Mediterraneo, migranti costretti a tornare in Libia. Ong: "Respingimenti illegali"

Continua la tragedia dei migranti in mare. La situazione è aggravata dallo stop delle navi delle organizzazioni non governative dovuto alle misure anti-coronavirus

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

16 marzo 2020

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Una barca con a bordo 49 migranti è stata respinta nella zona di ricerca e soccorso maltese (Sar), e costretta a tornare in Libia dalle autorità di Malta in cooperazione con Frontex, l'agenzia di frontiera dell'Unione europea, e la guardia costiera libica. Mentre l'attenzione del mondo è concentrata sull'emergenza Covid-19, la situazione dei migranti in mare peggiora anche a causa dello stop delle navi delle organizzazioni non governative, necessario per via delle misure anti-coronavirus. La denuncia del nuovo respingimento arriva da Alarm phone, la linea telefonica fondata nel 2014 da un gruppo di attivisti con l'obiettivo di supportare i migranti in difficoltà nel Mediterraneo, che definisce quanto accaduto "illegale". 

"Invece di rispettare le convenzioni sui rifugiati e sui diritti umani, le autorità maltesi hanno coordinato un'operazione di grave violazione del diritto internazionale e del principio di non respingimento, poiché le persone soccorse in mare devono essere portate in un porto sicuro. È noto che la Libia non sia un porto sicuro ma un paese in guerra dove avvengono violazioni sistematiche dei dirittti umani", scrivono gli attivisti in una nota. 

Non è la prima volta che l'organizzazione registra questo tipo di respingimenti. Un caso analogo si era verificato lo scorso 18 ottobre del 2019, quando le autorità maltesi non sono intervenute per salvare un'imbarcazione con circa 50 migranti presente nella loro zona Sar, bensì hanno atteso l'intervento della guardia costiera libica che, dopo aver prelevato le persone a bordo, le ha riportate a Tripoli nel centro di detenzione di Triq al Sikka. "Ma adesso stiamo assistendo a una sistematica collaborazione tra diverse autorità europee e nordafricane nell'intercettazione delle barche dei migranti — commenta a lavialiberaMaurice Stierl, attivista di Alarm phone —. Non perdere di vista quanto sta succedendo alle frontiere esterne dell'Unione europea è di importanza cruciale, soprattutto adesso che la maggior parte dell'attenzione è concentrata sull'emergenza coronavirus".

Su questa linea anche Alessandra Sciurba, presidente di Mediterranea saving humans, organizzazione non governativa italiana, che oggi ha inviato una lettera alle massime autorità maltesi, italiane ed europee per chiedere chiarimenti sui respingimenti "che configurerebbero, se confermati, gravissime violazioni del diritto internazionale dei diritti umani nei suoi principi fondamentali — si legge —. Il dramma collettivo che viviamo in questi giorni, ancora di più dovrebbe ricordarci che non si può disprezzare la vita umana e i diritti che ad essa sono legati. I drammi 'altrui', in questo caso, sono quelli di uomini, donne e bambini che fuggono dalle detenzioni e dalle torture in Libia, che muoiono a migliaia in mare e chiedono solo di poter sopravvivere”. 

Secondo le stime dell'Oim (l'Organizzazione internazionale per le migrazioni), solo nelle ultime 48 ore oltre 400 uomini, donne e bambini, sarebbero stati riportati a Tripoli dalla guardia costiera libica e "la maggior parte in un centro di detenzione gestito dal Ministero dell’Interno. Almeno 600 migranti riportati in Libia e trasferiti in questa struttura risultano dispersi da gennaio". L'Oim esprime "forte preoccupazione per la sicurezza delle persone che sono detenute in questa struttura e attende ancora una risposta dalle autorità libiche a cui sono state chiesti chiarimento su quanto accaduto ai quei migranti di cui non si hanno più notizie". Inoltre, chiede "un modello di risposta alternativo" che ponga fine "ai ritorni in Libia e alla detenzione di migranti vulnerabili in quel Paese".

Torture ed esecuzioni sommarie: l'inferno dei migranti in Libia

L'inferno che vivono i migranti in Libia è stato ripetutamente denunciato. L’ultimo a puntare i riflettori sugli abusi è stato il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che il 15 gennaio ha pubblicato un rapporto in cui denuncia le “gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario” commesse “in tutta la Libia nella totale impunità”. “Migranti e rifugiati hanno continuato a essere sistematicamente sottoposti a detenzione arbitraria e tortura in luoghi di detenzione ufficiali e non ufficiali”, si legge nel documento. I rapimenti sono all’ordine del giorno e nei lager la vita è scandita da stupri, violenze e lavori forzati, le cui responsabilità vanno individuate in “funzionari governativi, membri di gruppi armati, contrabbandieri, trafficanti e bande di criminali”.

“Rifugiati e migranti in Libia dovrebbero essere rilasciati e dotati di un rifugio protetto fino a quando le loro richieste d’asilo non potranno essere valutate — prosegue Guterres —. La Libia non può essere considerata un porto sicuro di sbarco ed esorto gli stati membri a revisionare le loro politiche che supportano il ritorno (in Libia, ndr) di rifugiati e migranti”.

Navi delle Ong ferme per coronavirus 

Dopo un momentaneo calo delle partenze, probabilmente legato anche alle avverse condizioni meteo, nei giorni scorsi le imbarcazioni di migranti hanno ripreso a lasciare i porti della Libia. Il 14 marzo sempre Alarm phone ha avvisato le forze armate di Malta della presenza di un'altra barca in pericolo nella zona Sar maltese con 112 persone a bordo. "Prima di essere salvate, le persone hanno trascorso circa 48 ore mare", denunciano gli attivisti. Malta ha ritardato il salvataggio di 18 ore. "Omissione di soccorso, ritardi nell'assistenza e respingimenti stanno diventando la norma nel Mediterraneo centrale, causando trami a sopravvisuti, sparizioni e morti, sia in mare sia in Libia". Una situazione che al momento risulta ulteriormente complicata a causa dello stop delle navi delle organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo. Uno stop necessario in seguito alle misure adottate per contenere la diffusione del coronavirus. Nessuna imbarcazione di soccorso è più tornata in mare dopo gli sbarchi di fine febbraio, quando agli equipaggi di Ocean Viking di Sos Mediterranée e di Sea Watch 3 è stato disposto un ordine di quarantena per un periodo di quattordici giorni.

Entrambe le Ong avevano lamentato una discriminazione e chiesto di poter salpare al più presto. "Ci rendiamo conto che l’emergenza coronavirus in Italia c’è, è reale e rispettiamo tutte le disposizioni date dalle autorità, facciamo presente però che a fronte di questa emergenza in Italia continuano ad esserci persone che muoiono e che rischiano la vita in mezzo al mare. Noi siamo un’ambulanza del mare e speriamo di poter tornare al più presto a fare quello che è il nostro dovere di soccorritori civili", aveva dichiarato Alessandro Porro, soccorritore e presidente di Sos Mediterranée Italia. Ma a quarantena terminata, senza nessun caso di contagio a bordo, il quadro generale è cambiato. L'organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato il coronavirus pandemia, i leader dei vari paesi europei — pur avendo adottato misure diverse — stanno tutti invitando a limitare gli spostamenti per contenere la diffusione del virus. In questo contesto, organizzare una missione metterebbe a rischio la salute sia degli operatori sia dei migranti. Intanto, nel Mediterraneo si continua a morire

Torture, stupri ed esecuzioni sommarie: è l'inferno in cui vivono i rifugiati in Libia. Un inferno ripetutamente denunciato dalle organizzazioni internazionazionali, che non considerano il Paese un porto sicuro. Ne abbiamo parlato in un approfondimento su lavialibera

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