Guardie di frontiera. Credits: La Presse
Guardie di frontiera. Credits: La Presse

Patto Ue su migrazione e asilo, cosa (non) cambia

Rafforzamento delle frontiere, ricollocamenti e "sponsor" per i rimpatri. La solidarietà è solo tra Stati europei

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

23 settembre 2020

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Esternalizzazione delle frontiere, rafforzamento dei confini interni e un "meccanismo di solidarietà obbligatoria" tra gli Stati. Questi sono i tre assi su cui si basa il nuovo patto su migrazione e asilo presentato oggi dalla Commissione europea. Un documento programmatico che non ha forza di legge, ma è importante in quanto definisce quale visione adotterà l'Unione sul tema nei prossimi cinque anni. Del piano si discute da mesi, nel massimo della riservatezza, tanto che fino all'ultimo momento non sono circolate bozze. Avrebbe dovuto essere svelato entro fine settembre, ma l’incendio che ha distrutto il campo profughi di Lesbo, in Grecia, ha accelerato i tempi. "Una casa a tre piani", l'ha definito il vicepresidente Margaritis Schinas.

Solidarietà sì, ma solo europea

Per implementare il patto dal 2021 al 2027 la Commissione stima che serviranno 1.113.500 milioni di euro. Alle fondamenta c'è un rafforzamento delle partnership con i luoghi di origine e transito dei migranti. Tendenza, in realtà, già in corso da anni.

I migranti che raggiungeranno le nostre frontiere, invece, verranno quasi subito divisi in tre categorie: chi viene rimpatriato, chi ha possibilità di ottenere lo status di rifugiato e chi meno. Questi ultimi casi verranno esaminati al confine — probabilmente in degli hotspot — tramite una procedura che, stando a quanto dichiarato in conferenza stampa, non dovrebbe durare più di dodici settimane, entro le quali sarà stabilito se la persona in questione ha diritto a rimanere in Europa o no. Ed è proprio nell'ambito dei rimpatri che c'è la vera principale novità, nell'ottica di una solidarietà esclusivamente europea. Gli Stati dell'Unione dovranno essere solidali con i Paesi di frontiera, ma potranno farlo in due modi: o accettando il ricollocamento al proprio interno di una parte dei richiedenti asilo, o facendosi carico di una quota dei rimpatri. 

Gli Stati dell'Unione saranno obbligati a essere solidali con i Paesi di frontiera, ma potranno farlo in due modi: o accettando il ricollocamento al proprio interno di una parte dei richiedenti asilo, o facendosi carico di una quota dei rimpatri

Aiutiamoli a casa loro

"Vogliamo aiutarli ad aiutare", ha detto Schinas annunciando il rafforzamento della cooperazione con i Paesi extra-Ue. Una cooperazione che punterà a migliorare le condizioni di vita in questi Stati, nonché il sistema di asilo, e a rafforzarne le frontiere. Come si svilupperanno le partnership? Sono previsti dei finanziamenti con cui queste nazioni dovranno creare nuovi posti di lavoro, alzare i salari e gestire i flussi ai confini, ma la Commissione immagina anche delle campagne informative sui rischi che comporta una migrazione irregolare e sulle alternative legali. 

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Migranti di serie A e B

Non più solo l'impronta digitale, ma uno screening relativo alla sicurezza, allo stato di salute, e all'identità di chi arriva, con un arricchimento delle informazioni raccolte e disponibili su Eurodac, la banca dati europea che al momento custodisce le impronte di tutti coloro che richiedono asilo, sono entrati o soggiornano irregolarmente in territorio Ue. È quanto si prevede alle frontiere dell'Unione. Poi ci sarà una sorta di prima selezione che, in cinque giorni, stabilirà chi potrà seguire il normale iter dei richiedenti asilo, che non dovrà durare più di dodici settimane, e quale Paese dovrà farsi carico della domanda tenuto conto degli eventuali legami lavorativi, familiari, o di studio della persona in questione. E chi, invece, dovrà seguire un iter differente ovvero coloro che arrivano da nazioni il cui tasso di riconoscimento della domanda di asilo è al di sotto del 20 per cento, non sono accompagnati da famiglia con bambini d'età inferiore ai dodici anni, non sono minori non accompagnati né hanno particolari esigenze mediche. In quest'ultimo caso si prevede una procedura alle frontiere che deciderà —  anche in questo caso entro dodici settimane, assicura la Commissione — se proseguire con il rimpatrio o meno. "Se sei venuto in Europa e non hai il diritto di rimanere, sarai rimpatriato", è il messaggio. 

I migranti che raggiungeranno le nostre frontiere verranno quasi subito divisi in due categorie: chi ha possibilità di ottenere lo status di rifugiato e chi no 

Ricollocamenti e sponsor per i rimpatri

I Paesi dell'Unione potranno scegliere in che modo essere solidali con gli Stati di frontiera. Due le principali modalità previste: accettare il ricollocamento al proprio interno di una parte dei richiedenti asilo, o diventare "sponsor" di una quota dei rimpatri. Lo Stato che deciderà per l'ultima opzione si occuperà di tutte le attività necessarie per il rientro dei migranti nel loro Paese di origine, facendosi quindi anche carico dei relativi costi, e avrà facoltà di decidere la nazionalità delle persone che vuole rimpatriare. Per riuscirci gli saranno concessi otto mesi di tempo. Se non rispetterà la scadenza, però, sarà obbligato ad accettare il ricollocamento, mentre proseguiranno le pratiche per il rimpatrio. Ci sarà, poi, uno strumento legislativo ad hoc per misure temporanee ed eccezionali che serviranno ad affrontare le crisi. 

I punti critici

La proposta non soddisfa del tutto i Paesi di confine, perché non li sgrava dal peso delle procedure di frontiera, non stabilisce delle quote obbligatorie di ricollocamento dei richiedenti asilo all’interno dell’Unione, né delle sanzioni per chi non aderisce al sistema. Mentre a preoccupare di più l'Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che nei giorni scorsi ha inviato alla Commissione una lettera in dieci punti è il rafforzamento delle partnership le nazioni di origine e transito dei migranti. "Spesso sono Stati tutt'altro che democratici, in cui i migranti sono detenuti illegalmente e, a volte, torturati", dice Adelaide Massimi, operatrice legale dell’Asgi. "Inoltre, questo fa sì che diventi sempre più difficile fare richiesta di asilo in Europa, determinando una contrazione dei diritti". A suscitare perplessità anche il meccanismo dei rimpatri, che spesso implica forme di automatismo per cittadini di determinate nazionalità. "Il tutto senza che abbiano avuto accesso a una valutazione adeguata sull’eventuale sussistenza di ragioni per cui non possono essere espulsi", conclude Massimi. Dura anche Emergency che parla di un "ulteriore svilimento" dei valori fondanti dell’Unione Europea e delle norme internazionali dell’asilo. "I diritti delle persone migranti sono l’ultima delle preoccupazioni — dice in una nota —. Se vogliamo usare la parola solidarietà, questo patto la esprime forse verso i Paesi mediterranei per alleviare la pressione degli arrivi".

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Come funziona ora

Il sistema europeo comune d'asilo è attualmente disciplinato dal regolamento di Dublino, di cui si chiedeva un superamento netto. Un meccanismo che è stato stato pensato per impedire che la domanda venga presentata in più di uno Stato membro, ma prevede criteri talmente stringenti da far sì che, salvo rare eccezioni, il Paese responsabile a esaminarla sia quello di primo ingresso in territorio Ue, ovvero quello in cui il migrante, fermato dalle forze dell’ordine, ha dovuto per la prima volta lasciare le proprie impronte digitali poi inserite nella banca dati europea, Eurodac.

Un sistema che è stato criticato dal Consiglio europeo per i rifugiati e dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati perché non tiene conto dei legami familiari dei richiedenti asilo, che così devono vivere lontano dai parenti già residenti in Europa, e non fornisce una protezione efficiente: incanalando tutte le domande in pochi Paesi, il meccanismo rende biblici i tempi di revisione e possibili le ingiuste esclusioni. Inoltre, negli scorsi anni sono state centinaia le persone costrette a tornare nello Stato di primo ingresso dopo essersi rifatte una vita altrove. Dall'altra parte, anche i costi per il rimpatrio di chi non ha attenuto lo status di rifugiato spettano ai Paesi di primo ingresso e, come rilevato da Politico, rappresentano un problema: nel 2018 solo il 36 per cento delle persone cui era stato chiesto di tornare nel proprio Stato perché la richiesta di asilo era stata rigettata, l'ha fatto davvero. 

Cosa succede adesso?

Ora inizia la fase delle negoziazioni. La proposta della Commissione dovrà essere vagliata e approvata dal Parlamento e dal Consiglio, cioè dai capi di stato e di governo dei 27 paesi dell’Unione. Sarà necessario arrivare a una decisione unanime dei Paesi membri.

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