi faremo sapere". Di certo, prima che il tavolo fosse costituito si erano già tenuti numerosi incontri più o meno pubblici incentrati sulle misure da adottare in caso di attacco nucleare, come ha confermato a lavialibera un dirigente ospedaliero che di recente ha partecipato a un evento presieduto da un ufficiale medico degli alti comandi, durante il quale è stata ribadita la necessità di organizzare corsi di formazione per i medici e, soprattutto, aumentare le riserve di iodio per proteggersi dagli effetti dell’atomica. Inoltre, negli ultimi anni, molte regioni hanno approvato delle procedure per affrontare le emergenze radiologiche e nucleari – ad esempio attraverso il controllo delle fonti alimentari e dell’acqua potabile in caso di contaminazione – e gestire le persone esposte alle radiazioni. La novità rispetto a quei provvedimenti è che adesso il governo teme che negli ospedali possano finire i soldati chiamati a combattere.
Mentre in Italia vige il silenzio, la Germania ha scelto la via della trasparenza. Un documento ufficiale e aperto al pubblico spiega nel dettaglio le contromisure che il governo intende attuare in caso di scenario bellico, che non dovrebbero discostarsi molto da quelle italiane. L’esecutivo utilizza l’espressione "sicurezza integrata" per riferirsi a un modello basato sulla cooperazione tra Stato, economia e società, finalizzato ad affrontare minacce esterne e interne, dove tutti – istituzioni pubbliche, imprese e cittadini – hanno un ruolo da svolgere.
Sono previste attività di formazione ed esercitazioni non solo per la Bundeswehr (le forze armate tedesche) ma anche per i civili, tenendo conto che il Paese riveste un ruolo di assoluta centralità in Europa e, in caso di attacco, fungerebbe da hub logistico per le forze alleate. Nella difesa civile rientrano una serie di misure non militari necessarie a garantire la sopravvivenza e la sicurezza della popolazione, nonché a supportare le forze armate: evacuazioni, assistenza sanitaria, protezione dei beni culturali, assistenza ai soccorritori, ecc. Più nel dettaglio, il piano tedesco prevede che gli ospedali si prendano cura dei militari feriti – a Berlino, un centinaio per ciascun presidio – attivando percorsi di emergenza rapidi e potendo contare su personale specializzato nel trattamento di amputazioni, traumi da esplosione e altre lesioni da guerra.
Altrettanta attenzione viene riservata allo stoccaggio delle risorse alimentari. In tal senso, ha destato curiosità la notizia secondo cui la Germania starebbe valutando di incrementare la produzione di ravioli in scatola per sfamare esercito e popolazione. Il ministro federale dell’Agricoltura Alois Rainer ha spiegato che le scorte attualmente a disposizione – in larga parte cereali, riso e legumi – necessitano di preparazione, mentre sarebbe più opportuno puntare su cibi cotti e pronti all’uso, ad esempio i ravioli.
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"Gli ospedali devono essere pronti ad accogliere migliaia di soldati feriti in caso di un conflitto armato su larga scala in Europa"Circolare del ministero francese della Salute
La Francia si pone a metà strada tra l’opacità italiana e la trasparenza tedesca. Nei mesi scorsi il ministero della Salute ha inviato una circolare riservata alle agenzie sanitarie regionali, invitandole a prepararsi a un importante impegno militare entro il 2026. Il documento fa riferimento a strutture in grado di accogliere i soldati francesi e stranieri feriti al fronte: almeno 100 pazienti al giorno per 60 giorni consecutivi su tutto il territorio, con picchi di attività che possono raggiungere 250 pazienti al giorno per tre giorni consecutivi. La notizia è stata pubblicata dal giornale satirico Canard Enchaîné e poi ripresa dalle più autorevoli testate nazionali. "Gli ospedali devono essere pronti ad accogliere migliaia di soldati feriti in caso di un conflitto armato su larga scala in Europa" si legge nella circolare, che prevede formazione per gli operatori sanitari, il loro coinvolgimento nel servizio sanitario dell’esercito, ma anche la gestione dei disturbi post-traumatici e la riabilitazione dei feriti. Interpellata sull’argomento, la ministra della Salute Catherine Vautrin non ha smentito: "È perfettamente normale che il Paese anticipi le crisi e le conseguenze di ciò che sta accadendo, questo rientra nelle responsabilità delle amministrazioni centrali".
Mentre gli Stati si armano fino ai denti, è tornato il ricorrente dibattito sulla leva obbligatoria.
In Germania il governo ha varato un disegno di legge attualmente in discussione al Bundestag (il parlamento tedesco), che prevede il servizio militare su base volontaria, con l’introduzione di un sistema di registrazione obbligatoria per tutti i giovani uomini, chiamati a compilare un questionario al compimento dei 18 anni. Inoltre, dal 2027 gli idonei sarebbero obbligati a sostenere la visita medica e, nel caso in cui con il modello volontario non si dovessero raggiungere gli obiettivi di reclutamento, potrebbe essere reintrodotta la leva obbligatoria, abolita nel 2011.
In Francia, dove l’obbligo è decaduto nel 1997, esistono forme di arruolamento volontarie, ma a maggio 2025 l’Alto commissariato per la strategia e la pianificazione ha redatto un documento che non esclude una riforma del servizio militare immaginando, ad esempio, un modello ibrido secondo il quale tutti i giovani, al compimento di una certa età (ad esempio i 18 anni), dovrebbero partecipare a un soggiorno di coesione comune di 12 giorni, al termine del quale sarebbero chiamati a scegliere tra due possibilità obbligatorie: un servizio civile di circa cinque mesi o un servizio militare di circa tre mesi. In Italia la leva obbligatoria è stata abolita nel 2005, ma in questi anni gli esponenti del centrodestra hanno più volte manifestato la volontà di revisionare il sistema.
Nel 2024, il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini ha annunciato che la Lega ha depositato alla Camera una proposta di legge per reintrodurre sei mesi di servizio civile o militare, su base regionale, per i ragazzi tra i 18 e 26 anni, da svolgere esclusivamente in Italia. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha gettato acqua sul fuoco, dichiarando che "non sono le forze armate a dovere educare i giovani, compito che spetta alla famiglia e alla scuola".
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