29 febbraio 2024
In un anno, dagli evasori fiscali sono state recuperate somme importanti, "un importo maggiore dell’ultima legge di bilancio". Da oltre quattro anni Ernesto Maria Ruffini, 55 anni, avvocato fiscalista, è direttore dell’Agenzia delle entrate, l’ente che si occupa di riscuotere le imposte ed effettuare i controlli. Di tradizioni cattoliche, suo padre Attilio è stato un partigiano bianco e poi ministro, il suo prozio Ernesto cardinale di Palermo, autore di una lettera pastorale del 1964 con cui denunciò le inadempienze istituzionali contro la mafia in Sicilia (contestando però Danilo Dolci). Lui, Ernesto Maria Ruffini, si è affacciato sulla scena pubblica nel 2010, intervenendo alla prima Leopolda organizzata da Matteo Renzi e Giuseppe Civati sul tema del fisco 2.0. Nel 2015, sotto il governo Renzi, diventa amministratore delegato di Equitalia e nel 2017 l’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni lo vuole a capo dell’Agenzia delle entrate, incarico che ha mantenuto sotto altri governi (eccezione fatta del primo di Giuseppe Conte). Sostiene di svolgere il suo compito attenendosi a due linee-guida, cioè semplificare e innovare il fisco per far pagare a tutti il giusto:"La pressione tributaria non sarebbe quella attuale se ciascuno avesse fatto la propria parte con lealtà", spiega in un’intervista a lavialibera.
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“I tributi sono il costo sostenuto per far sì che i diritti dei cittadini non restino solo sulla carta”
Direttore, se dovesse spiegare ai cittadini come vengono spesi i soldi di tasse e imposte, cosa risponderebbe?
Premessa doverosa: ogni Stato democratico si sostiene in gran parte proprio grazie al prelievo fiscale, che serve a finanziare innanzitutto i servizi pubblici e la spesa sociale. In pratica, i tributi sono il costo che affrontiamo per vivere in una comunità anziché su un’isola deserta e far sì che i diritti di cui disponiamo come cittadini non restino solo sulla carta. Spesso però non c’è questa consapevolezza. Per rendere evidente il legame fra tasse e funzionamento della cosa pubblica, da qualche anno l’Agenzia delle entrate, in collaborazione con la Ragioneria generale dello Stato, mette a disposizione dei contribuenti un prospetto con la ripartizione delle imposte pagate in base alle macro-voci di spesa che compongono il bilancio statale.
Quasi tre miliardi di euro: è il denaro recuperato dall’Agenzia delle entrate da alcune multinazionali che hanno evaso il fisco, non dichiarando redditi o spostando gli utili in società con sede legale in paesi con una tassazione più favorevole.
Dopo essere stati scoperti dall’Agenzia e dalla Guardia di finanza, alcuni grandi evasori hanno stretto un accordo versando all’erario centinaia di milioni di euro. Tra questi, anche il gruppo Agnelli-Elkann, che nel 2022 ha pagato 979 milioni. Nel 2016, infatti, Exor Spa e la sua controllante Gianni Agnelli Bv hanno spostato la propria sede fiscale in Olanda senza però pagare la corretta exit tax, ossia la tassa sull’esilio. Il gruppo di moda Kering (proprietario, fra gli altri, dei marchi Gucci, Yves Saint Laurent e Balenciaga) nel maggio del 2019 ha versato 1,2 miliardi di euro, sebbene la Guardia di finanza abbia ipotizzato un’evasione di oltre 1,4 miliardi.
Anche le grandi società di Internet sono state al centro di verifiche fiscali, al termine delle quali hanno optato per una sorta di patteggiamento: Booking ha restituito 93,3 milioni di euro a fronte dei 153,7 milioni di Iva non versata, mentre Airbnb ha versato più di 500 milioni per averne evasi 780. Hanno fatto pace con il fisco italiano anche giganti digitali come Google, Facebook, Amazon e Netflix: complessivamente, hanno restituito 800 milioni di euro di tasse non pagate tra il 2017 e il 2022. Verifiche e controlli hanno poi portato ad accordi con il gruppo bancario svizzero Ubs e con il Gruppo Mediolanum, che non hanno dichiarato i propri redditi. Ubs, inoltre, ha anche violato la normativa antiriciclaggio. Hanno restituito rispettivamente 102 e 79 milioni di euro.
In quale percentuale le nostre tasse finiscono nella sanità?
Varia ogni anno. In base all’ultima ripartizione disponibile, relativa al 2021, per ogni 100 euro di imposte versate, alla sanità sono stati destinati 18,53 euro. Si tratta della seconda voce più consistente del bilancio dopo quella relativa alla previdenza e all’assistenza sociale, che in media assorbe il 20-25 per cento della spesa. Un ulteriore 10 per cento delle risorse è invece devoluto all’istruzione.
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Quando sembrano mancare risorse pubbliche, molti invocano la lotta all’evasione fiscale come una panacea e come se non si facesse mai abbastanza. Com’è andato il recupero negli ultimi anni?
Lo scorso anno l’Agenzia delle entrate ha recuperato quasi 25 miliardi di evasione fiscale, il dato più alto di sempre. Se si aggiungono le somme che Agenzia delle entrate-riscossione ha recuperato per conto di altri enti, come l’Inps, l’Inail o gli enti locali, superiamo i 31 miliardi. Per avere un’idea, è un importo maggiore dell’ultima legge di bilancio. I numeri crescono di anno in anno e questo vuol dire che la strada percorsa è quella giusta. Nel 2016 l’evasione fiscale in senso stretto, senza considerare tributi locali e accise, superava gli 89 miliardi; nel 2021 era scesa a poco più di 66 miliardi. Questo significa un calo del 25 per cento rispetto ad appena cinque anni prima e, soprattutto, molte più risorse a disposizione del Paese.
Cos’è stato più efficace nel ridurre l’evasione?
In pochi anni il fisco ha cambiato volto grazie al digitale. Fattura elettronica, scontrini elettronici con la trasmissione giornaliera degli incassi anche tramite Pos: sono tutti tasselli che, poco alla volta, hanno dato vita a una grande banca dati aggiornata da flussi continui. I riflessi della digitalizzazione hanno delle ricadute positive anche sulla vita quotidiana dei cittadini che possono gestire i loro adempimenti tributari senza dover andare fisicamente a uno sportello: registrare atti, chiedere certificati e rimborsi, consegnare documenti. Pensi alla dichiarazione dei redditi, che viene precompilata dall’Agenzia sulla base delle informazioni in suo possesso e che ogni anno è più completa. Spese farmaceutiche, ristrutturazioni, interessi sui mutui, contributi previdenziali e via dicendo: niente più rischi di non usufruire di detrazioni spettanti, magari per una dimenticanza o perché non si trova più una ricevuta. Dal 2023 è stata precompilata anche la dichiarazione Iva e stiamo lavorando a ulteriori sviluppi.
Quanto le nuovissime tecnologie, i big data e l’intelligenza artificiale, possono aiutare nel contrasto all’evasione fiscale?
L’Agenzia ha un patrimonio formato da miliardi di informazioni, contenute nell’Anagrafe tributaria, la più grande banca dati pubblica del Paese. Queste informazioni vanno però gestite in maniera integrata e strutturata affinché possano acquisire un senso. I software che consentono l’applicazione di tecniche di intelligenza artificiale servono proprio a questo: far emergere discrepanze e anomalie che altrimenti non salterebbero all’occhio e facilitare il lavoro di approfondimento svolto dai colleghi, anche in contraddittorio con i contribuenti.
Molte grandi aziende multinazionali operano in Italia cercando di versare meno imposte. Cosa ha potuto fare l’Agenzia?
Negli anni è stato acceso un faro, anche in sinergia con la Guardia di finanza, sulle modalità di evasione di grandi imprese dell’economia digitale che spostano gli utili prodotti in Italia in paesi a fiscalità privilegiata, per assicurare all’erario la quota di gettito dovuta. All’estero siamo considerati un modello per aver intercettato nel tempo diverse violazioni, spesso di importi rilevanti e che hanno fatto incassare allo Stato tre miliardi di euro solo negli ultimi cinque anni. L’aspetto più importante è che queste società, aderendo ai nostri rilievi, si sono impegnate per il futuro a pagare le imposte in Italia.
Oltre all’evasione delle grandi multinazionali, ce n’è una fatta anche da alcuni esercenti, commercianti e professionisti. Quanto è diffusa e quanto può valere sul totale?
Mi limito a riportare i dati contenuti nell’ultima relazione sull’economia non osservata che il Ministro dell'economia e delle finanze pubblica periodicamente. Nel 2021 il tax gap (la differenza tra imposte e contributi versati e quelli da versare, ndr) sulle imposte dirette è stato di 38,5 miliardi di cui circa 30 riferibile all’Irpef (imposta sui redditi delle persone fisiche, ndr) da lavoro autonomo e impresa e 8,5 all’Ires (l’imposta sui redditi delle società, ndr).
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“Pace fiscale”, “rottamazione delle cartelle”, sanatorie: non si rischia di creare ciclici salvacondotti per chi evade dolosamente? Ne vale la pena?
È interesse anche dello Stato aiutare il contribuente che non ce la fa a rimettersi in carreggiata, perché può capitare a chiunque di trovarsi in difficoltà. Al tempo stesso bisogna evitare di far passare il messaggio che pagare regolarmente e nei tempi prestabiliti sia meno conveniente che aspettare una sanatoria. Molto dipende dunque da come vengono costruiti questi provvedimenti e dalle condizioni di favore che offrono. Lo scorso anno rottamazione quater e pace fiscale hanno portato incassi per cinque miliardi di euro, ma quello che è più importante sottolineare è che hanno inciso solo su interessi e sanzioni: il pagamento delle imposte originariamente richieste dallo Stato è stato garantito fino all’ultimo centesimo.
“Bisogna evitare di far passare il messaggio che pagare regolarmente sia meno conveniente che aspettare una sanatoria”
Secondo lei il fisco può essere più equo?
Non solo può, ma deve esserlo. I cittadini devono essere nelle condizioni di poter comprendere il sistema fiscale, altrimenti la differenza la fa la possibilità di ricorrere a un consulente oppure no. Negli anni c’è stata una disordinata stratificazione normativa che ha ridotto il fisco a una specie di patchwork. Risultato: una legislazione talmente confusa da lasciare tante zone d’ombra in cui è facile smarrirsi o nascondersi. Adesso speriamo che la riforma fiscale riesca a riportare ordine a livello normativo. L’Agenzia ha collaborato in questo senso, raccogliendo e dividendo per argomento tutte le norme vigenti, affinché possano essere trasformate in Testi unici di più facile consultazione. Ma fisco equo vuol dire anche far pagare a tutti quel che è dovuto e del resto la pressione tributaria non sarebbe quella attuale se ciascuno avesse fatto la propria parte con lealtà. Le risorse che raccogliamo, come detto, servono a finanziare servizi essenziali per il nostro vivere comune, ci consentono di tenere aperte le scuole per i nostri figli e di essere curati quando ci ammaliamo. Su questo terreno, però, serve il supporto dei cittadini. Che devono essere consapevoli e comportarsi di conseguenza. A volte per fare la propria parte può bastare davvero poco. Anche chiedere un semplice scontrino.
Quasi tre miliardi di euro: è il denaro recuperato dall’Agenzia delle entrate da alcune multinazionali che hanno evaso il fisco, non dichiarando redditi o spostando gli utili in società con sede legale in paesi con una tassazione più favorevole.
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Il gruppo di moda Kering (proprietario, fra gli altri, dei marchi Gucci, Yves Saint Laurent e Balenciaga) nel maggio del 2019 ha versato 1,2 miliardi di euro, sebbene la Guardia di finanza abbia ipotizzato un’evasione di oltre 1,4 miliardi.
Anche le grandi società di Internet sono state al centro di verifiche fiscali, al termine delle quali Booking ha restituito 93,3 milioni di euro a fronte dei 153,7 milioni di Iva non versata, mentre Airbnb ha versato più di 500 milioni per averne evasi 780. Hanno fatto pace con il fisco italiano anche giganti digitali come Google, Facebook, Amazon e Netflix: complessivamente, hanno restituito 800 milioni di euro di tasse non pagate tra il 2017 e il 2022.
Verifiche e controlli hanno poi portato ad accordi con il gruppo bancario svizzero Ubs e con il Gruppo Mediolanum, che non hanno dichiarato i propri redditi. Ubs, inoltre, ha anche violato la normativa antiriciclaggio. Hanno restituito rispettivamente 102 e 79 milioni di euro.
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