13 ottobre 2021
Andare a toccare con mano la realtà che si vuole raccontare. Visitare i luoghi, incontrare le persone, fare domande, stringere legami. Tornare con qualche risposta, qualche chiave di lettura in più, ma anche con interrogativi nuovi, con una voglia accresciuta di approfondire, di portare alla luce connessioni nascoste e verità ancora inesplorate.
Non è stato solo l’istinto professionale a convincere la redazione de lavialibera a trasferirsi a Foggia per alcuni giorni, nel giugno scorso, con l’obiettivo di setacciare un territorio al centro di vicende criminali drammatiche eppure poco note, poco seguite dai media maggiori. Non solo l’istinto giornalistico, ma una più generale, innata voglia di conoscere attingendo il sapere direttamente dalle fonti, senza accontentarsi delle informazioni di seconda mano. È quello del resto che ci si aspetta da una redazione giovane e intraprendente, desiderosa di offrire ai suoi lettori un punto di vista originale su tanti temi e realtà.
Rondini, mucche, rane e galline: la nostra trasferta foggiana
Quella di Foggia è una terra bellissima e difficile, che io stesso ho avuto modo di frequentare. Una terra che non si merita di salire agli onori delle cronache, come purtroppo accade, solo in occasione di fatti di sangue presto dimenticati.
La criminalità foggiana, nata come mala locale e per anni ancella della più potente e ramificata sacra corona unita, è stata ultimamente definita dal procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho una vera emergenza nazionale. Una di quelle emergenze che vanno fatte appunto emergere, uscire dalla situazione di irrilevanza e disattenzione che fa il gioco di chi ambisce a gestire indisturbato i propri affari, illegali oppure leciti solo in apparenza.
Le mafie moderne, lo sappiamo, rispetto a quelle del passato hanno imparato ad agire sottotraccia, a mimetizzarsi dentro un sistema economico che si presta fin troppo bene alla loro colonizzazione, piegato com’è alle logiche di un profitto svincolato da qualsiasi etica, da qualsiasi rispetto delle regole democratiche e di umanità. Non sempre però è così, e quando incontrano sul loro cammino imprenditori onesti e amministratori incorruttibili, i boss non esitano a rispolverare le storiche forme di intimidazione e di violenza.
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Anche a Foggia diverse persone di valore, indisponibili a scendere a patti col malaffare, sono state strappate ai propri cari dalla ferocia di gruppi troppo a lungo ritenuti emanazione di una criminalità primitiva e rurale, e che oggi sono invece organizzazioni complesse, dedite a traffici internazionali e con agganci in altre associazioni mafiose e in altre zone del Paese. A quelle persone idealmente dedichiamo questo numero della rivista e il nostro impegno per la verità e la giustizia.
Diverse persone di valore sono state strappate ai propri cari dalla ferocia di gruppi criminali. A loro idealmente dedichiamo questo numero
Non diversamente dalle “sorelle maggiori” come cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra – queste ultime hanno del resto giocato un ruolo cruciale nella storia criminale pugliese – anche le mafie foggiane sono cresciute prendendo di mira le attività imprenditoriali più floride del proprio territorio di origine attraverso una spietata rete estorsiva. Hanno minacciato, ucciso e coltivato rapporti clientelari, rischiando di compromettere le possibilità di uno sviluppo economico sano, fonte di opportunità per tutti. Se oggi tante famiglie sono costrette a sradicarsi e cercare un futuro lontano, è anche a causa loro.
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Lo Stato per fortuna non si è voltato dall'altra parte. Dopo la strage di San Marco in Lamis, che nel 2017 è costata la vita ai fratelli innocenti Aurelio e Luigi Luciani, sono state fatte scelte forti, per evidenziare una presenza vigile e concreta delle istituzioni sul territorio. Una reazione altrettanto forte deve arrivare da parte dei cittadini, e alcuni segnali in questo senso li abbiamo raccolti, come raccontano anche gli articoli delle prossime pagine.
Il 21 marzo 2018, Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, oltre 40mila persone hanno affollato le strade di Foggia per onorare le storie di chi è morto a causa del suo coraggio o di una drammatica – e comunque inaccettabile – fatalità. Ma anche per dare un segnale di speranza alle “vittime vive”: i lavoratori italiani e stranieri sfruttati come schiavi dal caporalato, o i bambini nati al centro di efferate lotte fra famiglie, cresciuti con i genitori in carcere, privati di qualsiasi modello educativo alternativo a quello mafioso.
Di nuovo il 10 gennaio del 2020, 20mila cittadini hanno risposto all’appello di Libera, snodandosi in un lungo corteo per le vie della città e facendo risuonare forte il loro no alla mafia, alla corruzione, alla violenza. È stata l’ultima, importante manifestazione in presenza prima che la pandemia togliesse ossigeno a questo tipo di azione pubblica, per aprire invece nuovi scenari favorevoli agli appetiti criminali.
Gli articoli che seguono vogliono dare conto dei problemi strutturali di cui la criminalità approfitta, così come delle connessioni fra le trame illegali e certe timidezze della società e della politica. Ma vogliono al contempo dare voce a questo fermento civile, questa voglia di riscatto, questa aspirazione ostinata e diffusa a fare della Capitanata una patria del bello e del giusto, di cui parlare per le sue meraviglie naturali – dai boschi dei Monti Dauni alle pianure del Tavoliere fino al promontorio del Gargano – e per la tempra decisa degli abitanti, non come una terra di lutti e degrado.
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