Una sanità pubblica agli sgoccioli? Rosy Bindi, già ministra della Salute, ne scrive nel suo ultimo libro (Foto di <a href="https://unsplash.com/it/@marceloleal80?utm_content=creditCopyText&utm_medium=referral&utm_source=unsplash">Marcelo Leal</a> su <a href="https://unsplash.com/it/foto/destrosio-appeso-su-supporto-per-flebo-in-acciaio-inossidabile-6pcGTJDuf6M?utm_content=creditCopyText&utm_medium=referral&utm_source=unsplash">Unsplash</a>)
Una sanità pubblica agli sgoccioli? Rosy Bindi, già ministra della Salute, ne scrive nel suo ultimo libro (Foto di Marcelo Leal su Unsplash)

Rosy Bindi: "La crisi del Sistema sanitario nazionale, una colpa della miopia politica"

Rosy Bindi, già ministra della Salute tra il 1996 e il 2000 e protagonista di una lunga carriera politica, torna in libreria con "Una sanità uguale per tutti". Il volume affronta un tema cruciale e sempre più attuale: il diritto universale alla salute e le minacce che oggi sul Sistema sanitario nazionale. Ecco un estratto in esclusiva

Elena Ciccarello

Elena CiccarelloDirettrice responsabile lavialibera

Rosy Bindi

Rosy BindiEx ministra, presidente Commissione antimafia nella XVII legislatura

5 ottobre 2025

Rosy Bindi, già ministra della Salute tra il 1996 e il 2000 e protagonista di una lunga carriera politica, torna in libreria con Una sanità uguale per tutti, scritto insieme a Chiara Rinaldini e pubblicato da Solferino. Il volume affronta un tema cruciale e sempre più attuale: il diritto universale alla salute e le minacce che oggi incombono sul Sistema sanitario nazionale.

Il libro si distingue per la chiarezza con cui Bindi mette a fuoco due nodi centrali. Da un lato, il progetto di autonomia differenziata, che rischia di accentuare le disparità territoriali nella sanità; dall’altro, la crescente spinta verso la privatizzazione e il modello assicurativo, presentato da molti come unica via di salvezza di fronte alla presunta insostenibilità economica del sistema. Il riferimento all’orientamento dell’attuale governo guidato da Giorgia Meloni è diretto e senza ambiguità.

Ciò che rende il volume particolarmente rilevante è la posizione dell’autrice. Bindi non scrive da osservatrice esterna, ma da protagonista che ha segnato in profondità la storia del nostro sistema sanitario, firmando una delle riforme più importanti e, probabilmente, più discusse del settore. Da qui la capacità di ripercorrere decenni di riforme e controriforme, rispondendo alle critiche e alle accuse che ancora oggi le vengono rivolte.

La narrazione intreccia memoria personale, esperienza politica e riflessione civile, offrendo un quadro che va oltre la sanità in senso stretto. La difesa del Servizio sanitario nazionale viene infatti collocata nel contesto più ampio della crisi democratica, dell’erosione dei diritti fondamentali e dell’arretramento delle politiche sui beni comuni. Per l’autrice, non è possibile discutere di salute senza legarla al destino della democrazia stessa.

Il volume non si limita all’analisi: propone soluzioni e, soprattutto, un appello alla mobilitazione. È un testo che invita a un impegno collettivo, perché il diritto alla salute non riguarda solo gli addetti ai lavori ma ogni cittadino. La sfida è restituire al Ssn la sua natura originaria: equo, universale e accessibile a tutti.

Su concessione dell’editore e dell’autrice pubblichiamo di seguito un astratto dall’ultimo capito del libro, intitolato “Il tempo dell’impegno”. Titoletti e grassetti sono nostri.


“Se la crisi del Servizio sanitario nazionale è una crisi di sistema è necessario offrire una nuova prospettiva all’altezza dei problemi esaminati fin qui. Una risposta al disagio dei cittadini, che non trovano soluzioni rapide ed efficaci, nonché all’amarezza di tanti operatori della sanità che vedono frustrata la passione per il loro lavoro.

Se la promessa di garantire buona salute a tutti sembra tradita, se le cose non funzionano come dovrebbero e le diseguaglianze aumentano, la responsabilità non può essere attribuita al modello del Servizio sanitario nazionale ma alla miopia della politica che per troppo tempo ha scelto di non intervenire sui nodi di maggiore sofferenza del sistema e ha preferito la strada dei rinvii di ogni decisione o delle proroghe di misure datate e sempre più inadeguate.

Il governo, per risparmiare, da un lato promuove la secessione delle regioni con l’autonomia differenziata e da un altro si propone di creare un secondo pilastro di finanziamento con le assicurazioni e i fondi sanitari privati

Questa noncuranza e la rassegnazione che accompagna l’attuale declino del sistema pubblico giocano a favore di chi propone di voltare pagina, passare a un altro Sistema sanitario e cancellare quel che resta della legge 833 e delle conquiste sociali degli ultimi cinquant’anni.

È ancora più incredibile che la soluzione alla crisi venga indicata in una frantumazione maggiore del carattere nazionale del Sistema sanitario e in una ulteriore espansione dei mercati privati. Le due spinte sono incoraggiate e direi persino pilotate dal governo che, per risparmiare, da un lato promuove la secessione delle regioni con l’autonomia differenziata e da un altro si propone di creare un secondo pilastro di finanziamento con le assicurazioni e i fondi sanitari privati.

Il guaio è che nessuno nella maggioranza spiega con chiarezza quali sono gli obiettivi di questi cambiamenti, presentati invece come le risposte per cancellare le diseguaglianze territoriali e assicurare la sostenibilità finanziaria e l’equità del Servizio sanitario nazionale. Ma si tratta di vere e proprie fake news.

Chi ha paura di rilanciare il servizio sanitario nazionale?

I fondi sanitari assicurativi sostituiscono un diritto con una possibilità. Il diritto costituzionale alla salute è garantito a tutti in modo uniforme e solidale mentre la possibilità di curare le malattie è misurata sulle disponibilità economiche dei singoli o sugli accordi contrattuali di particolari categorie di lavoratori. E come se non bastasse, la convivenza della sanità pubblica con il sistema assicurativo peggiora la qualità dell’assistenza per tutti senza produrre i risparmi promessi, basta guardare agli Stati Uniti che hanno la spesa sanitaria più alta del mondo e la più alta mortalità per malattie croniche tra i Paesi più avanzati del G7.

La deriva del Servizio sanitario nazionale non è irreversibile

Non è vero, come sostengono in tanti, che mancano i soldi e la coperta è troppo corta. Non è così e tutto dipende da cosa si vuole coprire

Questa prospettiva va fermata. La deriva del Servizio sanitario nazionale non è irreversibile. E neppure la sua definitiva mutazione in un sistema tripartito: con una sanità di serie A per chi gode di redditi alti e può pagare i ricchi premi assicurativi, una di serie B per i lavoratori che si vedranno riconoscere una qualche forma di welfare aziendale e infine una di serie C per i poveri e gli indigenti, i disoccupati e i disabili, chi non è ricco o non può lavorare, lasciati al sistema pubblico di assistenza destinato ad abbassare la qualità che lo ha caratterizzato per molti anni.

Al contrario si può ancora scommettere sul rilancio e la riqualificazione di un fondamentale pilastro della cittadinanza sociale. Il mio è un invito a lavorare insieme per cambiare le troppe cose che non vanno: migliorando la condizione di chi lavora nel Servizio sanitario nazionale e riportando al centro del sistema la cura delle persone.

In alcuni casi serviranno misure radicali in altri bisognerà usare il cacciavite, come direbbe Romano Prodi, ma sempre con la consapevolezza che il nostro sistema è come un malato che ha bisogno di grande rispetto e di una buona medicina. Il primo passo deve essere quello di mettere fine al razionamento delle risorse.

Non è vero, come sostengono in tanti, che mancano i soldi e la coperta è troppo corta. Non è così e tutto dipende da cosa si vuole coprire. Vale la pena ricordare le parole di Roy Romanow, presidente della Commissione canadese chiamata a suggerire i miglioramenti al Servizio sanitario: "Non vi è alcuno standard su quanto un Paese dovrebbe spendere per la salute. La scelta riflette la storia, i valori e le priorità di ciascuno". E a conclusione di una lunga analisi affermava: "Il sistema è tanto sostenibile quanto noi vogliamo che lo sia".

La scelta è quindi sempre politica, si tratta di decidere se si governa nell’interesse generale per promuovere i diritti fondamentali di tutti, italiani e stranieri compresi, o se si favoriscono gli interessi di pochi.

Aumentare la spesa pubblica nella sanità si può

Si tratta insomma, di decidere dove prendere i soldi e come distribuirli. Pensiamo al fisco: vogliamo combattere l’evasione fiscale o premiare i furbi con i condoni? Rispettiamo il principio costituzionale della progressività delle imposte o favoriamo i redditi più alti con la flat tax?

Le risorse necessarie si possono recuperare anche in modo graduale, ma bisogna portare la dotazione del Fondo sanitario nazionale alla media dei principali Paesi europei che si aggira intorno al 10 per cento del Pil, raggiungendo da subito almeno il 7,5 per cento. Siamo nel club dei Paesi più ricchi, G7 e G20, e su cosa misuriamo la nostra ricchezza se non siamo capaci di tutelare alcuni diritti fondamentali? Del resto anche la Consulta ha di recente ricordato che "il diritto alla salute, coinvolgendo primarie esigenze della persona umana, non può essere sacrificato fintanto che esistono risorse che il decisore politico ha la disponibilità di utilizzare per altri impieghi che non rivestono la medesima priorità".

Sanità in Italia: risorse tagliate e sempre più privato, un sistema in crisi. Guarda l'infografica

Si tratta insomma, di decidere dove prendere i soldi e come distribuirli. Pensiamo al fisco: vogliamo combattere l’evasione fiscale o premiare i furbi con i condoni? Rispettiamo il principio costituzionale della progressività delle imposte o favoriamo i redditi più alti con la flat tax? Vanno tassate tutte le imprese che anche attraverso la pubblicità favoriscono consumi nocivi? Si possono tassare gli extraprofitti delle aziende più inquinanti, di quelle che producono armi o non rispettano i diritti dei lavoratori o si mina la competitività delle imprese?

Secondo Greenpeace Italia, in due anni di guerre in Ucraina e in Medio Oriente, gli utili delle prime dieci imprese italiane esportatrici di armamenti si sono moltiplicati, sia in termini di utile netto, con un aumento del 45 per cento (pari a 326 milioni di euro), sia in termini di flusso di cassa disponibile, con un balzo del 175 per cento (pari a 428 milioni di euro).

Mi pare evidente che per la sanità, come per la scuola, se c’è volontà politica i fondi si trovano. Certo bisogna respingere gli assalti delle lobby o le pressioni di poteri economici riluttanti, cosa che non ha fatto il nostro governo. La promessa tassazione degli extra profitti delle banche è rimasta tale e, anche in questo caso, non si è passati dalle parole ai fatti. Mi rendo conto che in questa drammatica fase dell’economia mondiale possa sembrare una strada impossibile da percorrere, ma non si può pensare che a pagare il riarmo dei Paesi europei e la guerra commerciale scatenata dal presidente Trump siano ancora una volta le persone più fragili.

"Aspettare sanatorie non sia più conveniente", dice Ruffini, direttore dell'Agenzie delle entrate

La programmazione nazionale e regionale

Per molti anni il ruolo del sistema pubblico è stato ridimensionato, circoscritto a compiti di regolazione per lasciare invece ai privati la gestione di settori importanti per la società. Ma in questo passaggio storico emerge con sempre maggiore chiarezza la necessità di recuperare anche in questi settori la gestione diretta.

E, nella sanità, occorre riaffermare il ruolo di programmazione, indirizzo e controllo dello Stato e delle regioni. È evidente che la modifica del Titolo V ha ridisegnato i rapporti tra governo e regioni ma quella riforma non prevede che la salute possa essere tutelata in venti modi diversi. Il governo del sistema è una responsabilità che va condivisa tra tutti i livelli, ma serve una direzione unitaria, altrimenti la prospettiva di una secessione dei ricchi sarà reale. Fermare l’autonomia differenziata significa anche salvaguardare risorse adeguate al Fondo sanitario in grado di garantire prestazioni appropriate e non minime, come ho più volte sottolineato. E vanno indirizzate prioritariamente a rafforzare la rete dei servizi erogati direttamente dalle strutture pubbliche e alle grandi emergenze del personale e della non autosufficienza. […]

L'autonomia differenziata rischia di frantumare l'Italia. Per questo va fermata

La professione sanitaria

La carenza di personale può compromettere il decollo delle Case della comunità e della nuova medicina territoriale. Il governo, come si è visto, non ha stanziato un euro in più per attuare una riforma strategica, messa in cantiere dopo la pandemia, legata al finanziamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza

C’è bisogno di un piano straordinario che valorizzi tutti i professionisti del Servizio sanitario nazionale. Per cominciare servono nuove assunzioni del personale dipendente, eliminando il tetto che da vent’anni vincola l’adeguamento degli organici alle esigenze della finanza pubblica anziché ai bisogni di salute dei cittadini. È necessario garantire anche stipendi più vicini alle medie europee e rendere più gratificanti le condizioni di lavoro, migliorare il clima nell’ambiente di lavoro e valorizzare e riconoscere l’impegno profuso dagli operatori sanitari ben oltre gli obblighi contrattuali con nuove opportunità di aggiornamento. Un sistema che, coordinando tutte queste iniziative, possa garantire tanto i medici e gli operatori sanitari, quanto i cittadini. Bisogna restituire a tutti i professionisti della salute senso di appartenenza e l’orgoglio di lavorare per un sistema che è anche un bene comune.

Del resto, la carenza di personale può compromettere il decollo delle Case della comunità e della nuova medicina territoriale. Il governo, come si è visto, non ha stanziato un euro in più per attuare una riforma strategica, messa in cantiere dopo la pandemia, legata al finanziamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

La riforma sull'autonomia differenziata finirà per favorire le pratiche corruttive nel settore della salute pubblica

L’Italia è l’unico tra i Paesi fondatori dell’Europa, a non destinare risorse adeguate alla non autosufficienza. Occorre superare la logica della frammentazione e costituire un Fondo, finanziato dalla fiscalità generale e vincolato a garantire le prestazioni sociali, oggi a carico delle famiglie, da affiancare all’assistenza sanitaria, per assicurare una tutela globale delle persone più fragili, non autosufficienti.

[…] Occorre attuare in tutte le aziende sanitarie il Distretto socio-sanitario, con dimensioni adeguate a garantire una corretta programmazione dei servizi necessari a soddisfare la domanda di salute delle popolazioni, coinvolgendo la partecipazione dei Comuni e delle diverse articolazioni sociali. In questa prospettiva sarà importante evitare che i notevoli investimenti destinati alle Case della comunità finiscano per rafforzare la già considerevole quota di imprese private presenti in questo comparto. […]

La lezione della pandemia covid

Un serio sistema di prevenzione della salute dovrebbe essere nazionale e integrare i rischi ambientali e climatici con quelli legati al mondo del lavoro e della produzione

Purtroppo si fa fatica ad affermare un approccio alla salute che attraversi tutte le politiche e metta in atto una efficace strategia di prevenzione. Penso alle morti e agli incidenti sul lavoro, triste primato italiano, e all’incidenza sulla salute delle tante forme di precarietà e sfruttamento che non rispettano la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori. Oppure alle conseguenze drammatiche del cambiamento climatico sulla qualità dell’acqua e dell’aria, sulla sicurezza dei suoli.

E mentre si aspetta da quasi vent’anni un nuovo Piano sanitario nazionale, è rimasto in gran parte inattuato il Piano nazionale di prevenzione 2020-2025. Non c’è da stupirsi per questi ritardi, un serio sistema di prevenzione della salute dovrebbe essere nazionale e integrare i rischi ambientali e climatici con quelli legati al mondo del lavoro e della produzione. E come fare se con la legge Calderoli tutte queste materie diventano di competenza esclusiva delle regioni?

Tutelare la salute come un bene comune è possibile solo con un sistema pubblico, esso stesso organizzato e concepito come bene comune, come una grande impresa di solidarietà. E non si dica che rafforzare il primato della sanità pubblica equivale a mortificare le aziende private, il mondo del terzo settore o del volontariato. Al contrario si tratta di imprimere alla cooperazione tra pubblico, privato e privato sociale quell’orientamento al bene comune indicato nella nostra Costituzione.

Se la salute è un diritto fondamentale dell’individuo e un interesse della comunità può essere garantito soltanto da una sanità concepita come bene comune non come un affare privato. Spetta alla politica esercitare un governo autorevole che corregga le distorsioni di un rapporto sempre asimmetrico tra chi domanda salute, soprattutto se è fragile e povero, e chi è deputato ad assicurare la cura. Il medico, anche il più dedicato alla propria professione, è sempre più forte del suo paziente, tanto più lo sono le case farmaceutiche, le grandi holding private e spesso non lo sono meno le tutele e le garanzie di una burocrazia pubblica autoreferenziale. Se la politica è distratta, debole e magari compiacente nei confronti delle parti più forti, se rinuncia a svolgere con autorevolezza e libertà il suo compito di programmatore e regolatore del sistema, si rende responsabile più e prima di tutti della sua decadenza.

La sanità non può essere subalterna all'economia

Al contrario di quanti affermano "fuori la politica dalla sanità" pensando così di risolvere i problemi, ritengo che la sanità sia un settore che più di altri invoca la responsabilità della politica. Non certo la spartizione partitica delle nomine o la ricerca del consenso elettorale clientelare, come spesso avviene. La sanità italiana ha bisogno della politica come governo della cosa pubblica, come tutela dell’interesse generale.

Non è facile affermare i valori della solidarietà in un tempo sempre più dominato dall’individualismo competitivo e da un diffuso egoismo sociale. Una cultura alimentata da insicurezze e paure, che considera incapaci e colpevoli tutti coloro che non hanno successo e si trovano ai gradini più bassi della scala sociale, come i poveri, i malati di mente, gli anziani e le persone disabili, i migranti. È la cultura che esalta la meritocrazia e offre legittimazione morale e politica alle diseguaglianze.

Non credo che ci si debba rassegnare alla prospettiva di una società che abbandona i capisaldi della Costituzione. Ma al contrario penso sia possibile tenere testa all’utilitarismo che alimenta questo tempo in cui infuriano troppe guerre guerreggiate con le armi e una nuova guerra guerreggiata con il denaro.

Tutti possono contribuire a salvare il SSN

Dovremmo fare nostro l’insegnamento della scuola di Barbiana e di don Milani: "Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia"

Sanità e salute hanno a che fare con i diritti umani e quindi con la giustizia sociale. L’esempio più disastroso di violazione dei diritti umani è la guerra, che impegna sempre, direttamente o indirettamente, anche la sanità. I conflitti armati distruggono le infrastrutture sanitarie, uccidono, feriscono e imprigionano gli operatori sanitari così come i civili, provocano migrazioni, talora a grande distanza, di coloro che li fuggono. Nelle guerre, la sanità è importante per quello che può fare per le vittime, civili e combattenti, e per chi tenta di fuggirle, come per quello che deve fare dopo, nella ricostruzione. Ma soprattutto per quello che può fare prima, per prevenire i conflitti armati.

Per questo è importante capire che la salvaguardia della sanità pubblica è una responsabilità di tutti.

Ciascuno di noi deve sentirsi parte del Servizio sanitario nazionale per il quale può fare molto: i politici con risorse e programmazione adeguati, i manager puntando sugli obiettivi di salute e non solo sul bilancio delle loro aziende con la prevenzione e il coinvolgimento dei professionisti e delle rappresenanze dei cittadini, i medici orientando il proprio lavoro sull’appropriatezza nella cura delle persone. Ma in questa graduatoria al primo posto ci sono tutti i cittadini che devono diventare più consapevoli nelle scelte che influenzano la salute.

In realtà dovremmo fare nostro l’insegnamento della scuola di Barbiana e di don Milani: "Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia". Il benessere e le libertà a cui siamo affezionati non si difendono chiudendosi nel fortino dei privilegi di pochi ma praticando la logica della cura: avendo cura della nostra democrazia e dei suoi buoni frutti come il Servizio sanitario nazionale.

Lo ha detto con chiarezza anche Papa Francesco rivolgendosi ai medici italiani con un messaggio di cui condivido ogni parola: "La sanità pubblica italiana è fondata sui principi di universalità, equità, solidarietà, che però oggi rischiano di non essere applicati. Per favore, conservate questo sistema, che è un sistema popolare nel senso di servizio al popolo, e non cadete nell’idea forse troppo efficientista – alcuni dicono 'moderna': soltanto la medicina assicurativa o quella a pagamento e poi nient’altro. No. Questo sistema va curato, va fatto crescere, perché è un sistema di servizio al popolo".

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